Luca Marianantoni, una delle più importanti firme del giornalismo tennistico italiano, ci racconta come ha iniziato questa attività legata al tennis. E su Coppa Davis e NextGen il giudizio è tutt’altro che positivo.
Quando hai scoperto il tennis?
Il Tennis è arrivato a casa mia sotto forma di due racchette regalate da un amico di famiglia. Erano due Slazenger, ovviamente di legno. Era il 1976, l’anno di Panatta. I miei genitori mi iscrissero al Tennis Club Colonnata, a Sesto Fiorentino dove abitavo. Avevo 9 anni. E a fine corso (maggio 1977) arrivai in finale al torneo sociale di fine anno. Superai in semifinale il favorito, Tommaso Castellani, poi persi in finale quella che oggi chiamiamo la prova del 9.
Mi appassionai così tanto che iniziai a comprare il Tennis Italiano, ma soprattutto Matchball, la mia rivista preferita. E poi non perdevo nessun incontro in televisione. Ricordo come fosse ora la finale di Coppa Davis del 1977, quella famosa del match perso da Panatta contro Alexander dopo essere arrivato a 2 punti dalla vittoria. Mi alzai di notte, senza dirlo ai miei genitori, per guardare la sfida commentata da Guido Oddo su un piccolo tv in bianco e nero. Era un Voxson con le antennine portatili. Il campo si vedeva, la sagoma dei giocatori pure, ma la palla spesso la perdevo.
Come e quando hai capito che il tennis avrebbe fatto parte della Tua professione?
Se ne sono accorte le mie insegnanti. Alle elementari, nei quaderni dei compiti, apparvero all’improvviso le formazioni della Fiorentina che ricopiavo sotto poesie o problemi di matematica. Poi iniziai a copiare anche i tabelloni dei tornei più famosi, a partire da Wimbledon 1977, con le relative classifiche Atp. Ma il massimo fu in prima media quando una traccia del compito d’italiano riguardava il pugile italiano Angelo Jacobucci che era morto sul ring. Feci un compito spaziale, presi 8. Fu il segno del destino.
Il tennis, quello vero, è arrivato nel 1989 (avevo 21 anni), quando Rino Tommasi pubblicò un annuncio su Matchball nel quale cercava giovani appassionati che lo potessero aiutare nella compilazioni delle statistiche. Stavo preparando un esame a Economia e Commercio, ma il richiamo la chance era troppo forte. Tirai fuori la macchina da scrivere, e per 3 giorni catalogai tutti i tabelloni che Rino mi aveva dato in un maxi ritrovo a casa sua in cui conobbi una giovanissima Elena Pero. Andai alla posta con mia mamma, spedii il pacco di circa 200 fogli dentro una scatola di cartone e incrociai le dita. A una settimana dall’inizio del torneo di Monte Carlo (era i primi di aprile del 1989), Rino Tommasi mi chiamò a casa dicendomi di fare le valigie. Mi avrebbe dato un milione di lire, più spese di viaggio, vitto e alloggio per testarmi al torneo di Monte Carlo che quell’anno vinse Alberto Mancini. Conobbi tutti i più grandi giornalisti del mondo. Da Gianni Clerici a Bud Collins, da John Parsons a Richard Evans. A fine torneo mi disse. “Promosso, prepariti per il tuo primo Roland Garros”. E da lì è nato tutto.
Sei nel tennis uno dei giornalisti più importanti, che consigli daresti ad un giovane per intraprendere la Tua strada?
Credo di aver dedicato al tennis più tempo di quello che ho dato ai miei genitori, a mia moglie e a mio figlio. Ho passato gli ultimi 30 anni della mia vita sempre con un computer in mano, reperibile per qualsiasi richiesta. Non ho mai chiesto nulla a nessuno. Dai miei occhi è sempre traboccato amore per il tennis e per tutto lo sport in generale che Rino Tommasi prima e i vai capi della Gazzetta dello Sport dopo hanno recepito come devozione totale. L’amore muove ogni cosa e poi credere fermamente in qualcosa da raggiungere. Solo sognando arrivi alla metà. A meno di tante botte di fortuna che io, con orgoglio, posso dire di non aver mai avuto.
Nuovo format Coppa Davis, qual è il tuo giudizio?
Negativissimo. Quando si decide di piegarsi al dio denaro, è sempre sbagliato. L’hanno stravolta. Un conto è come era prima, con il fascino dei match in casa e fuori e con la necessità di mantenere la condizione per gran parte della stagione: a febbraio al primo turno, ad aprile, poi a settembre e per la finale di novembre. Ora l’hanno fatto diventare un torneo quasi individuale, confinandola in una settimana di gara in un periodo che invece doveva essere di riposo assoluto. Non credo che sarà un successo, e comunque gli avrebbero dovuto cambiare nome.
Chi vedi come successore dei Fab Four, ammesso che esista?
Non esiste. Scherzo, ma al momento non c’è nessuno con il carisma dei magnifici tre (Murray è il quarto, ma è di gran lunga più debole dei tre fenomeni). Da Cilic, che vinse l’Open degli Stati Uniti nel 2014, nessun giocatore nuovo è più riuscito a vincere un torneo dello Slam. Zverev, tra tutti, era il favorito dei giocatori della nuova generazione, ma anche lui stenta a uscire. Shapovalov e Khachanov sono i più promettenti, ma nulla in confronto a quanto ci ha riservato gli ultimi 20 anni di storia. Comunque siamo sopravvissuti al ritiro di Borg, di McEnroe, di Sampras, di Agassi. Ci stiamo abituando a quello di Roger e il tennis andà avanti anche senza Rafa e Nole. Ma spero il più tardi possibile perchè altrimenti si fa la fine del tennis femminile. Ogni slam un vincitore nuovo e questo non sarebbe bello.
I giocatori italiani stanno attraversando una grande stagione. Quale vittoria ti ha colpito di più?
Sicuramente Cecchinato perchè raggiungere la semifinale al Roland Garros non è una cosa semplice. E soprattutto mi ha impressionato per il modo con cui ha fatto fuori sia Goffin che un Djokovic che poi abbiamo visto tutti quello che è riuscito a fare.
Ma quello che ha i margini più ampi per arrivare avanti, è Matteo Berrettini. Credo che il 2019 sarà la stagione fondamentale per il romano. Ha i mezzi per entrare in forma stabile tra i primi 20 giocatori del mondo. Abbiamo goduto un decennio per le donne, ora che le azzurre sono sparite tutte, ecco spuntare una nuova generazione di buoni giocatori. Il problema rimane sempre lo stesso; di giocatori come Berrettini, l’Italia intesa come sistema tennis, dovrebbe produrne almeno 5.
In campo femminile, a parte la Giorgi, c’è il vuoto. A cosa addebiti questo fenomeno?
Non esiste giocatrice italiana tra le prime 300 al mondo che abbia un futuro da top 30. E con questo chiudo. La genesi del tennis italiano femminile non ha radici lontane nel tempo. Lucia Valerio, Silvana Lazzarino e Lea Pericoli sono state delle meteore e comunque casi isolati nel tempo. Tutto quanto di buono siamo riusciti a raccogliere in questi anni, lo dobbiamo a Sandrona Cecchini e Raffaella Reggi. Sono loro, negli anni 80, che hanno solcato e indicato la strada giusta. Mentalità professionale al 100%, lavoro, sacrificio, lunghe trasferte e via. Il loro esempio è servito per creare Silvia Farina e compagne. Poi Schiavone, Pennetta e Vinci (tutte con doti tennistiche eccelse), hanno ottenuto il massimo portando l’Italia a diventare una potenza tennistica di livello mondiale.
Regole Next Gen, cosa ne pensi?
La penso come il ragionier Ugo Fantozzi quando commenta la Corazzata Potemkin. Visto che Federer, Nadal e Djokovic hanno seccato intere generazioni di tennisti (i nati da dopo Djokovic fino a Zverev), l’Atp ha pensato bene d’inventarsi una competizione che non ha nessun senso di esistere. Il tennis under 22 non esiste più da quando Borg ha vinto Parigi nel 1974 a 18 anni, da quando Becker ha vinto Wimbledon a 17 nel 1985 e da quando Chang ha vinto il Roland Garros nel 1989. Hanno voluto puntare l’attenzione su una generazione di sfigati, schiacciati da i tre mostri sacri di cui abbiamo parlato fino adesso.
E poi le regole sono di una tristezza infinita. Il tennis è il tennis. Non si puo’ pretendere di cambiare qualcosa che è rimasto immutato nel tempo per 150 anni. Da allora il tennis ha introdotto una sola novità ed è stata il tie break a inizio degli anni 70. Tutto il resto non ha senso, non è tennis.