Lo aveva dichiarato senza mezzi termini prima di questa finale: “voglio diventare numero uno”. E così Andy Murray fa un altro passo in avanti verso questo ambizioso, ma non troppo, obiettivo. Oggi ha prima combattuto contro un avversario degno di questo nome, poi ha imposto un altro passo e i diritti di una cilindrata superiore, non tanto dal punto di vista fisico, quanto piuttosto mentale.
Andy Murray è infatti un giocatore che sta facendo della personalità la sua cifra distintiva. Il ritorno di Ivan Lendl sulla sua panchina sembra riannodare il filo spezzato nella loro prima relation-ship, una sorta di cordone ombelicale reciso da Murray troppo presto, forse con l’aiuto dello stesso Ivan, che avvertiva qualche problema di sintonia. Murray troppo nervoso, sempre in cerca di un alibi quando le cose non andavano per il verso giusto. Eppure, con Lendl, Murray aveva sfatato la maledizione di un britannico vincitore a Church Road, aveva portato a casa un oro olimpico. Cose da niente. Aver ripreso quel legame, restituisce Murray a se stesso, molto più consapevole delle sue possibilità, meno lamentoso, capace di convertire quella energia emotiva che costituiva quasi una macchietta, con quelle invettive contro la sua panchina, in una flusso di positività che è possibile riassumere con la parola personalità.
Murray oggi ha lottato per un’ora con un Roberto Bautista-Agut che ha legittimato la sua presenza in finale in un master 1000, chiarendo che quel percorso così nobile che lo ha portato all’atto finale del torneo, era frutto del suo sacco, oltre che di qualche mancanza altrui (leggi: Djokovic). Ma proprio con la personalità Murray ha imposto i suoi diritti, annichilendo la presenza di Bautista in campo, mettendolo in un angolo, sfidandolo sul suo terreno, ovvero la regolarità e la precisione, superandolo in potenza (ma questo era prevedibile), sfidandolo apertamente anche sulla seconda di servizio, forzata più volte, segno di una sicurezza mentale prima che tecnica.
Murray bussa alla porta del numero uno, lo fa senza mezzi termini. Una sfida che serviva, tra giocatori simili, per provenienza, per tattica e tecnica, figli del tennis contemporaneo.
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