Nadal: “Non credo che 21 Slam bastino per restare davanti ai miei rivali”

Tornato nella sua Accademia, Nadal ha parlato alla stampa della sua avventura australiana, che l'ha consacrato - momentaneamente - come tennista maschile più vincente nei Grand Slam.

Rafa Nadal è tornato a casa, e lo ha fatto – una volta in più – da eroe. Perché al suo fianco, durante la conferenza stampa che ha tenuto nella sua Academy a Manacor, posata su un tavolino c’era la sua ultima conquista. Che non significa solo 21° Grande Slam e primato assoluto, superando Novak Djokovic e Roger Federer. La seconda Norman Brookes Challenge Cup della sua bacheca è un cerchio che si chiude. Un Double Career Grand Slam tante volte inseguito e finalmente completato dopo quattro finali perse consecutivamente a Melbourne, di cui due con un vantaggio di un break nel quinto set (2012 e 2017) e una condizionata da un infortunio ad inizio match, nel 2014. Una cavalcata trionfale nel momento più insperato, dopo uno stop di quasi sei mesi, e nel modo più incredibile: in rimonta da 0-2, a 35 anni e mezzo, contro un avversario di dieci anni più giovane e dopo 5 ore e 24 di partita.

Alla fine siamo persone ancor prima che sportivi. Passiamo buoni o cattivi momenti, alcuni in cui sei speranzoso perché vedi passi in avanti, molti altri invece difficili, in cui le cose non vanno bene per allenarti e prepararti come vuoi. Ci sono dei momenti in cui hai dei dubbi nella vita, cerchi soluzioni e non le trovi. Da qui non puoi far altro che andare avanti”. Si riassume così la risposta che Nadal ha dato a coloro che ancora gli chiedevano come è uscito da una situazione dura come la sua, con un infortunio che gli ha permesso di giocare due sole partite dallo scorso giugno. “Ci sono giorni in cui potevo allenarmi al massimo venti minuti, altri giorni zero, altri ancora anche due ore”, ha poi aggiunto. Ha cambiato anche metodologia di lavoro, lo spagnolo, spendendo più tempo in palestra, un luogo che non ha mai amato: “Ho cercato di aggiungere altro quando le cose andavano male. A volte però bisognava accettare di non poter continuare e andare a casa”. Momenti duri, che Nadal ha vissuto con il suo team e nella sua Rafa Nadal Academy nel periodo in cui recuperava dal problema al piede.

Il tempo, però, l’ha aiutato, e in Australia è accaduto qualcosa di veramente speciale. “Allenandomi mi sono sentito sorprendentemente bene e competitivo contro tutti i giocatori. L’allenamento per me ha un valore speciale, perché è lì che comincia a sentire di non essere molto lontano. Poi devi confermare tutto nelle partite, ma quando ti alleni con questo tipo di sensazioni prendi confidenza e metti la base per conseguire risultati”. Nadal ha ovviamente ribadito di non essere arrivato in Australia col pensiero di vincere. Le prospettive però sono cambiate già con il successo nell’Atp 250 di Melbourne, insieme ad altri momenti chiave: gli allenamenti con i top player giocati alla pari e il match di terzo turno. “Ho superato la sfida con Khachanov, la prima di un certo livello, con buonissime sensazioni. Una volta arrivato in ottavi, poi, si respira un’aria diversa”.

Gran parte delle parole, però, il 21 volte campione Major le ha spese per la finale vinta contro Daniil Medvedev, che era iniziata molto male: “A posteriori tutto sembra bello, ma sul momento [sul 2-6 6-7 e sotto 0-40 nel terzo set] puoi solo pensare continuare punto dopo punto per restare in partita in qualche modo”. Alla fine però, lo sport del diavolo, in cui non c’è un cronometro, ti dà sempre una piccola opportunità: “Se rimani vicino nel punteggio, in una partita così importante, tutti noi al momento di chiudere avvertiamo una sorta di vertigine. Quindi – se sei vicino – a differenza degli altri sport puoi passare da una situazione critica ad un panorama completamente diverso dopo dieci minuti”. Figurarsi dove ci si può allora ritrovare dopo tre ore, se ti chiami Rafa Nadal e non conosci la parola resa: “Alla fine non riesci a pensare a nulla, sei teso e stanchissimo. La finale era importante per me, ma se penso alla situazione da cui venivo era anche un regalo”. Davanti ai microfoni l’ex numero 1 del mondo è apparso più rilassato che mai, e forse anche grato. Spesso in Australia è arrivato preparandosi bene, ma è andata male. Quest’anno quasi tutto è andato al contrario, e Rafa ha posto l’accento sulle circostanze e l’importanza della fortuna: “Proprio nel momento in cui forse me lo aspettavo meno ho giocato con disinvoltura, con grande fiducia e con gioia. Ogni torneo ha i momenti chiave, e nel match dei quarti la sorte è stata dalla mia parte. Ho avuto un colpo di calore e non so come sono riuscito a salvarmi nel quinto set. Poi anche in finale, ma è vero che ho giocato infinitamente meglio di come me o qualunque membro del team avremmo potuto sognare prima di partire”.

L’allegria con cui lo si è visto lottare, in effetti, è stata una componente decisiva insieme all’appoggio dei tifosi: “A livello personale è stata un’esperienza incredibile godersi ancora questo sport al livello più alto, una cosa difficile da immaginare anche solo poche settimane fa”. Vincere, alla sua età, nello Slam in cui ha avuto più problemi a livello fisico (da dove nasce anche il legame di Nadal con Melbourne Park) cambia molte cose: “Aver vinto il secondo titolo lì significa moltissimo. Rispetto a quattro settimane fa mi vedo con molte più chance di proseguire e competere su livelli così alti: ho giocato partite molto esigenti dal punto di vista fisico, e il corpo ha retto, questa è una enorme iniezione di fiducia per andare avanti”.

Prima ancora che vincere, per la leggenda di Manacor conta la possibilità di competere al meglio e giocarsi ogni anno le sue carte: “Ogni torneo che vado a giocare non l’ho ancora vinto, ogni competizione che affronto è nuova, ogni anno. La mia ambizione non è mai stata smisurata, ma sana. Mi motiva fare ciò che mi piace: quando sono in condizione mi piace allenarmi e competere. So che c’è una data in cui tutto finirà, ma la speranza è quella di avere sempre la capacità di continuare a godere dello sport: perdere o vincere fa parte della nostra vita, ma il saper apprezzare il percorso, il fatto di competere nei migliori stadi del mondo contro i più forti, mi motiva sempre”.

Con questo stato d’animo, il maiorchino ha risposto anche alla fatidica domanda sulla corsa a chi colleziona più Major, in cui lo seguono Djokovic e Federer: “Non so quale sia il tetto massimo per gli Slam, perché fino a poco fa pensavo di non giocarne né vincerne più. Adorerei essere quello con più titoli alla fine delle nostre carriere, ma non sono ossessionato né frustrato dal pensiero di non esserlo. Ogni cosa che accadrà sarà benvenuta, ma non credo che ventuno siano sufficienti per terminare davanti”. Con gli altri condivide infatti una grande lucidità e una competizione piuttosto sana: “Mi sento fortunato e [con Federer e Djokovic] abbiamo raggiunto molto di più di quanto avremmo potuto mai sognare da ragazzini. La corsa ad essere il migliore appassiona i tifosi, ma interiormente io proseguo con naturalezza, pensando al mio cammino e non a quello degli altri”.

Quanto al futuro prossimo, è indubbio che l’impresa dell’Australian Open abbia cambiato la visione della stagione e del calendario: “Devo analizzare come sto tra qualche giorno. Sul calendario ho Acapulco e Indian Wells: senza contrattempi vorrei andare a Indian Wells, ma per Acapulco ho solo due settimane, e devo prendere decisioni in accordo con ciò che il mio fisico mi permette”. Oggi, in effetti, Carlos Moya ha sollevato ulteriori dubbi, con Nadal che sta certamente valutando di dare forfait per tutta la stagione sul cemento americano.

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