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Nick Kyrgios: “Non mi vergogno per quello che ho detto”

Emrys Westacott, chi era costui?
Anzi, chi è, per essere precisi, e soprattutto cosa centra con Nick Kyrgios?

La risposte a questi interrogativi sono presto trovate. Westacott è un docente di filosofia presso la Alfred University negli Stati Uniti e qualche tempo fa ha dato alle stampe un curioso saggio dal titolo “The virtues of our Vices” nel quale discetta circa l’idea di maleducazione. O meglio di “cattiva educazione”. L’’assunto di fondo del testo sarebbe che le persone sgarbate aiutano la società facilitando il fluire delle idee, nonostante i loro modi poco urbani. Essere moderati e riservati invece “avviterebbe” i costumi su se stessi, impedendo lo sviluppo dei costumi. Insomma, il maleducato sarebbe quasi “salutare” per noi tutti.

Non so come i miei pochi lettori la pensino, ma non concordo con Westacott. Ovviamente ho semplificato le argomentazioni del pensatore statunitense, che meriterebbero maggiore considerazione ed analisi, ma non credo di aver fatto torto nel riassunto, visto che l’obiettivo del nostro articolo è Nick Kyrgios, recentemente condannato al pagamento di una pesante sanzione pecuniaria (25000 $) per le parole irriguardose e sciatte nel match di Montreal contro Stan Wawrinka, e ad una sospensione dalle attività pendente sul suo capo se entro il 28 febbraio 2016 si renderà nuovamente protagonista di infrazioni di questo tipo.

I fatti sono noti, e meritano poco più di una breve citazione. Piuttosto, la novità è costituita dalle recenti dichiarazioni del giocatore australiano, riportate da diverse fonti. “Non intendo smettere di mostrare le mie emozioni durante le partite”, e questo va benissimo. “Non mi vergogno di quello che ho fatto”, e questo va molto male, in quanto denota una preoccupante mancanza di consapevolezza delle regole di base dell’educazione, ma contestualmente, uno incapacità di leggere il proprio comportamento come volano per le centinaia di migliaia di spettatori che sul campo e in televisione assistono alle gesta degli sportivi, considerati modelli non solo tecnicamente, ma spesso anche socialmente, per comportamenti ed estetica.

Senza falsi moralismi, anche l’’uso di acconciature, tatuaggi, abbigliamento (e aggiungiamo comportamenti plateali quali sputi e urla) rappresentano un modo di essere dello sportivo che nulla ha a che vedere con la prestazione agonistica. Se le urla devastanti delle varie Sharapova(s) in giro per il circuito rappresentano motivo di polemica oltre che di fastidio per gli spettatori (a casa come nello stadio), e testimoniano uno scarso rispetto per il silenzio che dovrebbe caratterizzare il tennis, cosa dobbiamo pensare delle offese gratuite, degli ammiccamenti alla sfera della sessualità o della provenienza etnica che ci tocca sentire in giro per il mondo?
I tristi episodi che hanno avuto anche in Fabio Fognini un protagonista poco edificante, si sono ripetuti con nuovi protagonisti. Certo, nell’agonismo può accadere di perdere le staffe. Ma lo sport deve restare immune da questo genere di incidenti, perché il volano offerto da internet per tali episodi è terribilmente in grado di rendere “modello”, schema, paradigma, questo modo di porsi.

Essere guasconi, sopra le righe è normale. Va compreso e tollerato. Ma non incentivato, deve restare nel campo della prestazione sportiva, non eccedere nella vita privata dei protagonisti e assurgere a modello vincente di comportamento.

Speriamo che Kyrgios maturi in fretta e abbia modo di essere se stesso su un campo e fuori senza però diventare paladino di una moda per la quale (leggi querelle Kokkinakis Harrison) tutto sia possibile, perché il comportamento “cafonal” che spesso domina i palinsesti televisivi e le nostre piazze, non ha nulla, ma proprio nulla di accattivante.

Alberto Maiale

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