Anche se il suo nome non compare più nella parte più nobile della classifica, Nicolás Jarry, tennista cileno classe 1995, attualmente n. 104 del mondo, potrà raccontare di essere stato, seppur per pochi giorni, tra i primi cento giocatori del circuito ATP. Il giovane Nicolas, nato a Santiago del Cile, ha conquistato proprio nella sua città natale il terzo titolo della stagione e i punti necessari per approdare nella top 100 del tennis mondiale.
In un’interessante intervista per il sito spagnolo Punto de Break Jarry ha parlato della sua crescita, delle sue difficoltà, del momento del tennis cileno e, ovviamente, anche dei suoi obiettivi per la prossima stagione.
“Benvenuto nella top 100. Cosa è cambiato nella tua vita?”
“Arrivare nella top 100 è il primo grande obiettivo che si pone qualsiasi tennista, poter dire di essere o di essere stato in top 100 nella tua carriera è un sogno incredibile. Tutte le persone che si dedicano al tennis sanno che è un traguardo molto importante. Ora devo mantenere questa posizione, che è la parte veramente difficile; passare da essere un top 100 che gioca Challenger ad un top 100 che gioca tornei ATP rappresenta un grande cambiamento, ma questo è l’obiettivo del prossimo anno. Indubbiamente ciò che cambia di più è la mentalità, sai già che hai le capacita di stare in questo gruppo super selezionato e questo ti dà più sicurezza”.
“Hai raggiunto questa posizione vincendo a Santiago, in casa. Il miglior modo possibile”
“La settimana a Santiago rimarrà indimenticabile. Venivo da un tour in Cina molto duro, in cui non ero riuscito a vincere neanche una partita, mentalmente è stato molto difficile perché stavo giocando molto bene, ma i risultati continuavano a non arrivare. Poi sono andato a Montevideo e ho perso al secondo turno, ma nella mia testa c’era solo il desiderio di raggiungere la top 100 in modo da poter giocare l’Australian Open, l’obiettivo per il quale hanno giocato tutti quelli che hanno partecipato a questi tornei (Montevideo, Santiago e Rio). Per fortuna sono riuscito a raggiungere questa meta vincendo a Santiago, giocando in casa. C’era molta pressione, era anche strano poter dormire nel proprio letto anziché in albergo. Vedere la mia famiglia mi ha dato tanta forza, ho un sostegno incondizionato da parte loro e volevo dimostrargli tutto il mio valore; ho pensato partita per partita e tutto è andato nel migliore dei modi”.
“Hai vissuto tante nuove esperienze in questa stagione, la migliore?”
“Impossibile sceglierne solo una, però direi Santiago. Vincere un Challenger, finire l’anno nella top 100, addirittura in casa, assicurandomi di poter giocare l’Australian Open…ho avuto tutto. Ovviamente è incredibile anche il fatto di aver giocato il tabellone finale in due Slam (Roland Garros e Wimbledon), aver passato le qualificazioni di Wimbledon; ci sono state un sacco di cose positive e spero che sia solo il primo anno di molte cose del genere”.
“Molti ci provano, ma solo pochi raggiungono la top 100. A te è costato molto?”
“Sono sempre stato un giocatore atipico. Giocavo nel circuito Junior quando ancora andavo a scuola, fino a che non sono più riuscito a reggere tutta questa pressione. Il mio primo anno da professionista è stato buono, molto meglio di quanto pensassi, in continua crescita. Il brutto momento è arrivato nel 2015, alla fine del mio secondo anno da professionista, quando mi sono fatto male al polso. Poi per tutto il 2016 ho combattuto per tornare dove ero prima dell’infortunio (top 170), pensavo che in un anno sarei riuscito a tornare lì, ma non è andata così; ho avuta una stagione molto brutta che mi ha spinto quasi fuori dai primi 600. Giocavo tornei Futures e mi rendevo conto di non essere più in grado d vincere. Lì ho riconsiderato tutto, avevo molte aspettative che non si stavano avverando, sentivo che tutti avevano preso la fiducia. Però mi sono fidato fino alla fine della mia squadra, dei miei allenatori, della mia famiglia…sono stati momenti molto difficili, dai quali sono riuscito ad uscire con fiducia. Amo giocare a tennis e, con l’aiuto di uno psicologo, alla fine sono riuscito a tirare fuori questo amore poco alla volta fino alla riuscita di questa grande stagione”.
“Tu giochi con un vantaggio, il tennis ha sempre fatto parte della tua famiglia”
“Mio nonno materno è Jaime Fillol, un ex giocatore di tennis cileno di primo piano che diventò n.14 del mondo; ha sempre avuto una regola con i suoi figli: potevano giocare solo a tennis fino all’età di 14 anni. Sono sempre andato con lui a giocare a tennis nei fine settimana, mi ha portato a vedere grandi tornei, è stato lui ad inserire nel circuito l’ATP del Cile, ma il momento più bello è stato quando mi ha portato a Wimbledon, in mezzo a tutti i giocatori. Da piccolo ricordo di aver fatto tutti i tipi di sport: calcio, basket, rugby, atletica, ginnastica…ma alla fine il tennis stava guadagnando posizioni e alla fine ha vinto su tutti gli altri. Poi ho fatto un paio di buoni risultati, ho cominciato a pensare di poter essere veramente bravo e mi sono dedicato al tennis al 100%”.
“E il tennis in Cile?”
“Forse ora è nel suo momento peggiore. Non abbiamo una federazione. Escludendo il mio caso, a nessuno dei miei colleghi sta andando bene, stanno tutti attraversando un momento difficile della loro carriera; ma ho molta fiducia in loro e sono sicuro che nel 2018 ne usciranno e impareranno da tutti quei brutti mesi, proprio come io ho imparato dal 2016”.
“Ma non solo il Cile, tutto il tennis sudamericano non sta sicuramente vivendo il suo momento migliore”
“E non saprei nemmeno dirvi molto bene le ragioni di queste difficoltà. Qui in Cile siamo stati molto fortunati, siamo un paese molto poco sportivo; nonostante non avessimo una grande cultura sportiva siamo riusciti a godere di grandi giocatori come el “Chino” (Rios), Nicolás Massú e Fernando González. Molti pensano che sia facile arrivare, non si dà il giusto valore al successo, ma questo è vero anche in altri paesi che hanno grandi figure e pensano che possano durare per sempre, non ricordano i momenti difficili che hanno dovuto attraversare anche quei grandi giocatori”.
“Quei tre che hai nominato sono stati dei grandissimi di questo sport. In che modo hanno influenzato la tua carriera?”
“Mi hanno aiutato molto, ma già nella mia fase adulta. Da bambino non ero troppo fanatico, non avevo idoli, anche se è evidente che sono cresciuto guardando Fernando e Nico. Con Fernando ho un legame più stretto sin dall’infanzia, è sempre stato molto vicino alla mia famiglia. Il mio allenatore, che è anche mio zio, Martín Rodríguez, è stato anche allenatore di Fernando per un po’, quindi lo conosco da anni. Ogni volta che ho una domanda o un dubbio gli scrivo e ne parliamo, abbiamo un ottimo rapporto. Anche El Chino e Nico, ora che fanno parte della squadra di Coppa Davis, mi aiutano molto e mi supportano al 100%. È molto bello averli durante queste due settimane di Coppa Davis in modo che possano trasmettere tutta la loro esperienza”.
“Il tennis si sta muovendo verso un nuovo stile di gioco, molto più veloce e potente. Uno stile che tu conosci molto bene”.
“Il mio stile di gioco è molto aggressivo, cerco sempre di prendere l’iniziativa il prima possibile. Il fatto di essere alto mi impedisce di avere una mobilità molto fluida come quella dei giocatori più piccoli e, per questo motivo, tendo a stancarmi prima. Devo cercare di indirizzare la partita a mio favore, usare i miei colpi, non aspettare che l’avversario sbagli, ma cercare il punto con il mio dritto solido e il rovescio ad alto controllo. Cerco anche di andare a rete e di concludere i punti lì, la mia intenzione è di colpire la palla con il massimo anticipo per accorciare i tempi”.
“Kyrgios, Edmund, Marterer, Nishioka…sono tutti giocatori del ’95, come te. Credi che la Next Gen sia pronto per raccogliere il testimone dei Fab Four?”
“Ricordo una vittoria molto buona contro Chung nei tornei precedenti allo Us Open, dove l’ho battuto in tre set. Con Nishioka ho giocato due volte di seguito qui a Santiago e mi ha sempre battuto, ma siamo sempre andati d’accordo. Tutti quelli che hai nominato hanno il potenziale per stare lassù, sicuramente arriverà il momento in cui si parlerà solo di noi. Ci sono alcuni come Kyrgios che sono già molto noti e consolidati, e altri che hanno già il loro posto nella top 50. Quello che manca a chi non ci è ancora arrivato, come me, è il tempo, l’abitudine alla velocità della palla e la concentrazione necessaria per questo tipo di partite, ma soprattutto la forza mentale. Tutti i giocatori hanno grandi colpi, ognuno con il suo stile di gioco, ma la grande differenza è a livello mentale”.
“Cosa ti aspetti dal 2018? Tanti obiettivi da raggiungere?”
“Sono molto motivato per il 2018. La prima cosa che ho fatto dopo questa incredibile stagione è stata una bella vacanza e ora sono pronto per la preseason, non vedo l’ora di iniziare. Il grande obiettivo è quello di mantenere questo stesso ranking, però giocando solo grandi tornei, abituarmi al livello di intensità che hanno nel tour ATP e, naturalmente, continuare a migliorare sotto l’aspetto tennistico, fisico e mentale”.