La sconfitta per mano di Grigor Dimitrov la notte scorsa nei quarti degli Us open, segna per Roger Federer l’undicesimo anno senza vittorie nel torneo più importante della Grande Mela.
Iniziò tutto nel lontano 2009 quando un Federer fino ad allora dominatore assoluto del circuito, fu sconfitto in finale a Flushing Meadows dall’outsider argentino Juan Martin Del Potro. In quell’anno il campione svizzero veniva da cinque vittorie consecutive in America ed aveva conquistato il Carrer Grande Slam, grazie alla vittoria al Roland Garros, da sempre per lui il terreno più insidioso. Curioso infatti che Roger abbia vinto più di recente Parigi che gli Us Open (ultima vittoria nel 2008), così come il fatto che l’ultimo Slam dell’anno sia l’unico in cui non vi sia mai stato un “Fedal”
DA DEL POTRO A DIMITROV, I GIUSTIZIERI DI FEDERER I giocatori che sul cemento americano sono riusciti ad appropriarsi dello scalpo più ambito del circuito non sono sempre stati avversari irresistibili, se si fa eccezione di Djokovic che lo battè due volte, di cui una nella finale del 2015.
Gli altri sono stati Del Potro (per due volte) Cilic nell’anno magico della sua vittoria a New York, Berdych, Millian e Robredo, quest’ultimi due che ancora la raccontano come la vittoria della loro vita. L’ultima gloria, la notte scorsa, se l’è presa l’ex bambino prodigio Grigor Dimitrov che tanto lo ricorda nelle movenze, cosa che gli valse in passato l’appellativo di “baby Fed”. Il bulgaro però è uscito da tempo dai radar del predestinato e veniva dalla sua stagione peggiore che lo ha spinto fuori dai primi settanta del mondo.
I MOTIVI DI UN BRUSCO DIGIUNO Ma quali sarebbero i motivi dell’improvvisa fine della liason tra Re Roger e lo Us Open? Una spiegazione non è facile trovarla ma di sicuro deve esserci e forse la più plausibile starebbe nella collocazione dello Slam americano, ultimo dell’anno e susseguente alla stagione sull’erba periodo dove Federer tende a concentrare tutte le sue energie.
Nel 2009 lo sgambetto di Del Potro dopo un’annata straordinaria e le energie spese per la vittoria a Parigi sapevano di umana stanchezza, più che altro mentale. Negli anni poi l’avanzare dell’età, gli acciacchi fisici e di conseguenza una preparazione più centellinata lo hanno portato ad arrivare a settembre spesso in debito di ossigeno.
Complice anche il clima a stelle strisce con quell’umidità tipica newyorkese che rende il caldo insopportabile e condizioni di gioco che lo mettono sempre in difficoltà e che Roger traduce lamentando un’insolita lentezza dei campi.
Staremo a vedere quanto il trentottenne Federer avrà ancora da dare ma la certezza pare essere quella che gli ultimi colpi della spettacolare carriera del Re del tennis non avranno più Flushing Meadows come palcoscenico.