Stanislas Wawrinka non è esattamente quello che si definisce un personaggio. Non ha il carisma di Djokovic, non entusiasma le folle come Nadal. Basti vedere come ha reagito dopo l’ultimo punto, sul 5-3 e 40-0 del terzo set, in cui ha semplicemente alzato le mani al cielo, si è avvicinato all’amico sconfitto e poi è tornato al suo posto per asciugarsi. Nessuna lacrima, nessuna esultanza smodata. Perchè di Wawrinka si vede quello che è: uno strenuo lavoratore, uno che in passato ha sacrificato tutto per il tennis (non è affatto un modo di dire) e che, dopo anni di fatiche nel limbo degli ‘altri’, grazie all’aiuto di Magnus Norman – già allenatore di Soderling quando lo svedese sconfisse il re del Roland Garros, nel 2009 – ha saputo aumentare a dismisura il suo livello di gioco. Dopo una fine 2013 da incorniciare, nel primo slam dell’anno ha messo in riga Robredo, Berdych, il campione uscente Djokovic e infine Nadal vincendo un trofeo che, a un paio di mesi dai ventinove anni, non si sarebbe mai aspettato di conquistare. Non accade da ventun’anni, ai tempi di Sergi Bruguera, che un giocatore vinca uno slam battendo il n. 1 e 2 del mondo. Non è mai accaduto che Stan Wawrinka si imponesse contro Rafael Nadal, da cui aveva perso 12 volte su 12 e 26 set a zero. Oggi, però, ce l’ha fatta, negando al maiorchino l’aggancio a Pete Sampras a quota quattordici slam; da domani sarà n. 3 del mondo. E se il destino a volte è scritto nel nome, per quanto banale possa sembrare, il destino di Stan è quella frase di Samuel Beckett che si fece tatuare sul braccio: “Ever tried. Ever failed. No matter. Try Again. Fail again. Fail better”.
La partita di oggi non ha avuto nulla del sapore epico che ha contraddistinto il match con Djokovic. Lo spagnolo è a pezzi per un problema grave alla schiena che gli impedisce totalmente di essere competitivo; a nulla vale il Medical Time Out chiamato. Nadal per due set non si muove e arriva a servire poco più di 120 chilometri orari. Lo svizzero, è doveroso dirlo, pur giocando bene – specialmente un coraggiosissimo primo set – non deve far nulla di speciale per portare a casa i due parziali. Nel terzo, Nadal si sveglia e mostra il suo carisma di campione riuscendo a servire meglio e ad approfittare della tensione dell’avversario. Dopo aver tenuto il servizio salvando due break, è lui a strappare il servizio alla seconda occasione, per poi volare 3 a 0. Conquistato quel margine, il n. 1 al mondo è bravo a tenere il proprio servizio fino al 5 a 3 dove, dopo altri due break point annullati, mette a segno al secondo set point.
Il pubblico si scuote. Chissà cosa avrà pensato Wawrinka, in quei momenti. Come un film, tutte le occasioni mancate gli saranno passate davanti agli occhi; gli anni di inconcludenza, il peso – forse – di essere nato in un paese come la Svizzera, che pur minuscolo, aveva dato i natali a Roger Federer, il cui idolo oscurava tutto il resto. Pur avendo due set di vantaggio e un avversario menomato, pur essendo a un passo dalla vittoria, la partita era ancora aperta. Dopo aver conquistato il primo game Wawrinka, avanti 15-40 spreca due break point e consente a Nadal di tenere il servizio. Avanti 3 a 2 lo svizzero riesce a procurarsi il break a 15 ma, nel turno successivo, perde la battuta, a zero. Nadal era là, campione ferito e ansimante con lo sguardo fisso su ogni palla, come se dicesse al rivale: “Vuoi il titolo? Devi vincerlo tu, però, io non ti regalerò nulla”. Sul 4 a 3 Wawrinka ritrova i nervi saldi e grazie a due sciabolate di dritto strappa di nuovo il servizio a 15. Sul 5 a 3, a soli 4 punti dal titolo, Stan ha il merito di non stare lì e pensare. Uno, due, tre, quattro. Due prime vincenti e altri due servizi efficaci con cui si apre il campo e fa correre un Nadal allo stremo, che non riesce a raggiungere un dritto profondissimo e cede la partita al vero protagonista di questi Australian Open.
E’ capitato ciò che molti si auguravano: uno svizzero ha vinto Melbourne. E non è detto che sia lo svizzero sbagliato.
S. Wawrinka b. R. Nadal 6/3 6/2 3/6 6/3