Federer e Nadal. Nadal e Federer. Nell’immaginario degli aficionados del tennis i loro nomi rappresentavano la sintesi perfetta del nostro gioco preferito. Lo svizzero elegante, dotato di talento naturale e di coordinazione fuori dal comune. Lo spagnolo, rampante esponente di un tennis fatto di coraggio, potenza e determinazione. Due campioni non costruiti, entrambi già predestinati.
Per una decade, almeno a partire dal 2004, ovvero da quando Rafa Nadal è comparso nel circuito con i suoi pantaloncini lunghi e le sue maglie senza maniche, i due hanno dato vita ad un dualismo tennisticamente molto stimolante, proprio per la differenza tecnica e stilistica che sapevano rappresentare. Accumunati dallo sponsor tecnico, e, fatto ben più significativo, da una solida ammirazione e stima reciproca. Si racconta che a Monte Carlo, un timidissimo Nadal avesse chiesto a Carlos Moya di intercedere presso Roger in modo da organizzare una seduta di allenamento insieme. E pare che proprio così andarono i fatti. Altri raccontano invece di una precisa volontà di Re Roger, all’epoca privo di avversari di livello, che aveva intuito il valore del giovane rookie, e voleva studiarlo.
Di sicuro c’è che questi due campioni quest’anno non si sfideranno. Federer, come è noto, ha deciso di fermarsi in estate e di rientrare per il 2017, rigenerato fisicamente e mentalmente, libero dagli obblighi di classifica, di giocare come e dove vuole, forse per puro divertimento e bisogno di tennis agonismo, non avendo niente da dimostrare. Nadal, meditabondo, fa i conti un un fisico che presenta qualche problema di troppo negli ultimi due anni, e impone scelte forzate. Era dal 2004 che questi campioni ci offrivano almeno un momento di sfida e confronto nel circuito, ogni anno. Dando vita, tra l’altro, a discussioni infinite tra gli appossionati: Federer più forte di sempre ma Nadal in grado di metterlo in difficoltà, Federer che vuole giocare contro Nadal sfidandolo sul suo terreno, la corsa e la potenza, Nadal che impone a Federer una palla arrottata e alta sulla quale lo svizzero non può lanciarsi in attacco col suo timing perfetto. E via andare.
Quanto bene hanno fatto al movimento tennistico mondiale questi dibattiti? Difficile quantificarlo, ma di sicuro, la loro mancanza si sente già. Il dualismo tra Murray e Djokovic, ancora tutto da scrivere, è poca cosa al momento, con due campioni di valore che paiono però troppo simili per atteggiamenti, storia e tecnica per significare una sfida vera, come quella tra Rafa e Roger. E poi c’è Wawrinka, troppo meteorico ed incostante per rappresentare un’alternativa valida in termini di personalità. Insomma, l’ingombro positivo di “quei due” si sente, soprattutto perché non ci sono, e questo è proprio il segno della loro cruciale importanza.
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