A prescindere dal gioco e dallo spettacolo, più di competenza dell’arbitro che del tifoso, la questione del tempo che ogni giocatore si prende tra un punto e l’altro sta piano piano diventando un argomento di discussione sempre più caldo, con i warning ricevuti dai top players nei momenti più importanti della partita che fanno sempre discutere, anche se la regola c’è e la colpa dei giudici di sedia è quella di farla rispettare. Dall’introduzione della ormai celebre regola dei 25 secondi in molti si sono lamentati o comunque hanno fatto molta fatica a cambiare il loro modo di spendere le piccole pause che intervallano due punti consecutivi, eppure non è possibile fare di tutta l’erba un fascio, come hanno dimostrato i dati raccolti da fivethirtyeight.com:
Il nove volte campione del Roland Garros Rafael Nadal è uno dei giocatori più lenti degli ultimi 25 anni mentre Roger Federer è decisamente più veloce rispetto alla media. Novak Djokovic è più lento rispetto alla media ma dopo l’introduzione della nuova regola si è adeguato, velocizzando non poco le operazioni di ripresa del gioco, al contrario di quanto fatto da Andy Murray. Una partita di tennis non è finita fino a quando un giocatore vince due set o tre, ma quali sono i giocatori protagonisti nel match è decisivo per stabilire quanto tempo ci vuole per andare dall’inizio alla fine. Ai giocatori non sono concessi più di 20 secondi tra i servizi al Grand Slam e se superano la soglia per due volte e vengono ammoniti formalmente, perdono un primo servizio. Alcuni giocatori allungano e accorciano i propri tempi come tattica per riposare o far innervosire gli avversari. Nel corso di diversi giochi e set, il gioco più lento può aggiungere 15 minuti o più di una partita, gettando via palinsesti televisivi e mettendo alla prova la pazienza dei fan. Importa abbastanza per l’ATP, che ha messo in atto un giro di vite sul gioco lento per far rispettare le regole. Poi di nuovo, scambi lunghi emozionanti richiedono più tempo e pause più lunghe in mezzo, quindi un rallentamento non sempre è da considerarsi come un avvenimento negativo. L’analista Jeff Sackmann ha elencato le statistiche relative al tempo tra due punti per gli ultimi 25 anni nel circuito maschile. Nei primi anni 1990, l’epoca del serve-and-volley di Pete Sampras e dei recuperi incredibili di Andre Agassi , il gioco ha accelerato. Poi, a partire alla fine del 1990, come il gioco si è spostato a battaglie da fondo campo, è rallentato – fino al 2012, quando il punto di media ha fatto segnalare 4,6 secondi in più rispetto al 1991. Ciò non sembra molto, ma è pari a 19 minuti in più nell’arco di 250 punti, un numero tipico per una partita al meglio dei cinque set.
Nel 2012, la finale in cinque set dell’Australian Open tra Nadal e Djokovic è durata ben cinque ore e 53 minuti , provocando una reazione da parte dell’ATP volta a far richiamare le violazioni di tempo in maniera più rigorosa, con risultati piuttosto incoraggianti visto che il gioco in quell’anno è accelerato di 2,6 secondi per punto, ed è rimasto più o meno a quel livello da allora. Anche le superfici di gioco, naturalmente, hanno il loro peso. I quattro tornei più veloci erano su erba – con Wimbledon il più veloce- mentre i più lenti erano i tornei sulla terra rossa. L’erba incoraggia gli scambi più veloci, che prendono meno tempo e richiedono un minore recupero, mentre il rosso può considerarsi totalmente l’opposto. Il dato di tempo tra un punto e l’altro va anche considerato in un insieme comprendente anche il tempo che un singolo giocatore impiega in media per concludere uno scambio, visto che i dati sono strettamente collegati e visto soprattutto che è stato dimostrato di quanto sia discriminante il derivante beneficio fisico dato da pause più lunghe.
A prendersi un po’ di tempo in più non sono comunque solo i giocatori della nostra epoca: a Djokovic, Nadal e Murray vanno ad aggiungersi anche campioni del passato come Connors, Courier, Lendl e McEnroe, anche se il paragone con campioni sull’erba come Federer e Ivanisevic dimostra di come non ci sia una effettiva correlazione tra percentuale di vittoria e velocità effettiva di gioco. Questa analisi chiaramente non può tenere perfettamente conto del cambio di ritmo che può avere un giocatore durante la sua carriera. Uno che del tempo in più ne sa qualcosa è Nadal, dimostratosi irritato che tale argomento sia diventato così topico nell’ultimo periodo:”Non so perché, ma è molto interessante che stiamo parlando molto di tempo negli ultimi tre anni”, ha detto in risposta ad una domanda in conferenza stampa al Roland Garros. Proprio Nadal è stato al centro di un curioso caso che lo ha visto chiedere di non essere arbitrato dal giudice di sedia Bernardes, con il quale aveva avuto più di un attrito sulla questione warning per perdita di tempo, venendo oltretutto accontentato e lasciando dietro di sé un pericoloso precedente. Andy Murray, d’altro canto, sa di essere a volte troppo lento:”Non è di certo mia intenzione farlo, però è difficile sapere quando si sta prendendo troppo tempo. Dovremmo passare i 25 secondi prima di servire a contare fino a 25? No, stai pensando di tattiche o ad altro, quello che stai per fare con il servizio eccetera, dunque sì, a volte si può andare un po’ in la con i secondi. ” Dal momento che Murray e Nadal si stancano di tutte le domande a tal proposito, ho chiesto ad alcuni dei giocatori più veloci di oggi perché spingono il ritmo. Tutti di loro ha detto che è sempre stato il loro stile. Nel passato c’erano stati giocatori come Ivanisevic ed Agassi ad accelerare il ritmo, dando un ulteriore tratto caratteristico al loro stile di gioco, e un perché lo ha provato a dare Bernard Tomic: il giovane australiano ha detto che gioca veloce deliberatamente; sostiene che mescolando il ritmo tra i punti si può trovare un altro modo per destabilizzare gli avversari, come cambiare la velocità o rotazione della palla. “Ognuno interpreta in modo diverso”, ha detto Tomic. “Questa è l’arma che abbiamo di questi tempi”.