La carriera di Nadal è stata, sin dagli esordi, a elevato rischio. Si ricordi come lo spagnolo abbia sofferto di un problema al piede che lo costrinse a saltare i primi importanti appuntamenti sull’amato rosso, come il Roland Garros del 2004. A suo tempo, grazie all’utilizzo di una particolare soletta, si scongiurò il ritiro anticipato del toro di Manacor dai campi di gioco. Tuttavia, i problemi di Rafa non si limitarono al solo problema al piede. È noto come Nadal sia affetto dalla cosiddetta “Sindrome di Hoffa“, una patologia assai debilitante che colpisce le ginocchia.
Più precisamente, trattasi di una infiammazione dolorosa del corpo di Hoffa (un cuscinetto di tessuto adiposo posto dietro la rotula). Non è raro osservare due bende subito sotto il ginocchio.
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Gli “strap” al di sotto del ginocchio servono a prevenire un peggioramento della condizione clinica e l’insorgenza di una più grave patologia del tendine rotuleo. Sulla terra rossa, è bene precisare, il problema è in parte limitato: i giocatori abituati a queste superfici che permettono lo “scivolamento controllato”– dove, a parità di impulso, il maggior tempo di frenata implica il raggiungimento di forze massime più basse (Figura 1) – sono colpiti da un numero significativamente inferiore di situazioni dolorose o di infortuni rispetto a coloro i quali si cimentano su superfici “dure”. Questi riscontri hanno giustificazioni di tipo biomeccanico in quanto, ad esempio, la reazione al terreno, in alcuni colpi, è tre volte superiore su queste superfici rispetto a quella sulla comune terra rossa, così come risulta più elevata l’attività elettromiografica dei muscoli peronei. Rafa, in estrema sintesi, sulla terra rossa può scivolare nel recupero di una palla, ad esempio, ammortizzando i carichi elevati: maggior tempo di frenata significa minore stress a livello delle articolazioni.
Ciò, ovviamente, non è possibile con le stesse modalità e facilità sui campi in duro. Tanto premesso, chi scrive stigmatizza la programmazione del 2017 del Campione spagnolo. Premesso che Rafa non riesce, spesso, a terminare integro una intera stagione, dopo la vittoria agli Us Open dello scorso anno, sarebbe stata auspicabile una pausa. Dunque, saltare la Laver Cup e la tournée asiatica (o almeno partecipare ad un solo evento), indirizzando i propri obiettivi verso la conquista dell’unico trofeo mancante al suo invidiabile palmarès, ovvero le Atp Finals. Ed invece, Rafa ha partecipato ai maggiori eventi di ottobre e novembre – per riuscire a conquistare il primo posto nel ranking Atp – arrivando in condizioni precarie all’appuntamento di Londra. Tale decisione, scellerata, ha sicuramente contribuito all’insorgenza dell’infortunio all’inguine patito agli Australian Open 2018, nel corso della partita contro Cilic. Si è verificato, cioè, un sovraccarico distrettuale dovuto, appunto, alla mole di gioco degli ultimi mesi. La programmazione del 16 volte campione slam prevede il ritorno ad Acapulco e poi la partecipazione ai 2 mille americani: ancora una volta, la scelta è da considerarsi azzardata. Meglio rientrare sulla terra rossa, a Montecarlo. Purtroppo, però, gli sponsor e i contratti con i vari tornei la fanno da padrone a discapito della performance e, soprattutto, della salute dei tennisti.
Di Rodolfo Lisi