Djokovic inarrivabile, poi Murray e Federer, Wawrinka, un ancora competitivo Nadal e, dietro di loro, ancora troppo gap.
Un’alternativa a questi giocatori potrebbe essere Milos Raonic. E’ stato in precedenza criticato per il suo gioco monotematico, la mancanza di varietà nei colpi, e la scarsità di performance e risultati davvero convincenti.
La musica è cambiata: Ljubicic, prima di allenare un certo Federer, ha ampliato il bagaglio di variabili nel gioco di Raonic. Ora, con Moya, non è così strano vedere il massiccio canadese proiettarsi a rete per chiudere i punti, o comunque giocare slice con una certa disinvoltura. A questi si sommano il devastante servizio – vero punto di forza, da sempre – e l’altrettanto pesante diritto.
Limitatamente ai risultati, quel che manca a Raonic è un Master 1000 o, perché no, uno Slam. Credo sia lecito aspettarsi risultati di questo calibro: Raonic ha ancora 25 anni, e per il tennis attuale l’età è solo un numero.
La stagione conferma quanto detto: l’ultimo degli 8 titoli è quello di Brisbane, conquistato contro Federer in due set. Da segnalare anche la semi finale epica persa contro Murray agli Australian Open, e la sconfitta in finale a Indian Wells, contro un sempre inscalfibile Djokovic.
Il sentire generale è quello di una progressiva crescita, sia a livello di gioco che a livello mentale; in quest’ultima fondamentale variabile Raonic sembra emanare una certa sicurezza e autocontrollo. Se con Ljubicic a crescere era stato l’aspetto del gioco – principalmente – , adesso con Moya il puzzle sembra completo, e per la definitiva esplosione pare sia solo questione di tempo.
La stagione è ancora lunga e speriamo Raonic possa dimostrare di essere quell’unica tangibile alternativa allo strapotere dei Fab Four (o Fab Five).