Nel mondo del marketing, nel quale gli annunci e l’immagine sono tutto quello che conta, la sostanza è puntalmente un aspetto secondario. Nel mondo dello sport, invece, serve il risultato, l’unica cosa importante. Il resto è contorno, talvolta buona letteratura, ma nulla che importi per i libri di storia e gli annali sportivi. Quando il marketing irrompe nello sport, per solito, fa danni. A mio parere la vicenda che stiamo vivendo in queste ore non felici per il tennis italiano ha del surreale. Cerchiamo di capire il perché.
La FIT ha fortemente voluto le prequalificazioni. Un’idea condivisibile, un modo per tenere impegnato tutto il movimento tennistico nazionale e orientarlo verso l’appuntamento degli Internazionali di Roma. Il risultato sportivo però è piuttosto sconfortante: molti dei giocatori impegnati nelle prequalificazioni sono entrati grazie alla loro classifica ed alle fisiologiche defezioni altrui nel tabellone cadetto, dal quale, fatta la tara, il solo Filippo Volandri ne è uscito a testa alta, l’unico che aveva deciso di giocare il challanger di Roma, nel quale aveva anche ben figurato. Merita la sufficienza Matteo Donati, capace di battere Santiago Giraldo al primo turno: il piemontese, però, aveva dato forfait per le prequalificazioni, altra ironia della sorte.
Thomas Fabbiano, Luca Vanni, Andrea Arnaboldi, Alessandro Giannessi, Federico Gaio: tutti impegnati nelle prequalificazioni, tutti puntualmente entrati come alternates, tanto che gli inviti FIT sono andati a giocatori estromessi nel mini-torneo, come Matteo Viola, addirittura eliminato al terzo turno. Ci domandiamo, con serenità: cui prodest tutto questo bailamme anche mediatico, con diretta televisiva sul canale FIT, per testimoniare incontri che non decidevano nulla o quasi? Non era meglio far giocare questi ragazzi il torneo di Roma Garden, e magari usare il circuito challenger pre-Internazionali per creare una graduatoria per le prequalificazioni?
E quale lo stato di salute di un movimento che riesce a portare un solo giocatore al secondo turno, a fronte di 16 giocatori schierati tra tabellone principale e qualificazioni? 4 vittorie, 2 di Volandri, una di Donati e una di Seppi. Certo, le prestazioni gagliarde di Cecchinato contro Milos Raonic, uno dei più forti giocatori in assoluto del circuito, di Lorenzo Sonego molto vicino alla vittoria contro Joao Sousa, di Giacalone in qualificazione, non possono però essere annoverate tra gli utili, se non nella nefasta categoria denominata “in prospettiva” (citofonare Bolelli).
La inopinata sconfitta di Fabio Fognini contro un giocatore a lui chiaramente inferiore in ogni punto del campo eccetto che nella testa e nell’approccio a questo sport, con la querelle del “Pietrangeli” prima promesso poi negato, è la ciliegina su una torta la cui crema sa di rancido e la decorazione perde pezzi. Insomma: l’operazione prequalificazioni assume toni surreali, da commedia dell’assurdo, con giocatori costretti ad ore di battaglia spesso per ottenere un privilegio che poi è la stessa entry list a garantire, ed altri, eliminati, che rientrano dalla porta principale. Avvicinare il pubblico al tennis è un conto, rendersi ridicoli, un altro.
E allora: tutto questo marketing, l’anatema contro il Team Giorgi (e l’assordante silenzio sulla sconfitta della Errani per mano della italo-argentina a Madrid), le sansioni applicate a Bolelli per il suo garbato “preferirei di no” in Davis (con altrettanto assordante silenzio sulla stagione per ora fallimentare del tennista di Budrio, infortunio a parte), e prima ancora la Coppa Valerio imposta ad un Gianluigi Quinzi che aveva bisogno di staccare il cordone ombelicale col mondo junior, e infine il trattamento riservato ad Adriano Panatta invitato sul centrale di Parigi e ignorato o quasi in patria, sanno di quella commedia shakesperiana la cui regia sarda, dopo 16 anni di regno, comincia davvero ad annoiare.