Avevamo già cominciato a ragionarci, sulla vittoria di Djokovic. A calcolare le sue chances di compiere il Grande Slam, a chiederci quanto fosse o meno meritato. Ma avevamo fatto i conti senza l’oste. Che in questo caso non è un oste, ma uno svizzero.
Che Stan Wawrinka avrebbe giocato un gran match c’era da aspettarselo. Che ce ne avrebbe fatte vedere di tutti i i colori anche. Ma alzi la mano chi in cuor proprio non pensava ed era convinto che, alla fine, avrebbe vinto di nuovo lui, Djokovic. Il più in forma del momento, il n. 1 del mondo da luglio dello scorso anno, al suo undicesimo Roland Garros (proprio alla undicesima partecipazione Agassi e Federer avevano portato a casa il titolo, sarà destino, ci eravamo detti).
E invece, ancora una volta questo sport ha saputo sorprenderci, ed emozionarci come da tempo, onestamente, non accadeva.
Dopo alcuni anni di finali un po’ soporifere che ci avevano fatto addirittura preferire lo studio per gli esami agli scambi ripetitivi di Nadal e Djkovic (il che è grave, ve lo assicuro…) finalmente la finale di quest’anno è stata di quelle che non ti fanno scollare dal divano, e che ha regalato punti su punti di perle e spettacolo. Da parte di entrambi i giocatori, ma ovviamente soprattutto per mano di Wawrinka.
Perché Stan The Man, come tutti ormai lo chiamano, ha saputo ricordarci come anche giocando un tennis così brillante, sul filo del rasoio, in bilico tra il vincente che esalta tutti e l’errore più banale, si possa vincere uno Slam. Per di più l’ha fatto al Roland Garros, torneo che aveva già vinto da junior. Sulla terra che, nonostante la vittoria di Melbourne, rimaneva la sua superficie preferita e quella sulla quale è cresciuto.
La sua vittoria fa bene al tennis e allo sport, perché è la dimostrazione di come i miglioramenti siano sempre possibili e di come il duro lavoro nel tempo paghi. Certo, nel caso di Wawrinka la base c’era tutta ed era costituita dal suo talento cristallino, ma non si può dimenticare l’incostanza (a tratti follia) che ha sempre caratterizzato, ancora ora, questo grande campione. Eppure a 29 anni, in Australia, ora di nuovo a Parigi, Stan è stato in grado di trovare la concentrazione per arrivare fino in fondo.
Così oggi il tatuaggio che porta sull’avambraccio sembra anacronistico. “Ever tried. Ever fail. Try again. Fail again. Fail better”. Stavolta non c’è stato spazio per il fallimento, ma solo per il successo. Vincendo questo secondo Slam, ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la prima vittoria a Melbourne non era stata un caso.
Ha perso una delle occasioni della vita invece Djokovic e ne era sicuramente consapevole. Nonostante l’esperienza, la tensione c’era tutta e si è vista quando Nole ha trattenuto le lacrime, durante l’applauso che lo Chatrier gli ha tributato e che è durato interminabili minuti. Tuttavia il Roland Garros di quest’anno è stato anche il simbolo di un’epoca tennistica che sembra volgere al termine, con i quasi trentaquattro anni di Federer che pesano sulle sue spalle (e il fatto che sia ancora n. 2 del mondo la dice lunga sul suo infinito talento, che gli permette di essere ancora competitivo, da una parte, ma anche sulla mancanza di ricambio dall’altra) e un Nadal che, in ginocchio anche sulla sua terra, fa chiedere a tutti se sarà capace di rialzarsi di nuovo.
Ecco perché di occasioni di vincere questo torneo Nole, se rimarrà su questi livelli come sembra sia intenzionato a fare, ne avrà sicuramente molte altre. Di fare il Grande Slam, chissà.