Oggi 24 marzo, compie gli anni lo storico coach di Novak Djokovic ovvero Marián Vajda.
Il tennis è uno degli sport più individuali in giro, quando i giocatori sono sul campo sono impegnati sempre mentalmente , ma dietro le quinte, possono contare su persone importanti ed esperte, pronte sempre ad aiutarli sia mentalmente che fisicamente. Per Novak Djokovic, l’uomo principale in questo ruolo è Marian Vajda.
È difficile sentir parlare di lui visto che preferisce rimanere nll’ombra rispetto ad altri coach, ma il ruolo di Marian é la chiave fondamentale nel meccanismo perfetto del numero uno del mondo serbo. Marian Vajda è nato il 24 ° marzo 1965 a Považská Bystrica in Slovacchia, nella sua carriera da giocatore, ha raggiunto il numero 34 al mondo nella classifica Atp ed è riuscito a vincere due titoli ATP Tour . Il primo è arrivato in casa a Praga nel 1987, quando ha sconfitto il connazionale Tomas Smid e il secondo é arrivato l’anno successivo con la vittoria a Ginevra contro lo svedese Kent Carlsson.
Dopo che la sua carriera da giocatore si è conclusa, Vajda ha continuato in Coppa Davis e Fed Cup, ma è attraverso la sua relazione con Novak Djokovic iniziata nel 2006, che ha raggiunto il suo più grande successo. Il duo si è riunito in circostanze alquanto improbabili però e devono ringraziare la figlia di Vajda, Natalia. Quando Marián si separò dall’ex numero sei del mondo Karol Kucera, la famiglia di Novak Djokovic gli chiese un incontro a Parigi. A quel tempo però, Djokovic non era il nome importante che é ora e Vajda non era troppo entusiasta di viaggiare in Francia e incontrare il giovane serbo. E ‘stato, infatti, convinto a prendere parte all’incontro dalla figlia, che ha voluto visitare la città e le sue attrazioni turistiche, il resto è storia.
Da quando ha iniziato a lavorare con Vajda, il gioco di Djokovic è andato sempre migliorando in termini di resistenza , ma l’allenatore slovacco è rimasto sempre dietro le quinte nel bene o nel male. Alcuni dei momenti più difficili in questa relazione sono arrivati quando Djokovic ha cercato assistenza esterna sia da Todd Woodbridge che da Mark Woodforde, relazioni terminate in modo piuttosto breve.
Nonostante il lavoro fuori dalle luci della ribalta, Vajda è sempre stato molto apprezzato sia dal mondo del tennis che da Novak stesso per il suo grande lavoro “silenzioso”.
In un’intervista a “Vecernje Novosti” l’ex numero 34 del mondo ha parlato un pò della sua infanzia, della sua famiglia, ma soprattutto del suo rapporto con il tennista e pupillo serbo:
Ci racconti del suo primo incontro con Novak. Nel 2006, a Parigi?
“E’ stato tutto molto strano. Io in quel periodo non lavoravo e Novak cercava un allenatore. Il tutto ha combaciato a Parigi, al Roland Garros. Sono arrivato lì con mia figlia Natalia e ho subito incontrato tutta la sua famiglia. Ho avuto la sensazione che fossero molto legati ed uniti. C’è stata subito un’ottima comunicazione fra noi e Novak irradiava fiducia in sé stesso (proprio in quella edizione Novak arrivò per la prima volta ai quarti di uno Slam, dove si dovette ritirare per problemi alla schiena quanto era sotto 2 set a 0 contro Nadal. Nella conferenza stampa post-match, il primo tra i due, il 19enne serbo disse che se non avesse avuto problemi fisici avrebbe potuto tranquillamente battere Rafa, ndr). Quel primo incontro mi ha lasciato una bella sensazione,anche se non avevo idea di ciò in cui mi stavo cacciando!”
Come è stato lavorare con lui all’inizio della vostra collaborazione?
“Ben presto tutto ha iniziato a girare nel verso giusto ed io mi sono inserito nel ciclo infinito di cose legate al grande obiettivo di Novak, diventare il numero 1. Mi divertivo, il mio lavoro mi riempiva la vita, e Novak migliorava e vinceva. Di anno in anno saliva nella classifica mondiale. Il risultato di tutto ciò è che è diventato il numero 1. Naturalmente non ci sono stati solo successi, ci sono stati anche momenti di stagnazione, crisi da superare e terribili pressioni che dovevano essere trasformate in pensiero positivo ed in azione. Per questo ci vuole tempo e ci vuole pazienza, e io ce l’ho.”
Djokovic parla di lei come di un secondo padre, e lei come si rivolge a lui?
“Ho sempre pensato che Novak sia cresciuto in una famiglia con delle buone relazioni familiari. E’ molto ben educato e ha rispetto di tutto quelli che lo circondano, e dell’allenatore. Che sia incredibilmente pieno di talento, non c’è dubbio. Ha sfruttato il suo talento attraverso il duro lavoro ed il sacrificio. Novak sa quanto è importante la famiglia per lui e quanti sforzi ha investito per permettergli di arrivare in cima, di avere successo ed essere famoso. Forse proprio perché all’inizio l’ho incontrato con la sua famiglia, e perché sono il suo allenatore e mentore, a Novak viene spontaneo chiamarmi «fratello».”
In che cosa lo ha aiutato di più dal punti di vista del gioco?
“All’inizio, quando ci siamo conosciuti, a mio parere Novak non era tecnicamente completo come è adesso. E’ importante che si impegni sempre per migliorare. Ha costantemente il desiderio di essere il migliore al mondo. Questo motiva anche me, anche se è ormai diventata un’abitudine. Il suo vantaggio principale era ed è la voglia di vincere, che è profondamente radicata in lui. Per me come allenatore la vittoria è l’approccio responsabile all’allenamento e la professionalità sotto ogni punto di vista. Tutte cose che Novak fa. Sono qui quando ha bisogno di me, so aiutarlo nella preparazione e lui sa che può contare su di me per questo.”
Cosa si prova a essere Marián Vajda?
“Sono contento di essere rimasto fedele a me stesso e che per me ogni giorno è prezioso. Di fare ogni giorno ciò che mi dà soddisfazione, che le mie figlie siano sane e che stiano cercando il vero senso della vita. Sono molto contento di aver incontrato Nole e di supportarlo ancora nel suo obiettivo di essere il migliore al mondo” conclude Vajda.
Facciamo i migliori auguri al coach storico del campione serbo.