A tu per tu con Luca Vanni

L’eroe della settimana scorsa è stato indubbiamente l’aretino Luca Vanni. Lucone, come si fa chiamare, ha sfiorato un successo nell’ATP 250 di San Paolo che avrebbe avuto dell’incredibile.

Entrato come lucky loser al posto dell’infortunato Feliciano Lopez, ha beneficiato di un bye al primo turno ma poi ha battuto con testa e cuore un avversario dopo l’altro, fino ad arrivare a quell’incredibile successo in semifinale contro il beniamino di casa Joao Souza e il poco sportivo pubblico brasiliano. Solo in finale è arrivata la sconfitta, nel tie-break del terzo set, contro un altro tennista che come Vanni ha dovuto risalire arduamente la china, dopo una serie di infortuni e operazioni.

Nel day after Luca Vanni si è concesso a un’intervista da parte dei colleghi della Gazzetta dello Sport. Molte gli argomenti affrontati, dal mancato successo al caso scommesse, passando anche per la vita privata. Di seguito vi riproponiamo l’intervista integrale:

La vita cambia, a 29 anni, dopo la prima finale Atp, sia pur persa a San Paolo contro il veterano Pablo Cuevas?
“No, e perché? La vita cambia se vinci i milioni al SuperEnalotto, ma la cosa fondamentale per un uomo è avere il senso del denaro. Non mi compro l’auto nuova, da 150mila euro, vado avanti con la mia Bravo con 300mila chilometri. Eppoi se faccio qualcosa che non va c’è sempre la mì sorella che lavora in banca, e sta attenta ai conti”.
LucaVanniSanPaolo

Ecco, quand’è diventato uomo Luca Vanni? 
“Due anni fa, quando sono stato costretto a casa cinque mesi per fare la riabilitazione dopo la terza operazione alle ginocchia, e guardavo gli altri colleghi, gli amici che potevano giocare, mentre io lottavo, e stentavo a riprendere. Perché tornare non è così semplice come uno crede, ti fa male ovunque, il corpo non è più abituato a certo sforzi. In pratica ho ripreso solo ad agosto. Senza contare che mi è venuta anche un’otite”.

Mai, in quei momenti, avrebbe pensato a questo riscatto sul destino, in Brasile. 
“Ho perso la finale, ma sono contentissimo anche così. Non è stato un miracolo. L’anno scorso ho fatto tanti risultati nei Futures e sono arrivato alla prima finale Challenger, a Kaohsiung, in Cina, perdendo con Lu 6-4 al terzo, e poi cedendo di poco in altri match contro giocatori quotati. Anche quest’anno, mi sono qualificato a Chennai, e in tabellone ho perso con Berankis, ex top 100, a Quito, la settimana scorsa avevo perso con Lajovic, che ho battuto a San Paolo, e anche in tabellone in Brasile ho superato tutti giocatori di livello, che avevano eliminato gente forte come Monaco e Verdasco. Non si arriva con una partita o un torneo, almeno se non sei un fenomeno. Anche sono stato avvantaggiato dal prendere in tabellone il posto di Lopez. Ho perso con Cuevas, che è un signor giocatore da terra, vale i primi 20 del mondo, e se due anni fa non si fosse operato a un’anca, ci sarebbe restato”. (oggi l’uruguaiano è tornato 23, ndr).
Contro Souza ha battuto un brasiliano, tenendo testa anche al pubblico. Senza gestacci, senza proteste plateali, di classe. Complimenti. 
“Quella partita l’ho vinta di testa, perché senza il pubblico vincevo in due set, ma sinceramente, non sono un santo che non rompe mai una racchetta, ma, soprattutto in un torneo così importante, con la tv, non è nel mio stile comportarmi male, farmi notare in negativo. Se poi gli avessi dato un minimo spunto di un comportamento non corretto mi avrebbero massacrato. E così dopo 3 ore l’ho spuntata io, pensando solo a concentrarmi sulla partita”.
Amici e colleghi la chiamano affettuosamente Lucone o Luchino, le vogliono bene persino i brasiliani, malgrado gli abbia battuto l’eroe Souza: lei è un buono? 
“Storie come quelle del mio amico Federico Luzzi, tragedie che non dovrebbero mai accadere, mi hanno fatto capire che bisogna comportarsi bene con gli altri, anche a scapito di se stessi, aiutare il prossimo: è un modo di essere che mi fa sentir bene con me stesso. E’ un insegnamento che mi hanno trasmesso i genitori, mamma è molto religiosa, io credo, ma non pratico tanto”.

Eppoi c’è Francesca, l’amore della sua vita. 
“E’ la mia vita, l’unica persona con cui parlo tutti i giorni, capisce la mia vita, lei studia all’università, Economia e commercio, io sono ragioniere: era il patto coi genitori, mi avrebbero lasciato giocare a tennis se avessi finito la scuola, e pubblica, non privata. Anche per questo ho cominciato tardi, a 19 anni. Poi mi sono fatto male già al primo anno da pro’, rompendomi menisco e collaterali del ginocchio destro, e dopo 6 mesi mi sono operato all’altro ginocchio. Quindi nel 2013, quand’ero risalito al 290 del mondo, altro problema, altra operazione, ancora al ginocchio destro. A San Paolo mi faceva un po’ male il sinistro, ma credo fosse solo affaticamento per le tante partite in pochi giorni”.

Come fa uno come lei a finanziarsi l’attività? 
“A 100mila dollari di guadagni ci arrivi solo se stai stabilmente nei primi 150 del mondo. Io sono andato avanti coi 1500-2000 dei Futures, ma vincendo singolare e doppio. L’anno scorso ho fatto 9 settimane folli: il weekend giocavo in Sardegna i tornei Futures del Fort Village, rientravo a Roma, prendevo la macchina e andavo a giocare con la mia squadra del campionato italiano a squadre, di A-2 di Sinalunga (provincia di Siena), che ho contribuito a portare in serie A-1. E giocavo, e gioco, anche la Bundesliga in Germania e il campionato a squadre in Francia. Quei soldi servono per pagare le spese, l’allenatore”.
Non è una giustificazione, ma così si può cadere alle tentazioni delle scommesse. Lei è amico di Bracciali e Starace, che sono stati coinvolti nell’inchiesta della magistratura. 
“Sono più amico di Potito. Ma certo non ci mettiamo a parlare di cose così. Sono un po’ spiazzato dalla storia e, per quanto mi riguarda, chi è colpevole deve essere radiato. Che nessuno però si sorprenda, non la Itf e la Atp, il sistema di questi tornei “minori” è malato alla radice, e solo adesso le associazioni stanno alzando i premi per evitare certe sollecitazioni di malati di scommesse e di soldi. Perché, per esempio, quello che ho fatto io l’anno scorso, coi miei viaggi continui, non è stato il massimo per il mio fisico. Dopo le gare è meglio riposare, non rischiare tanti stress, figurati uno come me, alto 1.98 che in aereo sta sempre a cercarsi il posto sui corridoi e le uscite di sicurezza, sennò non ci sta…. Ma, altrimenti, come avrei potuto giocare a tennis?”.


Ma come lo spiega questo bum tardivo? 
“Intanto mi ha aiutato l’esempio di altri italiani che si sono realizzati a 28-30 anni. Cipolla, Di Mauro, Lorenzi mi hanno fatto credere che se tu ti senti giovane non ascoltare chi ti dice: “Lascia perdere”. E poi c’è questa parola bellissima, resilienza, che mi ha insegnato il mio mental coach, Marco Formica. Ce l’avevo dentro, da sempre, ci ho sempre creduto nella mia realizzazione come tennista, ma ho preso decisioni sbagliate, dovevo maturare e dovevo limare tante cose, però importantissime, che portano uno come me che gioca per un po’ da 260 del mondo a salire fra i 100”.
Ha dimostrato di non essere solo un gran servizio e un bel rovescio naturale. Adesso dovrà essere offensivo sempre, non solo a tratti. 
“Fa parte dell’attitudine che impari all’inizio. Così spingo a sprazzi o quando sono disperato. Devo accettare di avere meno tempo per tirare come vorrei per dare meno tempo all’avversario e metterlo in difficoltà. Poi le superfici le amo tutte”.

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