di Renato BORRELLI
Quando nel 2050, o giù di lì, i commentatori prossimi venturi del tennis volgeranno il loro sguardo indietro, verso il primo ventennio del secolo, per raccontare l’età d’oro di una disciplina che vide sul proscenio tutti e tre contemporaneamente i migliori giocatori della storia, non potranno non riservare un intero capitolo della propria analisi ad un atleta all’epoca -necessariamente- posto in secondo piano rispetto ai big, ed anche ad un altro tipo che pareva lanciato sulle orme di quelli, prima che un fisico troppo costruito gli chiedesse il conto proprio sul più bello. Se non faticherete ad individuare quest’ultimo nella figura dolente (in tutti i sensi, per i suoi ripetuti guai che ne hanno limitato un vastissimo potenziale, e per l’atteggiamento che assumeva in partita, sempre apparentemente sull’orlo del collasso) di Andy Murray, solo gli osservatori -contemporanei, non futuri- più attenti comprenderanno al volo che sì, ci stiamo riferendo proprio a lui: ad uno che nacque come Stanislas nel 1985, quanto ad età situato fra Federer e la coppia Nadal-Djokovic, e ad un certo punto pensò bene di rinominarsi semplicemente Stan (per dire di come il personaggio non sia scevro di una certa dose di originalità).
Già, dato che il buon Wawrinka ha dovuto fare più d’un salto mortale per uscire dal cono d’ombra dei fab four, e qualcheduno pure fuori dal campo: la faccenda tutto sommato innocente del nome, e quella molto di meno dell’aver di punto in bianco piantato in asso prole e legittima consorte per le grazie di una collega piuttosto attraente e disinvolta (Donna Vekic, australiana ma di origini slave al pari suo, che se l’era discretamente spassata con un connazionale quale Thanasi Kokkinakis: prima, o secondo quel mattacchione di Nick Kyrgios durante, come non mancò di ricordargli un giorno che era particolarmente su di giri…). Ma è una storia che non ci interessa in tal sede, perché intendiamo occuparci al contrario delle doti tecniche/agonistiche, e dei risultati di un personaggio dotato di indubbi attributi in tal senso: il quale tuttavia, per quanto abbia fatto sul campo, sarà sempre e comunque il numero 2 di casa sua. Un condominio che comprende, in pratica, solo due occupanti: ed a lui spetta, ed è spettato, in ogni caso l’ultimo posto della lista. Frustrante, vero?
Sicuro, specie considerando che ad un certo punto era in terza posizione nel ranking mondiale, all’indomani del suo primo Slam (Australia 2014). Vogliamo esplicitare subito il nostro pensiero: Svizzera 2, come sempre è stato poco elegantemente apostrofato, rappresenterà per i posteri un qualcosa che -con un’espressione felicemente coniata a suo tempo riguardo ad un crack del football come George Best, ma per motivi differenti- efficacemente può sintetizzarsi con la definizione di 5’ Beatle. Vi intendete appena un po’ di musica? Se la risposta è no fa lo stesso, perché i 4 di Liverpool li conoscono tutti… Ebbene, Federer, ovverossia il genio, la classe, la superiorità quanto meno morale rispetto a chiunque altro, è John Lennon, il leader spirituale della band, cui si devono musiche immortali quali “Let it be”, “She loves you”, “Yesterday” e cento altre. Djokovic è Paul Mc Cartney, colui il quale fin da subito si è giocato con John la supremazia del gruppo, ed è proprio il loro contrasto latente ad aver fornito e generato la sintesi perfetta, quella creatività che ha portato i Beatles all’ immortalità. Nadal è George Harrison, forse un gradino sotto i due giganti, ma consegnato anch’ esso come loro alla gloria imperitura, pure per aver firmato lui stesso capolavori ineguagliabili (“Something”, “Here comes the sun”) spezzando l’ ispirazione dittatoriale degli altri due. Murray è Ringo Starr, un onesto praticante che della volontà ha fatto la sua arma migliore, alla fine risplendendo molto di luce riflessa sì, ma comunque potendo vantare doti -parecchio- superiori alla media.
Con questo quartetto di grandi, il nostro Stan ha avuto la (s)ventura di confrontarsi, spesso soccombendo, ma in ultimo potendo vantare nel proprio palmarès qualcosa che nessun altro ha conquistato all’epoca del predominio dei suoi rivali, ribellandosi con orgoglio alla propria sorte, e ponendosi pertanto -e meritatamente- nella loro scia. Tre Slam, tutti diversi, a testimoniare la sua competitività ai massimi livelli su ogni terreno che non sia l’erba (a Wimbledon non si è mai issato oltre i quarti): da quando si son manifestati i ‘cannibali’ non c’è stato un altro giocatore capace di sommarne 2, solo singoli episodi toccati in sorte a gente come Del Potro o Cilic, comunque fortunati a poter dire di aver alzato uno dei trofei Majors di questi tempi grami -per tutti gli altri-.
E’ lui insomma il Best del tennis, non c’è dubbio a nostro parere, ed anche alcune sue caratteristiche specifiche non fanno che confermarlo. La costanza e la convinzione nell’inseguire il risultato, nonostante l’enorme spessore della concorrenza; e la potenza, frutto di un fisico prorompente (che in alcuni tratti della carriera ha tribolato a tener sotto controllo), sublimata in un servizio non banale, un drittaccio pesante, ma soprattutto un rovescio mirabile, bello da vedere quanto efficace. Costituì, detto per inciso, l’arma principale (specie lungolinea) con cui demolì Nole in finale a Parigi nel 2015: mai più visto, il serbo, sballottato da una parte all’altra del campo, al pari di un tappeto, come in quella circostanza ! Lo aveva già castigato a Melbourne l’anno prima nei quarti, a sorpresa, ed all’ultimo atto prevalse su Rafa, a testimoniare l’estrema nobiltà di quel primo urrah ai massimi livelli. Sempre ai quarti del Roland Garros aveva piegato la sua nemesi: già, proprio Roger, l’amico-nemico di sempre. Mentre a New York l’anno seguente completò il personale… piccolo Slam piegando di nuovo Djokovic, che con Stanimal ha perso poco in generale, ma sempre quando ne avrebbe fatto tanto volentieri a meno…
A proposito di nomignoli, gliene hanno affibbiato pure un altro a Wawrinka, Stan the man, mutuato dal football (era Collymore, centravanti inglese di Liverpool ed Aston Villa negli anni 90, fisicamente esuberante quanto lui, a possedere il … copyright): due soprannomi, non è da tutti… E se gli argomenti addotti a fare dell’elvetico lo… scarafaggio di complemento non bastassero ancora, ne mettiamo sul tappeto ‘en passant’ un altro paio: tre successi Slam su tre volte che è arrivato al passo conclusivo, e sempre al cospetto del numero 1 del ranking in quel momento ! Ce ne sarebbe più che a sufficienza per fare di un tennista del genere il migliore di casa sua: come sappiamo invece non sarà così, e non per colpe proprie. Una vera disdetta, ma almeno noi proviamo a restituire a Cesare quel che è di Cesare: in attesa che lo facciano pure i posteri…