Se Wimbledon si giocasse sulla carta, il singolare maschile avrebbe già i suoi finalisti. Numeri alla mano, Marin Cilic e Roger Federer scenderanno in campo con i favori del pronostico nei confronti rispettivamente di Sam Querrey e Tomas Berdych. Non solo Cilic (n°6 del ranking) e Federer (5) vantano una classifica migliore dello statunitense (28) e del ceco (15), ma anche i precedenti sono a loro favore: il croato è avanti 4-0, lo svizzero 18-6.
Tuttavia, anziché sulla carta a Wimbledon si gioca ancora sull’erba; un’erba usurata e sempre più malandata, è vero, ma pur sempre erba, tanto che il timore di veder primeggiare i regolaristi (se tale termine è ancora lecito usare quando si parla di tennis moderno) è stato progressivamente dissipato dalle vicende del campo. E allora, pur riconoscendo alle statistiche il suo valore, è interessante notare come un esame approfondito degli head-to-head possa almeno in parte riabilitare i due outsider.
Iniziamo con Querrey, ora più che mai Zio Sam. Gli Stati Uniti non piazzavano un loro rappresentante maschio a questo livello dal 2009, quando Roddick raggiunse la finale per poi perderla 16-14 al quinto con Federer. Nei due tornei di preparazione ai Championships, Querrey non aveva certo brillato: terzo turno al Queen’s con successi su Norrie e Thompson e sconfitta con Müller, eliminato al primo turno a Eastbourne da Medvedev. Più in generale, nel 2017 Sam ha avuto l’acuto nel 500 di Acapulco, in cui ha indossato il sombrero riservato al vincitore dopo la bella vittoria in finale su Nadal (e nei quarti si era imposto a Thiem), mentre per il resto sono state più i dolori delle gioie. Lo statunitense viene da tre vittorie consecutive al quinto set: Tsonga, Anderson e Murray le sue vittime. Contro il n°1 del mondo e campione in carica (secondo anno di fila che Querrey riesce nell’impresa, nel 2016 la sua vittima fu Djokovic), l’americano è stato bravo ad allungare la partita aggiudicandosi il secondo set e bravissimo a non demoralizzarsi quando ha perso il terzo; dal quarto in poi i dolori all’anca hanno limitato lo scozzese e Querrey è uscito alla distanza.
In fondo, sono proprio le precarie condizioni di Murray a ridimensionare almeno in parte l’impresa dello statunitense e a farlo ritenere, dunque, sfavorito nel match contro Cilic. Il croato, come detto, l’ha sempre sconfitto e questa sarà la loro quarta volta sull’erba, terza a Wimbledon. Le due precedenti sfide all’interno dell’All England Club furono particolarmente lottate e terminarono entrambe al quinto set; quella del 2012 si concluse 7-6, 6-4, 6-7, 6-7, 17-15 per Cilic e, con le sue 5 ore e 31 minuti di durata, è tuttora la seconda partita di singolare più lunga nella storia del torneo, alle spalle dell’imbattibile Isner-Mahut del 2010.
Fino al quarto di finale con Müller, Cilic aveva liquidato le pratiche precedenti, non tutte così agevoli, con grande autorevolezza: Kohlschreiber, Florian Mayer, Johnson e Bautista Agut avevano dovuto accontentarsi di raccattare giochi e nemmeno un set. Contro il lussemburghese, però, Marin è entrato in campo teso, ha ceduto il primo parziale, ha rischiato nel secondo (poi vinto al tie-break grazie a un paio di prodezze), si è fatto trascinare al quinto ma lì Gilles è crollato di schianto ed è di fatto uscito dalla contesa (6-1). Il croato è alla terza semifinale slam in carriera, la prima sull’erba dove però vanta tre finali al Queen’s, di cui una vinta (2012) e una persa quest’anno contro Feliciano Lopez dopo aver sprecato un match-point. Marin Cilic dovrebbe farcela a staccare il biglietto per domenica ma, con ogni probabilità, Querrey affronterà la semifinale con maggiore tranquillità e la tensione potrebbe giocare un brutto scherzo al croato.
E veniamo a Berdych, presunta vittima sacrificale di Roger Federer. Il ceco ha fatto registrare l’altra sorpresa dei quarti, eliminando la testa di serie n°2 Novak Djokovic. Dopo un primo set molto equilibrato fino al tie-break, qui Tomas ha dilagato e chiuso 7-2 ma il serbo stava già accusando il malanno all’avambraccio che, di lì a poco, l’avrebbe costretto al ritiro. Ritiro dell’avversario a parte, Berdych era parso centrato e consistente come nelle sue migliori giornate e in questa stagione, che l’ha visto uscire stabilmente dalla Top-10 dopo quasi sette anni di permanenza ininterrotta, raramente l’avevamo visto così. Forse, una di queste occasioni è stata proprio l’ultima volta che si è trovato di fronte Federer, nei quarti di finale del 1000 di Miami, quando ha avuto due match-point consecutivi nel tie-break del terzo set, poi perso 8-6.
Berdych non batte Federer dalla semifinale di Dubai del 2013 ma nel triennio precedente era riuscito a farlo altre quattro volte, tra cui una a Wimbledon nel 2010 a livello di quarti di finale. Anche se talvolta ha subito lezioni durissime (come quella rimediata in gennaio a Melbourne, con lo svizzero praticamente ingiocabile), il ceco possiede le armi per impensierire Roger il quale però ha la consapevolezza che, se saprà esprimersi agli stessi livelli mostrati con Dimitrov e Raonic, difficilmente mancherà l’obiettivo di tornare in campo domenica per giocarsi l’undicesima finale a Wimbledon.
Ecco, più che essere l’unico sopravvissuto tra le prime cinque teste di serie (a Wimbledon non accadeva dal 1998 che solo uno dei primi cinque del seeding fosse ancora in gara al penultimo turno), è proprio la crescente qualità del gioco messa in mostra nella seconda settimana a fare dello svizzero il favorito per il titolo. La condizione fisica dell’elvetico è eccellente e solo l’eventuale pressione derivata dall’eliminazione prematura di tutti i suoi diretti concorrenti potrebbe giocargli un brutto scherzo. Ma stiamo sempre parlando di un tizio che ha appena tagliato il traguardo delle 100 partite in questo torneo (89 vinte) e che quindi dovrebbe sapere bene come si gestisce la tensione. Arrivare a Wimbledon con buone sensazioni era l’obiettivo di Federer a gennaio, quando fece il suo rientro nel circuito dopo sei mesi di inattività. Nessuno, nemmeno lui, poteva ipotizzare ciò che sarebbe successo in seguito e adesso la possibilità di mettere in bacheca l’ottavo trofeo dei Campionati è concreta.
Ma, come dicevamo all’inizio, si gioca sull’erba e non sulla carta e gli avversari, checché se ne dica, non faranno le comparse. Non si arriva in fondo a uno slam per caso o per fortuna ma per meriti. E questo Federer lo sa bene.