Sono passati quasi due mesi dal 26 febbraio. Oggi Maria Sharapova, che in quel triste mercoledì per il mondo del tennis annunciava il ritiro, compie 33 anni. Il calvario che ha segnato la sua carriera per sempre è iniziato nel 2007 con i primi dolori alla spalla. Il punto di non ritorno invece è stato il 26 gennaio 2016, giorno del test risultato poi positivo al Meldonium, sostanza assunta da anni dalla russa, ma divenuta proibita proprio dal primo gennaio di quell’anno. Tre anni dopo, il ritiro definitivo dal professionisti, dopo tantissimi tentativi per tornare tra le prime della classe. Un posto che comunque occuperà per sempre nella mente e nel cuore degli appassionati di tennis di questi primi 20 anni di secolo. Il carisma, la bellezza e lo spirito combattivo in campo l’hanno resa unica. E se anche si parlasse dei suoi “soli” cinque Slam al confronto delle più grandi del tennis femminile, è proprio la sua storia e il suo modo di essere ad averla resa e a renderla più grande di quella che i numeri dicono.
Quando nel 2007 Maria Sharapova fu costretta a saltare quasi tutta la stagione su terra per i primi problemi accusati alla spalla, aveva appena 20 anni. Eppure aveva già trascorso quattordici settimane in vetta al ranking mondiale, distribuite equamente tra 2005 e 2007. Tutto grazie alla sua straordinaria precocità, che a quei tempi sembrava, più che una condanna, come lo fu per Gabriela Sabatini, destinata a portarla nell’Olimpo del tennis. Veniva dalla durissima Academy di Nick Bollettieri, che tra gli altri ha forgiato anche Andre Agassi, e a 16 era riuscita a vincere il primo titolo nel circuito a Tokyo. E un mese dopo anche il secondo, a Quebec City, una doppietta che le era valso il premio di Newcomer of the Year. La prima vittoria su una Top-10 arriverà l’anno dopo, nel 2004, a Roma, uno dei tornei della sua vita. Ma prima dell’infortunio lei non lo sa ancora, e la differenza la fa soprattutto sui campi veloci. Compresa ovviamente l’erba, dove scrive la storia proprio pochi mesi dopo la vittoria su Elena Dementieva al Foro Italico. Prima vince a Birmingham, poi va a Wimbledon e non perde alcun set fino ai quarti, contro Ai Sugiyama. La storia è già scritta, in semifinale vince 7-5 al tie-break decisivo sulla ex numero 1 Lindsay Davenport, e il 4 luglio lascia solo cinque game nella storica finale contro Serena Williams, numero 1 del seeding. È l’inizio di una rivalità che sopravvivrà fino alla fine negli atteggiamenti e anche negli articoli di tutti i giornali del mondo. Ma la poca continuità di Sharapova scrive un’altra storia: Williams perderà anche il successivo, trionfando però negli altri venti confronti diretti, senza mai più perdere sul campo. Ma intanto Sharapova, a 17 anni e poco più di due mesi, è la terza tennista più giovane di tutti i tempi regina ai Championships dopo Lottie Dod e Martina Hingis.
La storia della siberiana con mille rituali e scaramanzie, che ribolle interiormente ed esplode nel suo indimenticabile grugnito, inizia così. La inconfutabile eleganza la porta pian piano anche sulle copertine, ma lei non teme niente e nessuno. Tre mesi di assestamento, poi tre titoli: Seul, Tokyo e l’altra affermazione su Serena, niente meno che alle Wta Finals. A fine anno è numero 4 del mondo, ma anche Most Improved e Best Player of the Year. Ci si aspetta l’assalto alla vetta, che ovviamente, completa con successo. Nessuno Slam, ma altri tre titoli: il 22 agosto del 2005 è la prima russa numero uno Wta della storia. Davenport le lascia il trono solo per sette settimane nella seconda parte dell’anno, ma il tempo è tutto dalla parte di Masha. Il 2006, infatti, di titoli ne regala addirittura cinque: da incorniciare soprattutto il terzo, che è il secondo Major in carriera, vinto a Flushing Meadows. A fine anno sfiora solamente la vetta, soffiatale alle Finals da Justine Henin, proprio la vittima della finale di New York. Però è ancora Sharapova la più in forma, e anche se a gennaio perde all’ultimo atto degli Australian Open, torna numero 1. Ci rimane per quasi due mesi, fino a poco prima del primo fastidio muscolare alla spalla.
Ma è proprio qui che Sharapova comincia a divenire ancora più ingombrante per tutto il circuito, anche per quelle tenniste che proveranno ad avvicinarsi alle prime posizioni. Perché anche se quando manca perde terreno, non ci si può mai dimenticare di lei. E non è un caso che sia riuscita a vincere almeno un torneo per 13 anni di fila, dal 2003 fino al 2015. Meglio di lei hanno fatto solo Steffi Graff (14), Chris Evert (18) e Martina Navratilova (21). Una statistica che però è anche croce e delizia, perché spesso può voler dire fretta nel tornare alle competizione. O anche sottovalutazione dei problemi, specie in un’età decisiva come i 20 anni del 2007. In effetti, Sharapova rientra addirittura prima del Roland Garros, e l’unico titolo lo vince a San Diego. La fretta, tuttavia, può anche essere giustificabile: ogni volta che sta bene, è davvero inarrestabile, aggettivo che poi sarà il titolo della traduzione italiana della sua autobiografia del 2018. E quando con costanza torna a calcare i campi, ritrova fiducia. E finali Slam. La cavalcata a Melbourne nel 2008 è forse la più grande della sua carriera: elimina Davenport, ferma la striscia di 32 vittorie di Henin e in finale supera anche Ana Ivanovic in due set. Dopo 61 settimane, a maggio, supera proprio Henin ed è ancora sul trono femminile.
Da qui, inizia un’altra carriera, consolidatasi a tal punto negli anni, che chi al tennis si è avvicinato dopo quel 2008 fatica ad immaginare Sharapova per come la si è descritta nei paragrafi sopra. L’ultimo torneo è la Rogers Cup in Canada: la spalla fa troppo male, c’è bisogno dell’intervento chirurgico. Aveva esordito in Fed Cup proprio poco dopo la vittoria in Australia e sei mesi dopo si ritrova invece a dover dare forfait a tutta la seconda parte di stagione, Giochi Olimpici compresi. Dopo nove mesi, in campo tornerà solamente sulla terra rossa europea. In estate le cose miglioreranno con la finale a Toronto, il primo titolo post-infortunio sarà però ancora quello di Tokyo, ad ottobre. Il biennio 2009-2010 è il peggiore della sua carriera. Il problema alla spalla ha lasciato il segno, non solo nel corpo, ma anche nella testa. Per il tennis potentissimo di Sharapova, che si muove bene nonostante i 188cm, ci vogliono una velocità di braccio ed un controllo che non saranno più gli stessi. Ed è così che cominceranno i famigerati incubi sul servizio, che la porteranno a firmare un’enormità di doppi falli. Che la testa in tutto questo abbia avuto un ruolo fondamentale è chiarissimo: dopo gli allenamenti al fianco di Thomas Hogstedt la battuta era tornata su ottimi livelli. Eppure, dal momento dell’infortunio, un doppio fallo nei momenti importanti, da parte della ex numero 1 del mondo, non ha mai più sorpreso molto.
Dopo 20 titoli, nel momento più duro della sua carriera prima della squalifica, nel maggio del 2010, Sharapova ha comunque sfatato un tabù e conosciuto un nuovo amore, la terra battuta. Su questa superficie, quello di Strasburgo 2010 sarà il primo titolo. Sharapova chiuderà con 36 titoli Wta in carriera, 10 degli ultimi 16 vinti proprio, da quel giorno di un decennio fa, sul rosso. Tre titoli consecutivi a Stoccarda tra 2012 e 2014 e tre titoli a Roma (2011, 2012, 2015). Il 9 giugno 2012, poi, Maria Sharapova è divenuta la decima tennista della storia a completare il Career Grand Slam, infrangendo i sogni di Sara Errani. A Parigi si ripeterà anche nel 2014, vincendo la seconda finale più lunga della storia del torneo contro Simona Halep. In mezzo, nel 2013, anche una finale a Bois du Boulogne persa da Serena Williams. In termini percentuali, Sharapova ha chiuso al quinto posto nella classifica all-time per quanto riguarda la terra rossa, all’84,1%. Sulle altre superfici, ha perso altre tre finali Slam, a Wimbledon nel 2011 e all’Australian Open 2012 e 2015.
Quando sembrava poter fare ancora la differenza, poi, il 7 marzo 2016 si è svolta la conferenza che ha rivelato la positività al Meldonium, sostanza proibita dalla Wada. La russa, dopo la gestione non sempre impeccabile del proprio corpo, non si è resa conto, condannandosi all’inferno, che il medicinale che assumeva da 10 anni per carenza di magnesio era entrato nella lista proibita. La squalifica, proprio per la buona fede della campionessa è stata ridotta a 15 mesi dai 24 iniziali. Dopo qualche mese dal rientro, a settembre del 2017, è arrivato un altro quarto Major per Sharapova, che però non ha più avuto pace. Ha raggiunto anche i quarti di finale all’Australian Open e al Roland Garros del 2018, ma i problemi fisici, insistenti col passare del tempo anche alle gambe, le hanno tolto probabilmente la voglia e il piacere di lottare. Di lei si è arrivato a dire di tutto e il doping ha macchiato la sua figura agli occhi di molte colleghe. La verità però sembra scritta nel prologo del suo libro:
«Potrei metterla in termini più raffinati, ma nei fatti la mia storia è semplice: voglio vincere. O meglio: odio perdere. È la paura di perdere la mia vera molla. E forse, se non avessi cominciato a scrivere questo libro, non l’avrei mai scoperto».
Potrebbe avere alcuni rimpianti, Masha, per la sua carriera. Ma in fondo, ha capito tutto di sé scrivendo il libro. Odia perdere e ha scelto per il ritiro quando ha preso coscienza del fatto che nessuno poteva toglierle le sue conquiste sul campo. Che non aveva più nulla da dimostrare e che, da grande combattente quale sempre sarà ricordata, le ha provate tutte. Quindi auguri, di cuore, a una campionessa vera, umana e guerriera. Auguri a Maria Sharapova.