C’era una volta Serena Williams

C’era una volta Serena Williams la dominatrice incontrastata del circuito, la donna senza rivali, la tigre pronta ad azzannare alla giugulare qualunque sventurata avesse avuto la sfortuna d’incontrarla sulla propria strada. Questo, in poche e semplici parole era il ritratto tipo di Serena Williams, la Serena che per lungo tempo c’è stata e che forse oggi non c’è più.

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Qualche mese fa, esaminando la sua situazione, il suo stop forzato dalle competizioni, vi avevamo consigliato di tenerla d’occhio e soprattutto di evitare di sottovalutare la partita con Roberta Vinci. In quella circostanza ci avete dato degli illusi, “una rondine non fa primavera” avete detto. Ebbene con il senno di poi possiamo spiegarvi meglio il nostro punto di vista. Molto spesso, e chi segue il tennis lo sa, dietro ad un’apparentemente semplice partita si nasconde un turbinio di emozioni: gioia, per una vittoria inaspettata; fatica; dolore, fisico e mentale; paura….e tanto tanto altro.

Se dovessero chiederci di descrivere la scorsa semifinale degli US Open tra Serena e Roberta, usando uno solo di questi termini, non avremmo dubbi, sceglieremmo: paura. La paura di Serena di riscoprirsi vulnerabile, umana, battibile. La paura di trovarsi al cospetto della storia e di non avere la forza di entrarci. La paura di essere sovrastata dal turbinio mediatico che la stava travolgendo. Questo per quanto riguarda Serena, ma a farla da protagonista ci sono state anche altre paure, quelle delle avversarie. Le paure di contrastare realmente Serena, di poterla battere nei momenti che contano. Queste paure grazie all’impresa di una piccola grande donna arrivata da Taranto, in poche ore sono state spazzate via come neve al sole. 

Perché, che ci crediate oppure no, una semplice partita alcune volte può cambiare la storia, può aprire un mondo o può semplicemente innescare un meccanismo mentale che permette di trovare in sé stessi forze sconosciute ed insperate. Grazie a Roberta Vinci, dunque, dall’11 settembre nella mente delle giocatrici s’insinua un pensiero, semplice ma nello stesso tempo micidiale: sé Roberta ce l’ha fatta, sé lei credendoci davvero c’è riuscita allora posso provarci anche io. Ed ecco che la storia può cambiare, può succedere che Angelique Kerber non ha più paura, che scende in campo nella sua prima finale Slam con una spavalderia nuova, mai vista prima sul suo volto. Gioca Angie, non pensa, si diverte e alla fine vince.

Quella storia che sembrava già scritta cambia ancora una volta, Angelique vince e Serena perde. Serena lo squalo famelico non sente più l’odore del sangue, nei momenti che contato non fa più la differenza con quel qualcosa in più. Badate bene non stiamo tracciando un de profundis di Serena, conosciamo fin troppo bene la sua capacità di risorgere ogni volta dalle proprie ceneri come una moderna fenice, per poterla sottovalutare. Stiamo soltanto dicendole di cercare in sé stessa quel qualcosa in più che sembra aver smarrito, di far venir fuori di nuovo quella fame atavica che per anni l’ha resa semplicemente the unrivaled. Le stiamo dicendo di “Non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”, dimentica per un po la storia, i record, i media e pensa soltanto a divertirti campionessa, il resto, poi, verrà da sé.

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