L’editorialista Peter Bodo di Tennis Magazine, ha portato avanti un’interessante analisi sull’imminente futuro della WTA, delineando una situazione particolarmente delicata circa soprattutto un ricambio generazionale che stenta a prendere forma in modo sostanziale. Senza alcun dubbio, alcune tra le promesse juniores, tra cui Belinda Bencic in primis, hanno confermato le loro eccellenti attitudini alla disciplina e potenzialità indiscusse, ma gran parte di quest’ultime alterna in modo troppo frequente prestazioni positive a match deludenti. La stessa Bencic, classe 1997, quasi 19enne, non è ancora riuscita a farsi strada tra le Top del circuito, sebbene forse sia l’unica attualmente che abbia le potenzialità per farlo.
Angelique Kerber, che a Doha ha giocato la sua prima partita ufficiale sul circuito da campionessa di un titolo del Grande Slam, all’inizio di questa settimana, non ha ancora smaltito la sbornia successiva all’indimenticabile vittoria messa a segno ai danni di Serena Williams in quel di Melbourne. O almeno, non del tutto. La Kerber ha perso contro Zheng Saisai, 71 posizioni dietro di lei, in meno di un’ora e mezza, 7-5, 6-1. Tuttavia è chiaro che la tedesca non abbia espresso il suo miglior tennis, così come testimoniato dai suoi commenti post-partita e da quelli della cinese, che ha detto “di sicuro non è stato il miglior tennis espresso (da Kerber), ma…” E così via.
In tutta onestà per la Kerber, aver vinto un torneo così importante, soprattutto in una fase tarda della sua carriera (28 anni), non può che essere un punto di arrivo, piuttosto che di partenza, o di rinascita tennistica. Angelique può ancora comportarsi bene nel suo nuovo ruolo di stella d’elite, nei tornei importanti, ma non è più da considerare nè un’outsider nè una promessa, data l’età. Ma se ci riferiamo all’andamento della WTA negli ultimi anni, con vincitrici Slam ultratrentenni (tra cui Li e Pennetta), è bene non dare nulla per scontato.
La WTA sembra essere diventata un tour con molte star, ma quasi nessuna campionessa, se si escludono Serena Williams e Maria Sharapova, che sono le uniche due donne che hanno il gioco e il temperamento per competere sempre al massimo delle loro possibilità, in ogni torneo al quale partecipano, e sul quale ripongono aspettative.
La WTA è in uno stato di caos, che non è del tutto un male. Per prima cosa, questa situazione di incertezza crea interesse e suspense continua, poichè nessun match è scontato. Ciò genera anche nuove storie, nuovi profili, e nuove speranze. E rende anche più facile per le giocatrici l’impresa di riuscire a sfondare, per guadagnare i loro proverbiali 15 minuti di fama e gloria. Quest’anarchia tennistica permette anche ai nostalgici di apprezzare ancor di più l’eccellenza coerente e continua nel tempo di Serena e dei pochi giocatori rimasti delle epoche passate.
Questo è lo stato attuale delle cose nella WTA da qualche tempo a questa parte, e tutto ciò ha dato luogo ad alcune teorie interessanti. Una di queste è che, con una competitività così alta ed un livello medio così omogeneo, solo una superstar come Serena potrebbe dominare di nuovo in futuro. Un altro aspetto da non sottovalutare è il fatto che sia sempre più difficile sfondare in giovane età, e questo, a differenza del passato, preclude la possibilità di vincere, e tanto, sin da teenager. Ma lo stesso Djokovic, potrebbe dimostrare il contrario, considerando anche che nel tennis femminile sia ancora possibile, più che nel maschile, crearsi un’identità tennistica sin da adolescente.
Prodigi? Non più, ormai la maturità fisica e tecnica arriva decisamente più tardi, e con maggior lentezza, rispetto a 20 anni fa. I veterani sono tutti troppo freschi, troppo in forma, troppo esperti, troppo forti per divenire prede di talenti di 16 o 17 anni.
Sono queste le spiegazioni veramente concrete di quello che sta succedendo, o sono semplicemente razionalmente convenienti a giustificare l’incapacità del circuito WTA di produrre una classe di campioni degna di questo nome? Le disquisizioni su lesioni e stress fisico, alla fine di ogni stagione, sono semplicemente mistificanti. Ed è ‘incomprensibile’ che così tante giocatrici si trovino già in cattive condizioni, all’inizio di un nuovo anno, dopo una pausa di due mesi. Soprattutto se si parla di ragazze di 20-25 anni.
Sempre di più, le BIG sono disposte a ritirarsi da un torneo minore al fine di migliorare le loro possibilità negli imminenti eventi di spessore, che siano Major o Premier Mandatory. Questa è una questione etica; il tour lavora sulla “fiducia”, con le giocatrici che sono tenute ad onorare i loro impegni in modo professionale. Ma, con l’aumento continuo ed incessante dei prize money, e quindi con la sicurezza da parte delle più forti di guadagnare tanto pur giocando il minimo, la questione morale passa in secondo piano. E se da una parte è giusto biasimarle, forse dall’altra sarebbe opportuno che ai vertici prendessero misure più restrittive, che possano limitare questa “libera coscienza” mal utilizzata, a questo punto.
In senso stretto, e quindi nell’ottica di diventare campionesse e non solo brillanti giocatrici di passaggio, non c’è nulla di più errato di un atteggiamento di questo genere. Non c’è nulla di veramente importante nel tennis, se non la vittoria. La vittoria genera un tennista vincente, la continuità, unite all’abnegazione, all’umiltà ed alla personalità. Questo è un qualcosa che molte giocatrici sembrano aver dimenticato. Invece di vedere il “vincere” come uno stile di vita (parafrasando), lo vedono come un obiettivo singolare; tendono a vedere la vittoria come un fine, uno scopo, piuttosto che come l’inizio di una scalata. Ed è questo il primo gradino che le separa inesorabilmente dall’essere leggende.
Prendiamo il caso di Garbine Muguruza e Simona Halep. Sono esplose, la prima vincendo contro Serena Williams al Roland Garros 2014, e continuando un duro lavoro, a fianco del suo storico coach (salvo poi rimpiazzarlo con Sam Sumyk), che l’ha portata sino alla finale di Wimbledon, lo scorso luglio; la seconda raggiungendo addirittura la finale del Roland Garros, sempre nel 2014, quando contro Maria Sharapova arrivò ad un passo dal titolo. L’exploit, l’arrivo ad alti livelli, la fama e poi l’appagamento di chi sembra che abbia ottenuto già più di quello che si aspettava. Come a dire “il mio l’ho fatto”, e quel che viene è tutto di guadagnato. Inspiegabile, ed impensabile per una Williams ragionare nell’ottica della mediocrità. Le campionesse, del passato, in tutte le loro molteplici sfaccettature, positive e negative, non si sarebbero mai arrese di fronte all’idea di migliorarsi, e di vincere. Vincere sempre di più. Ormai l’abitudine a sentirsi arrivate è diffusa, e potrebbe nuocere gravemente ad una disciplina, come il tennis, che ha vissuto non solo di rivalità, ma anche di forti personalità.
La domanda ricorrente nella WTA, negli ultimi anni è stata: “Chi sarà la prossima Serena?”. Oggi, sembra quasi essersi trasformata in “Qualcuna davvero vuole essere la prossima Serena?”
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Ottimo articolo, aggiungo una provocazione che poi tanto provocazione non lo è: le giovani leve probabilmente sono più preoccupate di farsi selfie ed essere le numero uno in like che nella classifica wta.