La sconfitta al primo turno di Fed Cup contro la Francia di Amelie Mauresmo, è stata una batosta che ricorderemo per molti anni. Adesso ci aspetta lo spareggio per restare nel World Group, e soprattutto gli Stati Uniti delle Williams (forse), e di Madison Keys. Inutile dire che, dopo tanti anni di dominio, ora rischiamo seriamente la B.
di Lorenza Paolucci
Era il febbraio del 2009 quando nel salotto dello show di Piero Chiambretti, “Chiambretti Night“, l’allora n.1 del tennis italiano, Flavia Pennetta, commentava la vittoria in Fed Cup contro la Francia dell’ex n.1 del mondo Amelie Mauresmo. Le azzure vinsero 5 a 0 in casa delle transalpine, e Flavia da Chiambretti così gongolava parlando della rivalità che da sempre ci divide dai francesi: “già non ci potevano vedere prima, adesso non ci potranno vedere ancora di più.“. Era quella l’Italia di Flavia Pennetta, Francesca Schiavone, Sara Errani e Roberta Vinci. Una squadra non di fenomeni ma di buone giocatrici, di singolariste in grado di giocarsela alla pari con le più forti, di un doppio che non conosceva sconfitte e soprattutto di un gruppo solido, affiatato ed omogeneo.
C’era una volta quella squadra, da cinque finali e quattro titoli, c’era ed ora non c’è più.
Se ne sono accorte le francesi che sei anni dopo si sono prese la più perfida delle rivincite, rimontando uno svantaggio di due a zero, sulla terra rossa di casa nostra e poi umiliando il doppio n.1 del mondo, alla prima sconfitta nella competizione. Se ne è accorta soprattutto la Mauresmo, ora capitana della squadra, che scombussola i piani di Sara Errani, giocando la carta Kristina Mladenovic ed è da li difatti che costruisce la sua vittoria.
Ora si dovrà lottare per restare nel World Group e l’urna dei sorteggi non è stata affatto benevola. Affronteremo gli Stati Uniti, con le sorelle Williams che raramente si tirano in dietro se c’è da conquistare la Serie A, e soprattutto le Olimpiadi, e con Madison Keys e Sloane Stephens che non ci fanno dormire sonni tranquilli.
Il rischio, quindi, di scendere in serier B dopo tanti anni di dominio è più che concreto e non è certo un caso ma probabilmente il segno che il nostro tennis in gonnella non sia pù così solido.
Sara Errani rappresenta il presente ed anche il futuro che a 28 anni da compiere le appartiene ancora tutto. E’ lei che dovrebbe prendere in mano la squadra, ha l’esperienza giusta per farlo ma ci si chiede quanto le pesi la maglia azzurra e quanta voglia abbia ancora di dedicarsi a tempo pieno alla nazionale.
Sarita ha scalpitato per anni relegata in pachina, dove ha vinto tre titoli che comprensibilmente l’avranno anche appagata. Da titolare in singolare la romagnola è inciampata un più volte, sicuramente non per una mancanza di impegno ma sembra che in squadra accusi una sgradevole pressione. Inoltre Sara è una stakanovista e con il gioco che ha per restare aggrappata al tennis che conta è costretta a disputare molti match. Per questo lo scorso anno rinunciò all’impegno d’esordio in Fed Cup e con l’avanzare degli anni i forfait non potranno che aumentare.
Il segreto sarebbe puntare sulla freschezza e l’entusiasmo delle più giovani (Camila Giorgi) o delle novelline (Karin Knapp), perchè a Roberta Vinci, classe 1983, non le si può chiedere di più. La Giorgi a Genova ha schiantato Alize Cornet e lo stesse fece con Madison Keys lo scorso anno ma di Camila conosciamo il potenziale straordinario, così come l’incostanza cronica. La maceratese deve ancora crescere, non è in grado in questo momento di accollarsi gli oneri della squadra: il black out che le è costato il match contro la Garcia è sintomo di immaturità caratteriale, non certo di deficit tecnici.
Ciò che manca alla realtà italiana di Fed Cup, è il ricambio, la concentrazione di talenti,quella che vi era ai tempi di Pennetta e Schiavone: dove non arrivava l’una, arrivava l’altra a mettere una pezza. L’Italia non è più una squadra di vertice, dobbiamo esserne coscienti, ma nemmeno una squadra da serie B: se la sfortuna dei sorteggi ci spingerà fuori dal World Group, sarà dovere delle nostre far si che sia solo un anno di purgatorio.
La debacle di Genova ci ha messo di fronte ad una sgradevole realtà, dalla quale però bisogna ripartire senza impantanarci nelle sabbie mobili di una discesa senza fine.