I postumi di Wimbledon non promettevano nulla di buono in casa Williams. L’immagine di quella Serena inerme, senza forze, barcollante sul Campo 1 dell’All England Club, era l’emblema di una campionessa spaesata, messa K.O. all’angolo del ring, come un pugile martoriato. Nessuna dichiarazione, solo un semplice comunicato ufficiale da parte del torneo nel quale si parla di un virus generico.
Ma cosa c’è di realmente generico, in una situazione così particolare? Ed ecco che allora iniziano le supposizioni: rottura sentimentale, abuso di droghe, utilizzo di antidepressivi o forse nausee di una donna incinta? Insomma, chi più ne ha, più ne metta. La verità probabilmente non la sapremo mai, se non forse in una di quelle autobiografie smielate post-ritiro, con tanto di ammissioni e coming-out illeciti. L’unica cosa di cui possiamo rincuorarci è aver ritrovato, nel giro di poche settimane, almeno una discreta copia della campionessa che ha rivoluzionato il tennis femminile degli ultimi 12 anni, ancora lontana dalla versione Terminator del 2013, ma con un’iniezione di fiducia che potrebbe averle smosso qualcosa nell’animo.
Serena Williams ha iniziato la preparazione in vista degli US Open in Croazia, insieme al suo coach Patrick Mouratoglou, dove, alternando tennis a lanci di palline di gelato, si è rilassata ed ha riformattato la memoria. Il tutto coronato dal suo 61esimo titolo in carriera, il quarto stagionale: a Stanford, nel Bank of West Classic, ha infatti battuto in finale la tedesca Angelique Kerber in due set 7/6 6/3. Al primo torneo dopo l’eliminazione al terzo turno a Wimbledon, a fine giugno, la numero 1 del ranking WTA ha iniziato male il match, riuscendo comunque a recuperare: “Non è stato facile”, ha detto, “in un batter d’occhio mi sono ritrovata sotto per 5-1. L’avversaria stava giocando bene, ma io mi sono chiesta: ‘cosa sta succedendo?’. E da lì è partita la mia rimonta”. E ha conquistato il suo quarto successo, dopo Brisbane, Miami e Roma. E, dulcis in fundo, dopo il trionfo a Stanford, Serenona taglia anche il traguardo delle 200 settimane da numero uno del mondo, la quinta donna nella storia a riuscire nell’impresa.
Serena Williams sta cercando di tornare Serena Williams: la pantera ruggente e pressoché imbattibile che tutti conoscono ma che questanno negli Slam si è clamorosamente smarrita fra gli ottavi persi in Australia con Ana Ivanovic, il secondo turno lasciato a Garbine Muguruza al Roland Garros, il terzo consegnato ad Alize Cornet a Wimbledon. Quante volte, nonostante ostacoli allapparenza insormontabili, si è rialzata rimettendosi in cammino fino a ritrovare la strada per spadroneggiare da regina. E poi, ci sono posti che ti avvolgono di magia, restituendoti consapevolezza ed energia vitale. Stanford è uno di questi. Ha segnato per ben due volte un punto di svolta nella carriera della Williams. Nel 2011, reduce da un’embolia polmonare a causa della quale rischiò la vita e da un’infezione ignota al piede, precipitata sotto la 100esima posizione del ranking, la minore delle Williams ha saputo ritrovare il gusto della competizione e gli stimoli necessari per tornare ad alzare un trofeo. Sotto il cielo californiano ebbe la meglio della stessa Bartoli che le sbarrò la strada poche settimane prima a Wimbledon. Nel 2014, a distanza di ormai 3 anni, si è fatta forza ed ha cancellato l’immagine imbarazzante da automa sgonfiato che il mondo del tennis aveva di lei ed è tornata a far parlare di sè, finalmente sul campo da tennis.
“In qualche modo è riuscita a cavarsela, e alla fine si è trasformata nella Serena che tutti conosciamo” ha commentato Chris Evert. La stessa Evert che, insieme a Pam Shriver, l’aveva lasciata malconcia a Londra, sotto gli occhi sbarrati dei britannici. Serena ha trionfato, di nuovo, sempre meglio. Quando meno te l’aspetti, eccola risorgere dalle macerie.
Giorgio Lupi (Twitter: @lupi_giorgio e @Serena_VenusFan)