Mi chiamo Katerina Siniakova. Ho 22 anni. Sono ceca e sono una tennista. Oggi gioco il mio match di singolare a Praga, a casa mia. Se vinco otterrò il punto decisivo per la mia nazionale. E vinceremo così la Federation Cup. Ma so già che non ce la farò. Non ce la farò… nemmeno io so bene perché. Mi sento strana, confusa, incerta, emozionata, mi fa male la testa, ho i crampi allo stomaco, mi tremano le gambe. Mi sento fuori posto. Tenterò di metterci tutta me stessa per raggiungere l’obiettivo… ma non so proprio come questa bella frase che sa tanto di luogo comune possa essere messa in pratica. Parto bene, mi impegno, sto attenta a non sbagliare nessun colpo, di essere più brava della mia avversaria, ma so già che tutto sarà inutile. Vado avanti nel primo set, ma poi qualcosa si inceppa e lei mi riprende, beffarda mi sorride in faccia mentre io già sbuffo per l’impazienza. A quest’ora dovevamo essere già al secondo set e invece mi tocca lottare e chissà come farò a… a fare cosa ? Sono in preda a mille dubbi. L’angoscia mi tormenta e cerco di scacciarla via. Continuo a randellare a destra e a manca. Volo sul 5-3, mi sento più leggera, ma ripiombo nelle tenebre perché quella maledetta non molla mi riprende ancora. Allora mi indigno e spingo ancora di più, di più, di più… e alla fine la spunto! 7-5. Ora si stancherà di starmi attaccata come una cozza allo scoglio?
E’ fatta! Sono 3-0 nel secondo set, non vedo l’ora di abbracciare le mie compagne e festeggiare il trionfo… ma cosa succede? Era troppo bello per essere vero: mi si annebbiano gli occhi, la racchetta mi pesa come una pietra, non centro la palla che se ne va qua e là e non risponde più ai miei voleri. Perché accade questo? Il match era finito! E sono invece qui a sudare e disperarmi. Non vinco più un gioco, lei mi sovrasta e mi schiaccia, la mia metà campo è immensa, la sua minuscola. Passano a velocità siderale punti su punti, giochi su giochi e io mi affanno inutilmente per tentare di recuperarli, riafferrarli, non concederli a lei, quella là, che non cede mai ! E’ inutile, non ce la farò mai. Ho perso il secondo set e l’avevo quasi vinto!
Maledetto sia il tennis e chi lo ha inventato: uno sport crudele dove ti spostano il traguardo quando pensi di essere all’ultima curva. Sono una codarda, lo so da me. Ma il coraggio uno non se lo può dare, se non ce l’ha. Guardo al di là della rete e la invidio e la detesto. Così positiva, così grintosa, così… americana. Sempre a fare il pugnetto ad ogni successo, sempre ad incitarsi, sempre ad annuire anche dopo i più macroscopici errori. Ma come fa? Io mi sento piccola e indifesa e ad ogni punto perso per la mia dabbenaggine vorrei sprofondare.
Il terzo set è un’agonia senza tempo. Ormai non mi interessa più perdere o vincere, basta che finisca alla svelta. E invece dura un’eternità. 4-1 per me e niente! Ancora una volta niente ! Io e lei siamo legate da un elastico invisibile che si tende e si contrae all’infinito. Mi riprende e stavolta mi supera e mi batte, lo so. Che vergogna! Gioco male, malissimo! Tornassi indietro a quel giorno in cui ho deciso di iniziare con il tennis romperei la racchetta in mille pezzi. Sono una perdente, lo so da me. Ma voi che ne sapete cosa significhi essere una perdente? Quello che si prova, come ci si sente? Se qualcuno ti invitasse a raccogliere un sassolino e tu lo vedessi come un enorme macigno cosa gli risponderesti? Gli risponderesti: non ce la faccio. Ecco, io non ce la faccio! Perché non ci sono la Kvitova o la Pliskova al mio posto? Loro sono delle vere campionesse, io che ci sto a fare qui? Ogni punto uno strazio, ogni game una pena. E il pubblico mi guarda e mi sento nuda di fronte a tutti. E le mie compagne mi incitano, ma non mi scuotono affatto. E il mio capitano mi assiste e mi consiglia, ma le sue parole sono una eco confusa che non riesco ad afferrare. Tutto è vano e inutile. Mi tocco le spalle, la catenina, gli orecchini, tutto! Ad ogni errore mi sfogo frustrata verso la mia panchina: li insulto e li minaccio in ogni modo, li prego e li scongiuro di darmi una risposta, di dirmi come devo fare, cosa devo fare affinché tutto questo finisca il prima possibile. Non ne posso più, mi siedo e scoppio in lacrime, non mi resta altro da fare, ho deluso tutti, ho deluso me stessa. Ci penserà la Strycova a portare a casa il punto della vittoria. Io mi sento vuota e sconfitta. Vado in campo, tiro gli ultimi colpi, sarà quel che sarà. Cominciano a entrare. Come mai adesso che ho già perso le cose funzionano meglio? Scambi su scambi, punti su punti, ancora uno… ancora un match point contro da annullare… ancora un match point a favore da realizzare… E ad un tratto la folla è in tripudio. La giudice di sedia dice qualcosa che io non intuisco, è finita davvero? Inattesa, la vittoria è arrivata. Sarà vero? E’ questo che si sente quando si vince? Ma soprattutto, cosa sto sentendo ? Non lo so. Non lo so davvero.
7 comments
Straordinario.
Solo ? Pensavo di più, mannaggia ahahahah
Nicola Vaselli
Geniale 🙂 anche chi non ha visto la partita capisce che si è trattato di un tennis-psyco.
Un drammone senza fine. Se avessi chiuso con una riflessione del tipo: “il tennis non è fatto per le donne perchè causa loro gravi febbri cerebrali” dici che sarei stato troppo maschilista ? ahahah A parte queste stupidaggini, è stato bello scrivere questo pezzo, molto appagante sul serio.
Bravissimo Nick, il titolo poteva chiamarsi benissimo “I dolori della giovane Katerina”
Si, anche quello andava bene. Fin dal titolo volevo far capire che era un “racconto” in prima persona. Tu che ti ricordi tutto rammenterai senz’altro che ne ho fatto un altro così su Federer a Miami 2017. Questo mi piace di più perchè scritto di getto.