Jelena Dokic: animo “indistruttibile”

Tra pochi giorni uscirà "Unbreakable", l'autobiografia della tennista australiana Jelena Dokic. Si tratta di un libro diverso dal solito, nel quale verranno raccontati episodi della sua vita nei campi da tennis, conditi dagli atteggiamenti violenti e disumani del padre.

Il tennis, si sa, è uno sport individuale. Chi decide di scegliere come lavoro quello del tennista professionista, sa di andare incontro ad una vita fatta di tanti piccoli sacrifici, che sarà capace di regalarti gioie, ma allo stesso tempo anche dolori. Si è in giro per il mondo per tutto l’anno, senza una dimora fissa, senza una propria identità territoriale, senza la possibilità di potersi vivere appieno la propria famiglia e le proprie amicizie. Il tennista di professione, però, in questo lungo viaggio, non è mai solo. E’ perennemente accompagnato dal proprio allenatore, una figura imprescindibile, che sa fornire risposte tecniche e non solo. Assieme alla tanto amata troupe, costituita da preparatore atletico, fisioterapista e sparring partner, è sempre presente. Il mondo del tennis, nel corso della sua storia, ha portato alla ribalta guide tecniche di ogni tipo. Ci sono quelli che seguono i giocatori sin dalla tenera età, quelli che vanno e vengono a seconda dei risultati positivi o negativi e coloro che si affacciano ad una collaborazione tecnica per ragioni meramente economiche: D’altronde, a chi non farebbe piacere seguire un top player, beneficiando di tutti i meriti e gli onori del caso?. In questa particolare categoria, ampiamente variegata, ha sempre trovato posto la figura del genitore coach, padre o madre che sia. Se da una parte ci sono coloro i quali pendono letteralmente dalle labbra dei propri pargoli, imponendosi sino ad un certo punto, dall’altro ci sono quelli che, con un fare puramente egoistico, impongono con forza le proprie idee, riversando sugli sventurati figli l’amarezza dei tempi andati. “Il tennis sarà il tuo futuro, caro figlio… senza se e senza ma!”.

IL CORAGGIO DI CAMBIARE –  In un momento particolare, in cui risulta essere piuttosto di moda la pubblicazione di autobiografie di tennisti celebri ( basti pensare a Maria Sharapova che non molto tempo fa ha pubblicato un suo libro, “Unstoppable: my life so far”), fa scalpore quella di Jelena Dokic, che sarà pubblicata nei prossimi giorni. In “Unbreakable”(Indistruttibile), la tennista australiana, ex numero 4 del mondo, in collaborazione con la giornalista Jessica Halloran, ha messo nero su bianco un lato oscuro della propria vita, raccontando in maniera dettagliata tutte le angherie e i soprusi subiti da parte del padre, dai 7 fino ai 19 anni. Le anticipazioni appaiono piuttosto eloquenti, lasciano a bocca aperta, ponendo l’attenzione su episodi e comportamenti che mai e poi mai dovrebbero verificarsi, a maggior ragione se si tratta di un rapporto padre-figlia.

“Mi picchiava in continuazione, sempre più veementemente. Tutto ha avuto inizio alla fine di un allenamento e, da li’ a poco, siamo entrati in un tunnel senza via d’uscita, che mi ha portato addirittura alla perdita di conoscenza in uno degli episodi. Spesso mi lasciava per terra dolorante e sanguinante. Mi prendeva per i capelli, mi sollevava da terra sputandomi in viso e, addirittura, mi prendeva a calci negli stinchi”. Atteggiamenti ingiustificati, oltre ogni tipo di concezione, scaturiti, magari, da un allenamento non fatto al 100% o da una partita conclusasi con una sconfitta.

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“Le sua violenze non erano soltanto fisiche, ma anche e soprattutto emotive. Mi chiamava puttana…non nascondo di aver pensato più volte al suicidio. Lui non era mai soddisfatto della mia persona e dei miei risultati, nulla gli andava bene. Quando, a 17 anni, persi la semifinale di Wimbledon per mano di Lindsay Davenport, mi lasciò da sola, non permettendomi di entrare nella camera di albergo per un’intera notte”

Il rapporto malato col padre, l’aveva portata a compiere scelte sbagliate, mettendola contro tutto ciò che più desiderava. Emblematico uno degli episodi da lei raccontati: “Non riesco a perdonarmi il fatto di essermi lasciata convincere a ritornare in Yugoslavia. Dopo esserci trasferiti in Australia da rifugiati, tutti mi guardavano sotto una cattiva luce. Tutti mi disprezzavano, anche sul campo da tennis, tutti mi dicevano di ritornare da dove ero venuta ed io così ho fatto. Nonostante tutto, però, mi sentivo Australiana, volevo esserlo”. Un piccolo sprazzo di coraggio che porterà poi Jelena, contro la volontà del padre, a ritornare  nella terra dei canguri dove, soltanto un anno dopo, avrebbe ottenuto la cittadinanza.

Racconti di questo tipo lasciano senza parole, esulandosi da ogni tipo di commento o critica. Ciò che lascia più esterrefatti è la risposta di suo padre, all’indomani di quei tempi bui: “I miei genitori mi hanno educato nello stesso modo ed è grazie a loro se, oggi, sono un buon padre. I miei atteggiamenti nei suoi confronti erano a fin di bene”.

A voi le riflessioni…

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