Le mille e una notte di Jasmine

Gli uomini al palo nel dopo New York? Niente paura, per gli appassionati italiani c’è ugualmente di che far festa: in maniera inaspettata, grazie ad una ragazza dal fisico non certo ‘importante’, ma capace di provocare lacrime amare pure alle walkirie, se queste non trovano subito la strada per metterle i piedi in testa. E così la Paolini sale alla ribalta, ricordandoci qualcuna cui pare assomigliare parecchio: e della quale, ripercorrere le orme sarebbe davvero fantastico…

Eppur si muove… Sull’onda dell’antico proclama del pisano Galilei, una sua moderna corregionale di qualche decina di chilometri più in là (Bagni di Lucca) assesta una robusta spallata allo stagnante movimento femminile nostrano del tennis, facendo gridare al miracolo a capo di una settimana da sogno in una paradisiaca località di villeggiatura slovena. Eh già, dato che la coriacea Jasmine Paolini sbanca il locale casinò (a dire il vero lassù ce ne stanno un paio, di acchiappaitaliani in particolar modo) mettendo mano con autorevolezza al suo primo alloro Wta, e al tempo stesso riaprendo qualche prospettiva alle nostre racchette rosa che non sia legato agli estri ed agli umori, ballerini anzichenò, di Camiluccia nostra.

Tenendo in conto le dovute proporzioni, anche noi possiamo farci belli di una Emma Raducanu: quella a New York ha compiuto sfracelli vincendo 10 partite in due sets, per dar luogo allo Slam più sorprendente della storia; questa è riuscita in quel di Portorose a mettere in fila una pletora di teste di serie -sempre contro pronostico, insomma-, finendo col dare una notevole soddisfazione ai supporters tricolori della disciplina. Manco a farlo apposta, nella settimana in cui i maschietti riprendevano fiato dopo le fatiche dello US Open, e quindi non c’era davvero modo per noi di gioire per l’impresa di questo o quello fra i nostri (bene o male, negli ultimi tempi fra Berrettini, Sinner, Musetti, Sonego e compagnia cantante, con buona regolarità ci capita di prorompere in qualche fiero ‘urrah’)… 

Jasmine Paolini numero 1 d'Italia | Challenger Italia

La piccola (un metro e 60) sinora aveva dato luogo a qualche sporadico exploit, mostrando caratteristiche -di gran determinazione anzitutto- che potevano far intravedere buone prospettive: certo, se ci aspettassimo una toppissima probabilmente saremmo fuori strada, intanto però quatta quatta si porta al proprio best ranking, grazie all’impresa adriatica. Numero 64 cioè, occupando di prepotenza una confortevole camera con vista sulle migliori 50: butta via… Volete proprio la verità, tutta la verità? Pronti: e ve la riassumo con una frase all’apparenza sibillina, ma che testè mi cimenterò ad interpretare in maniera -spero- chiara ed inoppugnabile. (Ri)habemus belvetta: eccola qua, ove il ‘ri’ sta per un gustoso deja-vu, che viene a presentarsi nuovamente quando meno ce lo aspettavamo. Eh già, perché a dispetto di un nome che evoca scenari sinuosi, da harem orientali forieri di lascive piacevolezze, la ragazza sembra viceversa possedere attributi che in poche (anche pochi…) possono vantare, sotto forma di estreme decisione, grinta ed attitudine alla pugna più dura. Una guerriera insomma: ma di quelle che indossano perennemente l’elmetto, tanto per far capire a quella di là della rete che, se non riesce a strozzarla nella culla, è destinata a subire un rosario di tribolazioni con tanto di possibile delusione finale.

Fuor di metafora: rivediamo nella 25enne un’altra che grosso modo alla sua età si mise in luce, e pur limitata da alcuni aspetti non se ne curò affatto, al punto di raggiungere una finale Slam! Sì signori, la Paolini ci sembra para para la versione anni ‘20 (2020 e seguenti, ca va sans dire) di Sara Errani: stessa ferocia in campo, stessa capacità di mordere alle caviglie pure le lungagnone, stessa voglia di non arrendersi sino all’ultima palla. E con in più, attenzione, un qualcosa che assomiglia ad un servizio: se la cava Jasmine anche con il colpo di inizio gioco, terrificante tendine d’Achille della bolognese lungo tutto l’arco della sua comunque ammirevole carriera (ed ora che è quasi ai titoli di coda, spesso finisce con l’abbandonarla totalmente, al punto di vederla pure battere da sotto!).

Wta Portorose, vittoria di Jasmine Paolini: in finale Riske sconfitta in 2  set | Sky Sport

Vedremo, ma sono moderatamente ottimista sul prosieguo della nostra numero 2 (a proposito, se la batte con Martina Trevisan, bravissima anch’ essa col successo in un ITF iberico che la issa lì nei pressi, al numero 66): anche perché al suo angolo c’è da qualche tempo un coach serio e competente che ho rivisto con estremo piacere, lì sugli spalti di Portorose, alla fine giustamente esultante con la sua pupilla. Si chiama Renzo Furlan, se lo ricorderanno solo quelli un po’ stagionati (eufemismo) come il sottoscritto, quando assieme ad un manipolo di compari teneva per quanto possibile alta la nomea del tennis nazionale, in un periodo di vacche decisamente poco in carne… Anni 90, lui assieme ai vari Caratti, Pescosolido, Camporese, poi pure Gaudenzi ora presidente Atp, sorreggevano dignitosamente un movimento da poco uscito dai fasti dei vari Panatta Bertolucci Barazzuti Zugarelli (da recitare in fila, come un rosario), e che stentava a ritrovarsi al cospetto di Sampras, Agassi, Becker, Courier, Ivanisevic ed altri ancora marchiati dalle stimmate del -chi più chi meno- talento. I nostri erano soldatini, che però il loro lo facevano quasi sempre, e che bene o male dettero tutti vita a carriere apprezzabili, con escursioni nei primi 20. 

Di quel periodo però, e chiedo scusa se mi abbandono all’onda lunga dei ricordi, a me rimane impresso un personaggio che davvero pochi rammenteranno: schivo assai, faceva sempre repubblica per conto suo, i riflettori se lo illuminavano lo facevano proprio di sbieco, se non del tutto di striscio. Si mise in mostra oltre i 30 anni, un titolo nel carniere, un paio di Slam vissuti alle soglie della seconda settimana: sul veloce, perché era lì che dava il meglio, col suo mancinaccio. Lo chiamavano il Mc Enroe delle Murge, dato che la pallina la accarezzava senza farle gridare ‘ahi’ come spesso già accadeva all’epoca, ed appariva come una mosca bianca per la figura un po’ ingobbita, non certo da super atleta. Un aspetto in particolare me lo rendeva una creatura mitologica, fuori dal tempo: giocava non con una racchetta a mò di clava come tutti gli altri, ma con una sorta di… acchiappafarfalle, per quanto poco erano tese le corde rispetto al resto della truppa (“mi servono così, per ‘sentire’ bene la palla” diceva). E vai con tocchi di fino, giochi di prestigio, carezze vere e proprie, mai botte da orbi a muscoli -che non aveva- in fuori…Diamine, avrà avuto bene un nome e cognome, si domanderanno impazienti coloro i quali non lo ricordano, o non lo hanno proprio conosciuto: embè, era Gianluca Pozzi da Bari, uno degli ultimi romantici della racchetta! Chapeau ancor oggi, per quanto mi riguarda: anche perché, ormai prossimo all’appendere senza rimpianti lo strumento al fatidico chiodo, ebbe a dire in una delle poche occasioni nelle quali fece sentire la sua voce: “Quando smetteremo io e Fabrice Santoro, vi dovrete accontentare del tennis dei bombardieri”… Profetico: come si fa a non amare uno così?        

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