Le wild card della discordia

Il ritorno nel circuito professionistico di Maria Sharapova avvenuto lo scorso aprile ha scatenato numerose polemiche. A sollevare le maggiori discussioni sia tra gli addetti ai lavori che tra il grande pubblico sono state le wild card richieste dalla russa e concesse da molti tornei. Tra motivazioni morali e calcoli economici cerchiamo di comprendere meglio il funzionamento di questo particolare “invito”.

È notizia di ieri la decisione dell’organizzazione dello Us Open di accogliere la richiesta di wild card di Maria Sharapova. La russa, quindi, anziché disputare le qualificazioni come le permetterebbe il suo ranking attuale, partirà direttamente dal main draw. Puntuali sono arrivate dure critiche da parte di giornalisti e appassionati, sin dal primo momento particolarmente severi con la giocatrice siberiana.

È doveroso, tuttavia, sottolineare che tutte le azioni intraprese da Sharapova e dalle direzioni dei tornei che le hanno concesso la wild card sono perfettamente regolari. Sul caso, infatti, ancor prima che la tennista russa tornasse all’attività agonistica, è intervenuta la Wta con una nota per mettere fine alle diverse polemiche (tra i tanti che si sono esposti definendo “irrispettose” le wild card concesse a Sharapova possiamo ricordare Murray, Cornet, ma anche Caroline Wozniacki). “La cinque volte campionessa dello Slam Maria Sharapova diventerà idonea a giocare tornei WTA mercoledì 26 aprile, al termine della squalifica di 15 mesi. In quanto ex campionessa Slam e vincitrice delle Wta Finals, Sharapova può richiedere ed ottenere un numero illimitato di wild card, compresa quella per il Porsche Tennis Grand Prix di Stoccarda, torneo nel quale la russa farà il suo ritorno in campo. In conformità alle regole della Wta – si legge sul sito – e del programma antidoping del tennis, Sharapova può partecipare a un torneo che si giochi nella settimana nella quale termina la sua squalifica a patto che il primo match in cui è impegnata sia programmato il giorno in cui risulti idonea a tornare alle competizioni o successivo ad esso”.

Tra i tornei che hanno concesso una wild card alla Sharapova ci sono anche gli Internazionali di Italia, il cui direttore, Sergio Palmieri, ha dichiarato: “Faccio molta fatica a comprendere da dove nascono le polemiche. Le regole sono chiare. Quando un giocatore o una giocatrice viene squalificato, una volta che la squalifica è terminata torna a essere un atleta come tutti gli altri. La squalifica è chiara: impedisce a un atleta di giocare per un determinato periodo di tempo, quando questo periodo è terminato il giocatore può riprendere a giocare e ha gli stessi diritti che aveva prima dello stop”.
Palmieri prosegue: “Inoltre, mentre un giocatore fermo per infortunio, al rientro può usufruire del ranking protetto ossia di tornare a giocare per un periodo di tempo con la stessa classifica che aveva al momento dell’infortunio, questa possibilità non è ovviamente data a chi è fermo per doping. Quindi, avendo subito una squalifica di quindici mesi, l’unico modo per tornare a giocare nei main draw è quello di usufruire di una wild card oppure passare attraverso le qualificazioni. È evidente, però, che quando le squalifiche superano un anno, come nel caso della russa, l’atleta al rientro non ha più una classifica. Maria Sharapova, probabilmente, non potrebbe entrare neppure nelle qualificazioni dei tornei Future da 10.000$ perché anche questi tornei vedono comunque iscritti giocatori che hanno una classifica”.

A fronte di questi chiarimenti regolamentari è evidente che le polemiche nascono esclusivamente da motivazioni di tipo morale. È giusto che un atleta squalificato per doping, ma che ha scontato con dignità tutta la sua pena, riceva aiuti per tornare rapidamente in vetta alle classifiche? Sono in tanti a pensare che non lo sia, tra questi sicuramente Angelique Kerber; la tennista tedesca, commentando la decisione del torneo di Stoccarda di concedere una wild card alla Sharapova, ha dichiarato: “Siamo in Germania e ci sono tante giocatrici tedesche che avrebbero meritato quella wild card, anche chi nel corso dell’anno veste la maglia della nazionale in Fed Cup”. Dello stesso tenore il pensiero di Murray e Wozniacki che in coro hanno affermato: “Chi sbaglia deve ripartire dal basso. Perché aiutare chi ha infranto le regole?”. Quanto queste dichiarazioni siano effettivamente disinteressate e non influenzate da un facile moralismo ad personam è francamente difficile da determinare.

È anche vero che non è la prima volta che le wild card finiscono nell’occhio del ciclone. Recentemente, infatti, ci si è chiesti se per i giovani giocatori in cerca di affermazione le wild card siano effettivamente un aiuto o un limite psicologico. Inoltre si è notato che molto spesso sono concesse in maniera disomogenea sia fra paesi che fra giocatori dello stesso paese, in barba a qualsiasi criterio meritocratico. E, nonostante dovrebbero essere un incentivo a migliorare classifica e gioco, finiscono spesso per pregiudicare i risultati dei tennisti che ne ricevono troppe. Mentre c’è chi, soltanto con il lavoro, ottiene risultati evidentemente migliori. Basti pensare che giocatori come Sock e Harrison hanno ricevuto più di 20 wild card, mentre un tennista del calibro di Rafael Nadal non ne ha mai usufruito.

Tornando al caso Sharapova è ovvio che dietro alle decisioni delle organizzazioni dei tornei ci sono anche, se non principalmente, motivazioni di tipo economico. Per un torneo esclusivamente femminile, che quindi non può contare sulla grande attrattiva del tennis maschile, una star come la russa può essere considerata una tra le due o tre attrazioni e può fare una differenza notevole, tra il 30 e il 50% sull’affluenza degli spettatori, almeno fino a quando è in gara. Poi c’è la questione del prestigio: anche se un torneo non ha riscontri immediati, il fatto di avere in tabellone i più forti e i più famosi del mondo non fa che aumentare l’appeal dell’appuntamento.

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