Lo sport, si sa, non può certo essere ridotto alle statistiche, alle vittorie, ai successi e al palmarés, senza privarlo se non altro del suo significato più profondo e del suo valore: certamente vincere non può che contare ed essere il principale obiettivo di ogni sportivo, ma sarebbe quantomeno banale ritenere che ciò sia tutto per un giocatore. Dietro l’affetto e il tifo che i grandi campioni si guadagnano durante la propria carriera, infatti, si riscontrano senza dubbio innumerevoli altri fattori oltre ai successi sul campo, sebbene questi ultimi siano una condizione fondamentale, come l’integrità, il carisma e, essenzialmente, l’esempio che essi costituiscono dentro e fuori dal campo.
Se questo vale quando un tennista è ancora in attività e delizia gli appassionati con le proprie giocate, a maggior ragione non può che essere ancora più rilevante quando quegli stessi campioni si ritirano, lasciando un vuoto a volte incolmabile per i propri fan: gli esempi che si potrebbero fare sono molteplici, ma basterebbe menzionare, per esempio, i tre più grandi fenomeni del tennis maschile di questa epoca, Novak Djokovic, Rafael Nadal e Roger Federer, che si sono contraddistinti per vittorie straordinarie, ma il contributo che hanno apportato al mondo del nostro sport va molto oltre.
Questo discorso, al di là di ogni simpatia o antipatia, non può che essere riferito anche a Maria Sharapova, che proprio ieri, 26 Febbraio 2020, ha annunciato ufficialmente il ritiro e il termine della propria carriera, all’età di 32 anni e con cinque Slam nella propria bacheca. Come sempre, le valutazioni su una simile campionessa, come giocatrice e come personaggio, non possono che dipendere anche da punti di vista soggettivi, da opinioni personali e, come spesso accade , senza alcuna ipocrisia, anche dal tifo e dai gusti, ma tutto ciò non può in alcun modo negare o mettere in secondo piano l’importanza che “Masha” ha rappresentato per il circuito tennistico femminile. In un’epoca segnata senza dubbio dal dominio di Serena Williams, la russa è stata capace, seppur forse senza continuità, di conquistare tutti i quattro Major, di conseguire la prima posizione mondiale alla giovanissima età di diciotto anni e di diventare una delle sportive più pagate e apprezzate della storia del tennis e dello sport in generale. Ma ha rappresentato anche, e soprattutto, un esempio eccezionale di caparbietà, dedizione e determinazione, mettendo in luce una grande capacità di rialzarsi da ogni caduta, di superare infortuni insidiosi e di stupire tutti quando era considerata ormai non competitiva.
UN BILANCIO DELLA CARRIERA: MASHA AVREBBE DOVUTO VINCERE DI PIU’? Nonostante tutto, però, neanche la passione insita nello sport può sfuggire alla fredda logica dei numeri, delle statistiche, dei trionfi e e dei bilanci, che risultano inevitabili alla fine dell’esperienza di una campionessa di questo calibro, e si pone quindi la necessità di uno sguardo complessivo sulla carriera della prima russa al mondo a diventare numero 1 del mondo. Un dato assolutamente oggettivo e innegabile, da cui si può avviare questa analisi, è che gli ultimi anni non sono stati certamente brillanti e indimenticabili per la siberiana, che stava attraversando ormai un periodo senza dubbio negativo, per usare un eufemismo: a secco di risultati notevoli, ormai distante dal livello che aveva mostrato ai tempi d’oro della propria carriera, in cui teneva testa e sconfiggeva le migliori avversarie al mondo. Scorrendo rapidamente la storia delle sue prestazioni del 2019 e del 2020, si rivelerà tutt’altro che semplice ritrovare un evento in cui sia andata oltre il secondo, se non addirittura il primo turno, e una statistica forse ancora più emblematica non può che consistere nella sua posizione nel ranking, in cui era ormai scivolata al numero 373 del mondo, con un abisso da quella vetta che aveva raggiunto nel 2005.
Volenti o nolenti, non si può che risalire, un passo alla volta, all’episodio che ha segnato al di là di ogni ragionevole dubbio la fase finale della carriera di Masha, ma ha anche scosso il mondo del tennis e dello sport nel suo complesso, proprio per la fama e la rilevanza della personalità coinvolta: correva, infatti, il Marzo 2016, quando Sharapova convocò a sorpresa una conferenza stampa assolutamente inaspettata, in cui dichiarò di essere stata trovata positiva in un controllo antidoping realizzato nel Gennaio dello stesso anno, per avere assunto il Meldonium, ovvero un farmaco introdotto nell’elenco delle sostanze proibite nel settembre 2015. La russa, per sua stessa ammissione, aveva sempre assunto il Meldonium a partire dal 2006, a causa di un principio di diabete ereditario, che le provocava una mancanza di magnesio, e aveva giustificato il mancato rispetto delle nuove regole antidoping affermando che aveva ricevuto una Mail della WADA (l’Agenzia mondiale antidoping), ma non aveva aperto il collegamento alla lista delle sostanze proibite.
Tentando di riassumere rapidamente i successivi sviluppi della vicenda, l’ITF, ovvero la federazione tennistica internazionale, aveva inizialmente proposto una pena a quattro anni di squalifica, che venne ridotta tuttavia a due anni, ma la giocatrice avanzò un ricorso al Tribunale arbitrale dello Sport, che sancì infine che Sharapova dovesse rimanere fuori dal circuito solo per una stagione, poiché la violazione venne giudicata di natura non intenzionale. Questa è, brevemente, la storia degli anni conclusivi della carriera di Masha, ma questa anticipazione è assolutamente necessaria per comprendere probabilmente anche le motivazioni alla base della sua decisione di ritirarsi dalle competizioni: questa vicenda, di fatto, è risultata estremamente controversa e ha aperto moltissimi profili complessi da valutare, cosa che forse sarebbe impossibile in questa sede senza cadere in semplificazioni e banalizzazioni, e possiamo quindi limitarci a prendere atto del fatto che, dopo quella data tristemente nota, la campionessa russa non è stata più la stessa, e anzi probabilmente non si è mai più vista la sua versione migliore.
Ciò che resta da comprendere, dunque, è il posto che la Sharapova ha occupato nel circuito tennistico e, più in generale, quello che potrebbe occupare nell’olimpo del nostro sport, tirando le somme di una carriera senza dubbio costellata di successi, ma non priva di zone d’ombra e di controversie. Inevitabilmente, qui non si può che entrare nel campo delle opinioni personali, nella speranza che valutazioni puramente personali non urtino la sensibilità dei tifosi più o meno accaniti: si tratta, insomma, a mio modesto parere, di determinare se l’importanza che Masha ha indubbiamente rivestito per il mondo tennistico, dal punto di vista della personalità, della fama e dell’impatto che ha esercitato su questo sport, possa corrispondere a un ruolo altrettanto essenziale sul piano puramente e squisitamente sportivo e statistico.
Ribadendo ancora una volta, come punto di partenza fondamentale, che l’importanza di uno sportivo non sia riducibile ai semplici numeri, sono tuttavia convinto personalmente che, sotto il profilo tennistico, la Sharapova non sia equiparabile a molte esponenti primarie della storia del tennis femminile, prima fra tutte la sua più diretta rivale, ovvero Serena Williams: la russa ha senza dubbio rappresentato un simbolo cruciale del tennis nel mondo, trasformando anche la propria fama in una fonte di profitto economico, e può essere considerata a pieno titolo una delle più straordinarie campionesse della storia, ma i suoi successi non sono probabilmente equiparati alla sua celebrità e al seguito che ha generato nelle folle di tifosi, e risulta difficile affermare che avrebbe dovuto vincere di più. Una ennesima prova, ancora una volta, che i successi non sono tutto nello sport.