A poco più di 32 anni, dopo tantissimi infortuni e una squalifica di 15 mesi per doping, la russa sembra vicina alla definitiva decisione di appendere la racchetta al chiodo, come riporta anche La Repubblica. Con soli 17 match disputati nelle ultime 52 settimane, la continuità per Sharapova è oramai un lontano ricordo. Per il futuro, molto potrebbe dipendere dallo Us Open, dove la siberiana tornerà a collaborare con Riccardo Piatti, che già nelle scorse settimane era stato al suo fianco, dopo l’infortunio di Wimbledon, per due settimane all’Isola d’Elba. A Toronto Sharapova si è presentata senza coach, fermandosi all’esordio contro l’estone Anett Kontaveit.
UN CALVARIO LUNGO 11 ANNI – Dopo un brillantissimo inizio di carriera con il primo famosissimo successo a Wimbledon nel 2004, a 17 anni, su Serena Williams, Maria Sharapova era diventata la stella del tennis mondiale. Forte, fisicamente e mentalmente, tanto da arrivare l’anno successivo sulla vetta del ranking mondiale. Nel 2005, la bellissima 18enne di Njagan diventa anche, sponsorizzazioni comprese, la tennista più pagata al mondo, un primato che conserverà fino al 2014. Con il passare degli anni, grazie quindi allo sviluppo fisico, Sharapova sembrava sempre più destinata ad essere l’unica a poter contrastare lo strapotere della minore delle sorelle Williams. Tra il 2006 e il 2008 poi anche i successi allo Us Open su Justine Henin e a Melbourne su Ana Ivanovic. La storia del suo calvario, tuttavia, inizia proprio nell’anno del terzo Major. Per via di un problema alla spalla, la stagione finisce anzitempo, a Toronto, saltando dunque Giochi Olimpici e Us Open. Prova anche a risolvere il problema definitivamente, optando per l’operazione chirurgica che la tiene lontana dal campo fino al maggio 2009. Il rientro è ottimo, tanto che un quarto al Roland Garros e la vittoria a Tokyo che la issano alla 15esima posizione Wta. Dopo un anno di assestamento riprende a volare nel 2011, conquistandosi un posto in Top-10. In successione, semifinale a Indian Wells, finale a Miami, vittoria a Roma, semifinale al Roland Garros e poi sconfitta in finale per mano di Petra Kvitova a Wimbledon. Inizia qui il miglior momento della carriera, con una striscia ancora più convincente che solo Victoria Azarenka riesce a frenare. La bielorussa comanda in classifica e le soffia due finali consecutive tra Australian Open e Indian Wells. L’ascesa di Sharapova però è oramai annunciate. Si ferma nella finale di Miami ma conquista tre trofei consecutivi, tra Stoccarda, Roma e Parigi. Con il primo successo in terra francese torna sul trono del tennis femminile. Diventa così la decima giocatore a vincere il Career Grand Slam, aggiungendovi più tardi anche l’argento olimpico a Londra. Il 2013 è ugualmente promettente, ma in primavera arrivano insieme il danno e la beffa. Serena Williams le strappa lo scettro a Bois du Boulogne e da lì si riacutizza il problema alla spalla, che le fa giocare solamente tre partite nella seconda parte di stagione. Da qui in poi solo la terra rossa le regalerà delle gioie indimenticabili, con altri tre trofei nel 2014, a Stoccarda, Madrid e poi ancora Parigi. Nel 2015 tornano invece i problemi fisici, ancora sul più bello, e ancora con Serena Williams di mezzo. L’americana le spezza i sogni, prima in finale all’Australian Open e poi in semifinale a Wimbledon, ultimo match prima di altri mesi di stop. Si arriva quindi al famigerato Australian Open del 2016, dove la rivale la ferma nei quarti di finale, ma Sharapova nel frattempo verrà trovata positiva all’antidoping. Il Meldonium, farmaco utilizzato dalla 32enne, era finito infatti nella lista proibita a sua insaputa. La squalifica iniziale di 24 mesi viene per questo ridotta a 15, costringendola al rientro solamente nel marzo del 2017.
CARENZA DI RISULTATI – Dal giorno del rientro, oramai due anni fa, Sharapova ha però vinto un solo torneo, nell’autunno 2017 a Tianjin. Poi nessuna finale, pur con un netto miglioramento nella scorsa stagione, tornando a ridosso della Top-20 nello swing estivo degli Stati Uniti. Evidentemente, però, la semifinale dello scorso anno a Roma e il quarto di finale al Roland Garros, non sono bastati e non bastano a saziare la sua ambizione. Specialmente perché il dolore sembra essere più forte della gioia di stare in campo. A inizio stagione, la ex numero 1 del mondo sembrava pronta ad una nuova ascesa. Dopo la vittoria sulla campionessa uscente all’Australian Open, Caroline Wozniacki, di fronte a sé ha trovato una Ashleigh Barty già in gran forma e pronta a scalare le classifiche. Chissà se intorno alla riflessione di Sharapova c’è anche la presa di coscienza che una partita come quella contro Wozniacki è per lei troppo difficile da ripetere nel corso di un torneo. Prima di una decisione definitiva, però, c’è la possibilità che Maria Sharapova si è concessa. Forse l’ultima, quella con Riccardo Piatti. Perché dopo quell’Australian Open la russa si è fermata nuovamente per un problema alla spalla. Ancora sei mesi ai box dopo due soli altri match a San Pietroburgo. E tre partite dopo il rientro, a Wimbledon ancora dolore, questa volta all’avambraccio sinistro, e un altro ritiro. Ma per una campionessa come lei, alla base del ritiro non ci può essere solamente la frustrazione. Sharapova deve scendere ancora in campo. Prima di gettare la spugna deve rendersi conto che non ha più la forza di stringere i denti. Solo allora il tennis, e noi, potremo e dovremo salutarla. Ma noi non siamo ancora pronti, e forse neanche lei.