Quando si parla di donne, si sa, è necessario usare sempre qualche accorgimento in più, visto che il minimo problema può diventare disputa accesa sulla base di diritti più o meno acquisiti nel tempo.
Cambiare l’ordine costituito spesso è roba di decenni, e ancora più spesso i responsabili di tale cambiamento sono sono semplicemente il tempo stesso o le necessità effettive ed inoppugnabili contemporanee, o magari una bella testa calda che si mette a sollevare polvere, come se fosse proprio il suo momento: non si sa come, ma qualcuno spunta dal nulla e ci impone il confronto su ciò che di più saldo avevamo fino ad oggi nelle nostre convinzioni.
Non sarà una testa calda il nostro Gilles Simon, N.14 del mondo, ma di certo un po’ di polverone l’ha sollevato: nel giugno scorso, nel bel mezzo dei Championships di Wimbledon, il tennista transalpino rilascia alcune dichiarazioni nelle quali sostiene che il tennis maschile sia decisamente più coinvolgente e spettacolare di quello femminile; se non ci fossero i tornei cosiddetti joint (dove tornei ATP e WTA vengono accorpati per ragioni organizzative e di attrazione per il pubblico), sostiene Gilou, la differenza di spettatori si vedrebbe eccome.
A Simon fa eco nientemeno che Andy Murray, britannico n.3 del mondo che sostiene la posizione del suo collega e evidenzia che in campo, l’impegno profuso dagli uomini è esponenzialmente maggiore, anche per l’obbligo per gli uomini di giocare al meglio dei 5 set piuttosto che dei 3 come per le donne: dare soldi, vedere cammello, dunque; anche le ormai appurate e consolidate potenzialità fisiche femminili, rispetto ai fisici più esili del passato, adesso riescono tranquillamente a permettere tale sforzo ed a distribuirlo per non compromettere il seguito della stagione.
Ovviamente, se c’è chi dice nero, ci sarà naturalmente chi dice bianco!
Maria Sharapova, che in quel Wimbledon 2012 era testa di serie n.1, ribatte che lei è una delle tenniste più famose al mondo, al contrario di Simon, che di certo non è seguito da molti fan. Colpo basso.
Da quella che sembra essere diventata una lite tra ragazzini, si arriva all’intervento di Serena Williams che, visti i suoi trascorsi di portavoce dei diritti di uguaglianza delle donne nel tennis insieme alla sorella Venus ed alla fondatrice della WTA(poi unita alla WITA) Billie Jean King, sostiene fortemente la causa femminile e sottolinea come abbiano dovuto lottare per raggiungere il traguardo dell’ugualianza in fatto di montepremi nel 2007 dopo il French Open.
Gioco, partita, incontro.
Oggi.
A più di un anno di distanza, torna sull’argomento la presidentessa della WTA, la canadese Stacey Allaster, che in occasione della Battle of Sexes tra Na Li e Novak Djokovic, afferma che le tenniste del World Circuit sarebbero pronte a giocare al meglio dei 5 set, anche da subito, qualora le organizzazioni degli Slam lo richiedessero.
Una vera e propria bomba, visto l’equilibrio che era stato raggiunto in questi anni.
Il dibattito va ridefinendosi, ma stavolta sembra una mera questione di predisposizione fisica.
Stavolta, al contrario del 2012, non si parla più di chi è più bello e bravo e di chi vende più biglietti, ma la questione va sulle capacità fisiche delle atlete e sulla necessità di sopportare uno sforzo che, fino ad oggi, non era stato minimamente considerato.
Se c’è una Kvitova che dice di non essere molto convinta di questa opzione, visto anche il suo fisico non proprio da endurance, da contro si è fatta avanti addirittura Venus Williams che, a 33 anni suonati, si sente pronta alla sfida, così come la tedesca Angelique Kerber.
Bene, adesso abbiamo tutti i dati a disposizione per farci queste e quelle domande, e per riversarci in un qualsiasi forum a sparare a zero!
Nonostante ciò, va tenuto conto di quanto sia spinosa questa questione se analizziamo la faccenda da tutti i vari punti di vista.
Le tenniste hanno un fisico decisamente più sviluppato rispetto a 20/30 anni fa, dunque la resistenza fisica, nell’economia della stagione, potrebbe non risultare un problema, sopratutto dopo un po’ di rodaggio ed un allenamento indirizzato anche verso questa direzione.
Va però anche detto che, se la questione dell’intrattenimento non è del tutto chiusa, forse lo spettacolo offerto calerebbe ulteriormente: sia per un allenamento, come detto, maggiormente incentrato sul fisico e meno sulla tecnica (ci si lamenta spesso anche dei tennisti-cyborg che non offrono più quella tecnica e quel gioco di un tempo, n.d.R.), sia perchè le partite, sopratutto se sviluppate in lunghezza, potrebbero calare drasticamente di godibilità, rallentare nell’intensità di gioco ed esporre le tenniste ad inforuni più frequenti.
Spesso si sostiene che il tennis 3/5, rispetto al normale 2/3, nel tennis maschile, sia addirittura un altro sport, nel quale tennisti più tecnici ma, nel contempo, più mingherlini, non sarebbero in grado di imporre il loro gioco. Essi sacrificherebbero dunque Slam (i tornei più importanti e remunerativi, sia di dollaroni, sia di punti) e Davis pur di tirare a campare nel Circuito durante l’anno, lasciando i soliti noti androidi a lottare per la gloria davanti al grande pubblico.
Siamo sempre li, alla solita infinita lotta tra giusto o sbagliato, tra tecnica e muscoli d’acciaio, tra maratone e serve ‘n volley.
Tra poco perderemo Federer ed andremo incontro ad una nuova Età della Pietra, dove per pietra si intendono i polpacci dei top 10, che ci regalerà magari partite da 5/6 ore, ma di che fattura, sinceramente, non sappiamo dirvi. Per ora accontantiamoci di qualche ragazzotto che piano piano sta salendo, poi vedremo con calma e giudicheremo se stiamo per ritrovarci in un grande momento storico (per il tennis, s’intende!), o se ci apprestiamo a sorbirci l’intermezzo fisiologico tra campione di oggi e campione di domani, augurandosi che sotto ai bicipiti ci sia anche un po’ di talento e di voglia di stupire, non con le gambe, ma con la racchetta e con il cervello che la comanda.