Le recenti vicende di Victoria Azarenka riaprono la questione su come conciliare maternità e carriera – in questo caso sportiva – ad alti livelli. La tennista bielorussa infatti era stata felicissima di interrompere la attività agonistica per un anno, per portare a termine serenamente la gravidanza e vivere a tempo pieno i primi sei mesi di maternità, rientrando in campo quest’anno al torneo di Maiorca, e facendo bene al successivo torneo di Wimbledon, dove era stata estromessa al quarto turno dalla seconda testa di serie Simona Halep. Come dichiarato più volte da Vika, la gravidanza ha contribuito addirittura a migliorare le sue prestazioni fisiche e a darle nuova forza mentale: “Dopo la maternità ho capito, ancor di più, quanto siamo forti noi donne e quanto lo sono le mamme” ha dichiarato la tennista bielorussa “Non è così tremendo come molti possono pensare ma è certamente una decisione che va ponderata: devi essere disposta a prenderti una pausa e poi a tornare e lavorare più duramente di prima, devi quasi ricominciare da zero. Però penso che se hai l’amore e la passione per ciò che fai, non puoi non riuscirci.”.
I buoni risultati ottenuti, e i vari esempi simili dal passato, sono tutti dalla parte di chi giustamente pensa che le due vite della tennista e della mamma siano conciliabili, anche se magari non facilmente.
La questione dell’impatto della gravidanza sul fisico è ormai risolta. Anche vari medici sportivi si sono espressi sulla questione, e la gravidanza toglie dal punto di vista fisico “soltanto” qualche mese di allenamento, considerato che anche durante i primi mesi può essere fatta attività fisica agonistica (e possono essere vinte competizioni!). Sulla questione si era già espresso nel 2008 Anik Shawdon, uno dei medici sportivi dell’Australian Open: “Non c’è alcuna ragione fisica per cui le giocatrici non debbano tornare dopo aver avuto dei bambini. Forse nel tennis le donne tendono a raggiungere il proprio picco più giovani rispetto alle atlete di altri sport, questo sì. Ma dopo la gravidanza una donna dovrebbe tornare forte come prima, se non di più. E molte atlete si riconoscono più forti anche mentalmente”.
CAMPIONESSE DURANTE LA GRAVIDANZA – Se guardiamo alla storia del tennis infatti, dove la questione ovviamente non è nuova nel circuito femminile, ci sono moltissimi casi di vittorie durante la maternità, a partire dall’esempio più recente e più eclatante, quello di Serena Williams, vincitrice degli ultimi Australian Open, ai quali partecipò nonostante la scoperta della gravidanza proprio alla vigilia del torneo. Come avrebbe dichiarato in seguito: “Ho saputo di essere incinta due giorni prima dell’inizio degli Australian Open e non è stato facile, perché si sentono tante di quelle storie sulle donne in gravidanza: stress, nausea, stanchezza. Io dovevo trovare tutte le energie e ci sono riuscita”.
Gli esempi non mancano neanche fuori dal tennis, dove atlete di altre discipline hanno potuto eccellere “nonostante” la maternità: dalla canoista Josefa Idem, alla golfista Catriona Matthew, alla giocatrice di beach volley Kerri Walsh Jennings (oro alle olimpiadi di Londra del 2012, incinta di 5 settimane), alla ginnasta Larisa Latynina (5 ori ai mondiali del 1958, incita addirittura di 4 mesi), o Martina Valcepina, bronzo nella staffetta dello short track alle olimpiadi di Sochi del 2014, incinta addirittura di due gemelle. E questo solo per citarne alcune.
CAMPIONESSE POST-GRAVIDANZA – Ma non mancano nemmeno i rientri “di successo” da una gravidanza. Da Dorothea Chambers che già nel 1914 vinse il suo settimo Wimbledon subito dopo la gravidanza, a Margaret Smith Court che arrivò in semifinale agli US Open 1972 subito dopo il rientro, e addirittura sfiorò il Grande Slam l’anno successivo, mancando la vittoria solo a Wimbledon dove si fermò in semifinale; si sarebbe ripetuta anche nel 1974, con una seconda gravidanza e un secondo rientro nel 1975 con vittoria in due Slam nel doppio. Per non parlare poi di Evonne Goolagong Cawley, vincitrice degli Australian Open 1977, solo dopo 7 mesi dal parto, e vincitrice di Wimbledon 1980, seconda “mamma” della storia a vincere il torneo londinese dopo la già citata Chambers. Kim Clijsters poi, ritiratasi nel 2007 per diventare mamma, nel 2009 ritorna sui suoi passi e rientra nel circuito, vincendo Gli US Open 2009 e 2010 e gli Australian Open 2011, diventando la prima tennista della storia del tennis a diventare una “mamma” numero 1 del mondo.
O anche Lindsay Davenport, che, rientrata dopo 51 settimane di assenza per la nascita del figlio Jagger, conquisterà tre titoli nei primi quattro tornei giocati; la statunitense, intervistata in proposito, si esprimerà con forza sulla questione “Per anni mi ero detta che quando avrei avuto dei figli sarei rimasta a casa e avrei dedicato la mia vita a loro. Ma quando è nato Jagger, sentivo che volevo una nuova sfida. Prima ruotava tutto su una cosa sola: puoi vincere un altro Slam? Adesso, la sfida è tornare ad alto livello, e sono sicura che molte ragazze sul circuito pensano: ma che sta facendo?”. La scelta però non è stata semplice, e nei primi tempi la Davenport aveva avuto diversi dubbi in proposito, ma alla fine è riuscita a conciliare le due cose con serenità: “mi sentivo un po’ in colpa se giocavo per un paio d’ore ma poi ho capito che forse è meglio per tutti e due. La mia vita è più piena. Quando finisco di giocare o di allenarmi, la mia attenzione è tutta per lui e questo credo mi aiuti a giocare anche meglio”.
Dello stesso avviso è anche Casey Dellacqua, numero 3 del mondo di doppio; come da lei stessa ammesso: “Mio figlio Blake mi ha cambiato la vita. Noi tenniste siamo tutte abbastanza egocentriche, ruota tutto intorno a noi, a quello che noi dobbiamo fare. Poi, all’improvviso, Blake è diventato il centro di tutto. Da quel momento le mie priorità sono cambiate, non ero più così concentrata su me stessa, e ho iniziato anche a giocare meglio”.
A questo proposito la Williams sembra voler infrangere un altro record, ovvero quello di diventare la prima tennista vincente durante e dopo la gravidanza. Serena non ha infatti intenzione di fermarsi neanche dopo la nascita del suo primo figlio; dopo questa forzata sosta ai box infatti, vuole tornare più forte di prima, e garantirsi una seconda carriera, possibilmente lunga, nonostante l’età: “Ho già un piano per il rientro, la mia carriera non finisce qui. Questa maternità è una nuova fase della mia vita e un giorno mio figlio sarà sugli spalti a fare il tifo per me”. Serena ha attirato molta attenzione mediatica sulla propria gravidanza, probabilmente anche per rendere le colleghe tenniste, sportive, ma anche e soprattutto non sportive, consapevoli che “si può fare”, che basta volerlo.
SCELTE OPPOSTE – Negli anni ’70 però, una giovanissima Chris Evert compiva la scelta diametralmente opposta: la tennista statunitense infatti nel 1974, avrebbe deciso di abortire per tutelare la propria carriera, senza informare il compagno e padre Jimmy Connors, come da lui stesso dichiarato nella propria autobiografia. Questo fatto contribuì pure all’annullamento del loro matrimonio, che dopo essere stato dichiarato, non fu mai celebrato. Come racconta Jimmy Connors infatti, i due, lui 22enne e lei appena 19enne, erano felicemente fidanzati e all’alba delle loro straordinarie carriere quando:“La passione giovanile ci mise davanti a questa scelta e credo che sarebbe stato giusto prendere una decisione assieme, come una vera coppia” ma la Evert, pur di famiglia cattolica, prese la scelta di interrompere la gravidanza “Chris ritenne che il momento non fosse quello giusto e che la sua carriera fosse troppo in ascesa per essere compromessa”. Questo esempio molto eclatante però, probabilmente è solo uno dei pochi “ad essere usciti allo scoperto”; non è dato sapere, giustamente, quante colleghe abbiano fatto la stessa scelta della Evert, mettendo davanti la carriera a tutto il resto.
Tornando alla attualità, Vika Azarenka ha dovuto fare i conti, forse troppo presto, con l’altra faccia della medaglia della sua scelta, una delle facce che nella società moderna è fra i principali motivi per cui la gravidanza è spesso rimandata o rifuggita. Dopo i primi sospetti circolati intorno ai suoi forfait a Stanford e a Toronto, da poco è notizia ufficiale: Vika ha rinunciato ai tornei per potersi dedicare a tempo pieno ad una importantissima questione, quella dell’affidamento del piccolo Leo dopo la improvvisa separazione dal compagno e padre Billy McKeague. Il padre infatti ha ottenuto almeno per il momento l’affidamento del figlio, togliendolo dalle braccia della madre, grazie ad una sentenza del tribunale di Beverly Hills. McKeague si era subito mosso per vie legali, preoccupato dalla possibilità di non rivedere il figlio se affidato alla madre “giramondo”. Vika a questo punto si è affidata ad uno degli avvocati più esperti in materia, per poter riabbracciare il piccolo Leo, ma per intraprendere questa nuova battaglia dovrà rinunciare anche a Cincinnati e, notizia delle ultime ore, con ogni probabilità anche gli US Open. Non c’è però una chiara garanzia sulla data del rientro, né sulla serenità di Vika in seguito a questi turbolenti eventi. Risale alle ultime ore una dichiarazione della tennista bielorussa, che ha avuto modo di sottolineare tutte le difficoltà del momento: “… Sono stata in grado di tornare presto, a metà giugno a Maiorca prima di Wimbledon. Poco dopo, il padre di Leo e io ci siamo separati e abbiamo lavorato per risolvere alcune faccende legali. Per come stanno le cose ora, l’unico modo che mi consentirebbe di giocare gli US Open quest’anno è lasciare Leo in California, cosa che non voglio fare. Alternarsi tra l’avere un bambino e una carriera non è facile per nessun genitore, ma è una sfida che voglio affrontare. Sostengo le mamme e i papà che continuano a lavorare, non vorrei mai che nessuno si trovasse nella situazione di dover scegliere tra l’avere un figlio o lavorare. Spero che la situazione si risolva presto in modo da poter tornare a competere. Rimango ottimista sul fatto che nei prossimi giorni io e il padre di Leo possiamo fare dei passi nella giusta direzione per lavorare effettivamente come squadra e arrivare a trovare un accordo che permetta a tutti noi tre di viaggiare e a me di competere, ma – cosa più importante – assicurare a Leo una presenza costante da parte dei suoi genitori”
E questo pone l’accento su quella che molto probabilmente è la questione più importante, ovvero come gestire la maternità a causa della carriera. Se infatti la carriera può essere ben gestita sia durante che dopo la maternità, la maternità può essere gestita bene durante la propria carriera? Questo è forse il dubbio che attanaglia maggiormente tutte le donne che vorrebbero essere madri-atlete, ma anche madri-qualunquealtracarriera. Ed è la questione che madri-atlete di grande successo probabilmente è meglio risolvibile, grazie alle grandi disponibilità economiche. Sicuramente un po’ meno per chi non dispone di queste grandi disponibilità. Anche se sicuramente intervengono altri fattori, fra sensi di colpa, mancanza di tempo e mancanza di aiuto, nel posticipare la gravidanza a dopo il ritiro dall’attività agonistica. Ma anche questo è un altro vantaggio per le mamme-atlete: il ritiro come “data di scadenza”, momento dopo il quale comincia una nuova vita, con i suoi problemi ma anche con i suoi pregi, come quello di potersi finalmente rilassare e mettere su famiglia.
La decisione è ovviamente tutta personale, non esiste una risposta giusta alla questione, ma forse molte donne vengono ingiustamente frenate dall’idea che la conciliazione sia più difficile di quanto possa essere in realtà, anche a fronte di tutti gli esempi di cui abbiamo parlato. Voi cosa ne pensate?