Transgender si, o transgender no, questo è il dilemma? L’argomento che abbiamo deciso di trattare, lo dichiariamo sin da subito, è scottante: è giusta la presenza dei Transgender all’interno del circuito? La Navratilova ha ragione nell’affermare che si tratta di un imbroglio o le sue parole sono semplicemente di cattivo gusto e fuori luogo?
Siamo consapevoli del fatto che mettere bocca, o semplicemente cercare di spiegare, qualcosa che ha a che fare con l’identità di genere, nella fattispecie con la parità di genere o con i diritti acquisiti, oggi come oggi, equivale a camminare sul ciglio di un burrone, in precario equilibrio e costantemente sul punto di inciampare sulla parola sbagliata, urtando in questo modo la sensibilità dei più. Ma a noi quel rischio piace, l’adrenalina di quel burrone ci dà quella spinta in più, perché, nella vita, come direbbe Vasco, “è tutto un equilibrio sopra la follia” e allora cavalchiamola questa follia e prendiamoci anche le eventuali critiche che attraverso quest’articolo potremmo subire.
Tutto ha avuto inizio lo scorso 13 ottobre, quando l’ex numero uno al mondo Martina Navratilova, scrivendo un tweet per commentare la vittoria ai mondiali Master di ciclismo dell’atleta transessuale McKinnon, ha affermato: “Non basta definirsi donna per competere con le donne. Devono esserci dei criteri, se hai un pene non puoi competere con le donne”, aprendo in questo modo, un vero e proprio vespaio o vaso di Pandora, fatto di polemiche, offese e minacce. La comunità gay si è sentita profondamente offesa e delusa dalle parole di una delle sue più storiche paladine, tanto da spingere l’associazione LGBT a destituire la Navratilova dal ruolo di ambasciatrice dell’organizzazione stessa, che le era stato precedentemente assegnato.
Se pensate però che l’argomento sia “nuovo” o mai discusso prima, sbagliate di grosso. Negli anni passati infatti il numero di atlete trans che hanno avuto modo di gareggiare e in alcuni casi vincere, competizioni ufficiali, non senza scatenare polemiche e scontri, è altissimo. Nel mondo del tennis tra gli altri, ad esempio, possiamo citare il caso di Renée Richards, prima tennista transessuale della storia, ex numero 20 del mondo, ottima doppista e per un periodo sparring partner proprio di Martina Navratilova. René, prima dell’operazione si chiamava Richard Raskind, era sposato con una donna e faceva semplicemente l’oculista, negli anni ’70, decise di operarsi e di iniziare ufficialmente la sua carriera nel mondo del tennis femminile.
Negli anni, atleta dopo atleta e polemica dopo polemica, il “problema” si è riproposto in maniera ciclica, senza però portare a nessuna soluzione oggettiva. E’ mancata del tutto una regolamentazione chiara ed esaustiva in materia. Le singole Federazioni fino al 2003 facevano fede all’intervento chirurgico per definire la categoria di appartenenza, oggi invece vale semplicemente il livello di testosterone presente nel sangue, a prescindere dal fatto che l’atleta sia realmente operato o meno. Il testosterone nel sangue, per tutto l’anno precedente all’evento sportivo a cui si vuole partecipare, non deve mai superare il limite di 10 nanogrammi per litro. I detrattori continuano però a non essere soddisfatti, affermando che a prescindere dal livello testosteronico nel sangue, un transessuale continui ad avere degli innegabili vantaggi fisici rispetto alle atlete con cui di volta in volta si trova a dover competere.
Martina stessa, non ha avuto nessuna intenzione di rettificare, in quanto si è detta assolutamente convinta della sua tesi, tanto da ribadirlo domenica scorsa in un editoriale apparso sul Sunday Times: “È sicuramente ingiusto per le donne dover competere con persone che, biologicamente, sono ancora uomini“, aggiungendo inoltre, che “Devono esserci dei criteri. La via scelta dalla maggior parte delle Federazioni sportive non risolve il problema. Un uomo ha una densità ossea, e una muscolatura che si sviluppano sin dall’infanzia. Quindi per limitare il vantaggio oggettivo, il trans dovrebbe cominciare a prendere ormoni sin dalla pubertà, una cosa impensabile“, chiosa infine affermando che si tratta di un’enorme imbroglio.
Al di là dei termini usati dalla Navratilova, che possono essere condivisibili o meno, abbiamo trovato innegabile il fatto che gli assunti espressi siano più che giusti, probabilmente è incontrovertibile il fatto che fisicamente parlando, un uomo mediamente è più forte rispetto ad una donna. Ma a questo punto le domande sorgono spontanee: è giusto non permettere l’accesso alle competizione a persone, che hanno la sola “colpa” di sentirsi nate nel corpo sbagliato? Se non le permettiamo di giocare, non stiamo forse compiendo una discriminazione ingiusta e ingiustificabile? E allora come si fa? Si fanno giocare con gli uomini, non riconoscendo così la loro natura, o si crea un circuito a sé? Le domande restano troppe e le soluzioni tardano ad arrivare, pensiamo tuttavia che sia il caso di discuterne in maniera seria ed approfondita, è passato il tempo delle discriminazioni ed è finalmente giunto quello delle soluzioni.