Una Chris… polacca

Due stili paralleli, analoghi, ma pur sempre unici nella loro essenza, nella loro espressione tennistica e nella loro singolarità, che li rende magici e armoniosi, nonostante il passare inesorabile del tempo cambi l’ottica di giudizio di chi li ammira, estasiato.

La terza sconfitta consecutiva, in altrettanti incontri giocati sul cemento di Istanbul, segna la fine definitiva della stagione tennistica di Agnieszka Radwanska, che, tra stupore e malinconia, cede il passo alle sue colleghe più fresche, tornandosene, quasi in sordina, tra i Monti Carpazi per rigenerarsi in vista della prossima stagione, nella quale cercherà finalmente di portare a casa una vittoria Slam, tassello mancante nella sua breve, seppur intensa carriera.

Ciò nonostante Aga ci ha regalato, seppur a sprazzi, del buon tennis, caratterizzato da traiettorie piatte, traccianti millimetrici e drop-shot cristallini, propri solo di chi ha ricevuto una grazia divina dal cielo e che l’ha trasformata in un’arma a suo favore, lavorandola come un diamante grezzo; peccato però che quel suo peso piuma ne limiti le prestazioni, rendendola talvolta inerme di fronte alla superiorità fisica delle avversarie, che vuoi o non vuoi, la surclassano in potenza ed intensità, togliendole il tempo necessario di cui una come lei avrebbe usufruito in maniera più consistente, se solo i genitori l’avessero messa al mondo qualche decennio prima.

La storia ci insegna tuttavia che con i “se”e con i “ma” non si va da nessuna parte, e che la teoria, se non supportata dalla pratica, è come una foglia secca in mezzo ad una tempesta autunnale, resiste, ma è fragile e friabile.

Nel 1972, una ragazzina esile e bionda solcava i campi dell’All England Club di Londra, accompagnata dalla mamma, e si distinse subito per la sua classe e freddezza in campo, per la semplicità e la scioltezza con le quali colpiva la palla, per il suo timing perfetto, quasi angelico, che le permetteva di trovare gli angoli più nascosti e spettrali del campo: l’intelligenza tattica, la concentrazione, la perfetta coordinazione nei movimenti, il controllo di palla erano gli ingredienti di un gioco solido, lineare, preciso, caratterizzato da colpi completamente piatti che si svolgeva essenzialmente da fondo campo, con rare escursioni a rete, effettuate il più delle volte solo per chiudere il punto. Potremmo dunque affermare che un aspetto peculiare della Evert, a parte lo stile di gioco, era l’eleganza, la leggiadria e la sua finezza, doti innate che solo le vere “Ladies” possiedono. Un ritratto, il suo, assimilabile in parte, se non nella sua totalità, a quello della Radwanska quando, in posizione genuflessa, ci ammalia e ci manda in visibilio, increduli di fronte alle sue capacità coordinative degne di nota.

Un aspetto che le differenzia è invece la mentalità vincente, di colei che lotta dal primo punto all’ultimo, che è capace di autogestirsi sia nelle giornate positive sia, e soprattutto, in quelle negative.

“Ho sempre giocato per vincere. Perdere mi feriva. Sono sempre stata determinata nel voler essere la migliore“ disse a fine carriera Chris, paragonabile, seppur con le dovute differenze, per caratteristiche fisiche e comportamentali, alla principessa Lady Diana. Una sua peculiarità è sempre stata quella di non far trasparire emozioni all’esterno, chiudendosi in una bolla di vetro dal primo minuto sino all’ultimo del match, e mantenendo un self-control da far invidia a tutte le sue colleghe, compresa la sua acerrima rivale, nonché amica, Martina Navratilova.

Diverso il discorso per Agnieszka che, nel suo essere moderata, perde in grinta ed in convinzione, imbrigliandosi talvolta nella stessa ragnatela che tesse per le avversarie, e mostrandosi fin troppo passiva e remissiva nell’azione di gioco. Un aspetto fondamentale, nella carriera di una tennista professionista, dal quale non si può prescindere, e che differenzia i campioni dai semplici professionisti; la grinta nei gesti, nei movimenti, nelle espressioni, troppo spesso confusa con urla, gesti inconsulti e antisportività.

Due stili paralleli, analoghi, ma pur sempre unici nella loro essenza, nella loro espressione tennistica e nella loro singolarità, che li rende magici e armoniosi, nonostante il passare inesorabile del tempo cambi l’ottica di giudizio di chi li ammira, estasiato.

“Il tennis è ben più di uno sport. È un’arte, come il balletto. O come il teatro. Quando scendo in campo mi sento come Anna Pavlova, o come Adelina Patti, anche come Sarah Bernhardt. Vedo le luci della ribalta, sento i gemiti del pubblico.” Bill Tilden

ladies

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