Fabio Fognini è l’uomo del destino del tennis italiano. Un destino controverso, fatto di alti e bassi, genio e sregolatezza, quello del tennista di Arma di Taggia. Oggi per lui sono 33 anni, di cui 29 con la racchetta in mano. Il peso delle aspettative, su di lui, ha iniziato a gravare da quel Roland Garros 2011 in cui ha mostrato i primi lampi del suo incredibile talento. E con le sue doti è arrivato pian piano sempre più su, fino al biennio 2013-14. Lì è ri-nato il Sogno che tutta l’Italia tennistica aveva dimenticato. Un Sogno che sembrava destinato a perdersi nelle pieghe della sua mente, che in campo gli gioca da sempre brutti scherzi. Ma alla fine, Fabio ce l’ha fatta. Ha riportato l’Italia del tennis dove era stata nei suoi ormai lontanissimi anni d’oro, prima col titolo di Monte-Carlo, il 21 aprile, e poi con la Top-10, il 10 giugno dello scorso anno.
La sua rincorsa è iniziata a Palermo, nel 2005, quattro mesi dopo il primo ingresso tra i primi 100 del collega Andreas Seppi. In Top-100 è entrato per la prima volta solo con l’Australian Open del 2008, senza riuscire, già allora, a fare della costanza il suo punto forte. Per chi lo conosceva, però, in Italia, è sempre stato il più dotato, potenzialmente anche il più forte, pur coi suoi momenti difficili. Ha perso le prime sei semifinali giocate, arrivando alla prima finale solo nel 2012, a Bucarest. Tutti risultati sulla terra battuta, la superficie dove è nato. Eppure sul veloce, non è mai stato un pesce fuor d’acqua. Il primo ottavo in un Masters 1000 l’ha giocato e perso da Roger Federer a Montreal, dopo aver però battuto il suo primo Top-20 in carriera, un certo Andy Murray. Contro un Top-10, la prima vittoria è arrivata addirittura sull’erba di Wimbledon: vittima Fernando Verdasco, anno 2010. Nello stesso anno, poi, è nato anche il legame col torneo che “Fogna” ama di più insieme a Roma, il Roland Garros. A Bois du Boulogne ha vinto le sue prime proverbiali battaglie al quinto set, in cui accende e spegne la luce moltissime volte e sempre fatalmente, o per lui, o per gli avversari. Famosissima quella contro Gael Monfils, vinta 9-7 al quinto, in rimonta, in due giorni separati. Ma la più celebre di inizio carriera, rimane quella contro Albert Montanes, vinta addirittura 11 giochi a 9.
Una vittoria dolcissima, negli ottavi, dopo tre altri successi di forza, a cui si lega però uno dei più grandi dolori della carriera di Fabio Fognini. Il quarto contro Novak Djokovic, infatti, non potrà giocarlo, perché distrutto fisicamente. E da quella vittoria straordinaria, gli ottavi di uno Slam saranno per sempre e ancora oggi il più grande tabù della sua carriera. Ne perderà altri sei, dall’Australian Open del 2014 fino a quello del 2020, con la sconfitta subita da Tennys Sandgren. Per completezza tecnica, c’è chi lo mette addirittura in Top-10 o Top-5, dietro a Federer e pochi altri. Il solo quarto di finale Major però è una di quelle ragioni per cui non lo si è visto costantemente a quelle altezze. Oltre ovviamente ai 178 cm, che lo penalizzano in maniera decisiva nel servizio. Perfetta esecuzione tecnica del colpo, poi, non fa sempre rima con efficacia, perché vanno considerati fattori come superficie e avversario. Se il colpo esce perfettamente dalla racchetta ed è pulito, per alcuni può essere più facile da gestire rispetto ad una palla “sporca”.
RECORD, RIMPIANTI, HATERS – Ma questo è un prezzo che si paga con leggerezza, quando si riesce ad ammirare Fognini. Perché nel tennis per emergere serve anche lucidità tattica, quindi mentale. E quando queste due peculiarità hanno accompagnato il ligure, il suo tennis ha prodotto delle cose strabilianti. Murray e Rafael Nadal sono i top player che hanno più spesso sofferto i “Fognini moments”, istanti più o meno prolungati, in cui due dei giocatori più forti della sua era, di cui uno tra i più forti della storia, sono stati messi sotto scacco. Lasciati senza scampo da un tennis che era non solo più efficace, ma appariva estremamente più naturale. Si parla della sua capacità di giocare in tutti gli angoli del campo, di cambiare ritmo per tagliare le gambe all’avversario, e anche di aggredire la partita con accelerazioni vincenti ai limiti dell’incoscienza. I capolavori della sua carriera sono quelli del 2013, anno della prima esplosione, cominciata con la semifinale a Monte-Carlo dopo le vittorie straripanti su Tomas Berdych e Richard Gasquet, allora entrambi tra i primi 10. Poi la prestazione mozzafiato a Napoli contro Murray, steso 3-0 nel match di Coppa Davis del 2014. Lo stesso Murray che tre anni dopo, da numero 1 del mondo, verrà annichilito 6-2 6-4 davanti al pubblico del Foro. Dal 2015 poi, Fognini ha iniziato qualcosa in cui solo Djokovic, Dominic Thiem e Gaston Gaudio lo hanno quanto meno uguagliato. I suddetti quattro, sono gli unici tennisti ad aver sconfitto Rafa Nadal per almeno tre volte sulla terra battuta. L’ultima risale ovviamente alla performance memorabile nella semifinale di Monte-Carlo 2019. Le altre due sono invece quelle di Rio de Janeiro e Barcellona, urrà seguiti dalla vittoria più prestigiosa della sua carriera. Allo Us Open del 2015, Fognini è diventato infatti il secondo della storia del tennis a rimontare Nadal dallo svantaggio di 0-2. Un successo epocale, per un primato che l’azzurro condivide solamente con Sua Maestà Federer, riuscitoci 10 anni prima a Miami. Diversi anche i capolavori lasciati a metà, come ancora con Murray ai Giochi Olimpici del 2016 o con Nadal a Roma nel 2018. E ovviamente anche tante ferite, che hanno contribuito a costruirgli una solida base dei cosiddetti “haters”. Su tutte la sconfitta contro Feliciano Lopez dopo la vittoria su Nadal a New York, ma anche il quinto set perso in Davis contro Aleksandr Nedovyesov pochi mesi prima.
NO PLACE LIKE HOME – La verità è che conoscendo la natura di Fognini, da quel 2013 in cui sono arrivati i primi due titoli Atp, lo si può perdonare di molte cose. Il sogno Top-10, quando nella primavera del 2014 era arrivato al best ranking di numero 13, sembrava svanito. E invece dopo ogni momento meno positivo, è arrivata la reazione. A partire dal 2017, quando aveva iniziato l’anno intorno alla 50esima posizione mondiale e si era rialzato partendo dalla semifinale raggiunta a Miami. Da lì è iniziata la nuova ascesa, che l’ha reso indubbiamente uno dei tennisti più forti del mondo, in pianta stabile dal 2018. La vittoria a Los Cabos lo ha rilanciato verso la Top-10, arrivata undici mesi dopo. La gioia di Monte-Carlo, concilia Fognini con il suo passato e quello del tennis italiano, il suo presente e un futuro che anche dopo di lui sembra ancora più radioso. A Monte-Carlo, tanti anni fa, l’azzurro ha preso casa, forse ancor più di Roma. E proprio a casa ha vissuto il momento più bello. Reduce da sette sconfitte nelle precedenti otto partite, ha rimontato Andrey Rublev di un set e di un break prima di dominare per il resto della settimana. Alexander Zverev, Borna Coric, Nadal, e nel giorno di Pasqua, Dusan Lajovic. Primo italiano campione a Monte-Carlo dopo l’ultimo titolo di Nicola Pietrangeli, 51 anni prima. E a giugno, primo italiano in Top-10 dal 1978, quando ci riuscì il suo attuale allenatore, Corrado Barazzutti. A 33 anni, Fabio Fognini ha già raggiunto il Sogno, quello suo e quello che tutta l’Italia del tennis bramava da tempo. È oggi padre di Federico e Farah, marito della indimenticabile Flavia Pennetta, eppure è ancora numero 11 del mondo. Alla ripresa, dovrà essere bravo a darsi nuovi stimoli e obiettivi, sapendo che avrà sempre la capacità emozionarci come pochi giocatori al mondo. Auguri, Fabio, ti attendiamo con ansia alla prossima avventura.