Compie 24 anni Karen Khachanov, da sempre a metà tra un predestinato e una sorpresa. Già dal 2013 Evgeniy Kafelnikov profetizzava per lui un ingresso in Top-20 entro il 2015. Eppure tra gli addetti ai lavori, quello da osservare tra i giovani russi era sempre stato Andrey Rublev. Ora Daniil Medvedev è di molto superiore ad entrambi, e anzi Khachanov sembra nuovamente tornato il meno considerato dei tre. Eppure è stato il primo delle nuove leve dell’Est ad entrare in Top-10. Un risultato raggiunto grazie ad un superbo finale di 2018, culminato con la vittoria al Masters 1000 di Parigi-Bercy. Il 2019 invece è stato altalenante, ma le potenzialità rimangono altissime, e si sono viste anche all’ultimo Australian Open.
“Djan”, che il sito Atp segna come suo soprannome, è nato a Mosca, e da sempre è legatissimo allo sport. Il padre è un ex pallavolista di origine armena, e quando il figlio compie tre anni inizia ad avvicinarlo al tennis. Da allora nella sua storia il tennis è elemento fondamentale, ma di sport rimane appassionato, ed in qualche maniera vuole farne la sua vita. Le alternative alla carriera da tennista sono infatti quella da cestista o quella manageriale.
Le qualità le mostra subito dopo essersi trasferito in Serbia, nel 2010, allenato da Vedran Martic, che lo segue ancora oggi. Al primo torneo Under-18, a 14 anni, raggiunge la finale in Kyrgyzstan. Nel frattempo, il momento d’oro del tennis russo anni Duemila si esaurisce con il declino di Nikolay Davidenko, e su Khachanov e i coetanei aumenta la pressione. Lui però non si fa attendere troppo, e quando nel 2013 raggiunge il best ranking di n.16 juniores, in Russia si decide di forzare il suo avvento nel circuito Atp. Qui risuona la previsione di Kafelnikov, che anche se eccessivamente ottimistica, traccia la strada. Una strada che comincia nel settembre di quell’anno, con la wild card al torneo di San Pietroburgo, quando il 17enne moscovita batte Victor Hanescu (allora n.63) nel suo esordio Atp. Al secondo turno lo blocca Lukas Rosol, ma il mese successivo, nel torneo di casa, fa ancora meglio. Batte prima Albert Ramos, e poi addirittura Janko Tipsarevic, numero 27 Atp e 3 del torneo. In classifica, ci entra bruciando tantissime tappe: a fine anno con nove partite tra Atp e Challenger vola al numero 442. Il premio è la prima convocazione in Davis, con annessa vittoria in tre set sul sudafricano Dean O’Brien.
Il servizio è da sempre punto di forza per lui, che in altezza cresce fino agli attuali 198 cm. Da fondocampo il colpo a cui si affida di più è il dritto. Utilizza spesso anche quello anomalo, anche se ha sempre dichiarato il rovescio lungolinea come il suo colpo preferito. A 18 anni, nel 2014, scommette su sé stesso per un salto di qualità, soprattutto fisico. Lascia così Martic e si sposta a Barcellona, da Galo Blanco (ex numero 40 del ranking e allenatore del primo Raonic). Col nuovo coach vive quindi un anno di transizione, ma i frutti cominciano a vedersi nella seconda metà di stagione. Naviga nel circuito Futures e ne vince due tra Taipei e la Francia, e altri tre nel 2015. Con la nuova stagione l’impostazione del giocatore è chiara e simile a quella che vediamo oggi. Atletismo e robustezza lo aiutano da fondo campo, dove è solido. Anche se col dritto è aggressivo e non si risparmia nelle accelerazioni, si tuttavia fa fatica a definirlo attaccante da fondo. Nel circuito Atp perde le uniche due partite giocate del biennio (entrambe nel 2014). Stenta abbastanza nelle qualificazioni dei Grand Slam, ma l’ascesa continua, e trova uno snodo importante nel settembre 2015. Ad Istanbul vince il primo Challenger e si lancia nella Top-200, chiudendo l’anno da n.156.
La Spagna oramai è casa sua, ed è lì che tre anni dopo, Khachanov torna di prepotenza nel tennis dei grandi. Di anni ne ha 19, ma tutti capiscono che oramai è più maturo. Migliora nel posizionamento, nella ricerca di palla con i piedi, quindi capisce quando può forzare o meno. Nella penisola iberica poi, si appassiona alla terra battuta, che oggi è la sua superficie preferita insieme al cemento indoor. Proprio sul rosso di Barcellona fa parlare di sé. Supera le qualificazioni e batte addirittura Aljaz Bedene in rimonta al tie-break decisivo. È ormai spagnolo d’adozione, e il match di secondo turno sembra quasi un derby, contro Roberto Bautista Agut. Una battaglia fisica e di nervi, fino all’ultimo “Vamos”, che è di Khachanov, così come la vittoria, per 6-2 6-7(4) 6-3 contro il numero 17 del mondo. Da lì, torna a correre veloce, e quattro mesi dopo, col quarto raggiunto a Kitzbuhel, è in Top-100. La gioia più grande, però arriva in autunno. Nel neonato Atp 250 di Chengdu, Khachanov si afferma definitivamente nel circuito Atp, vincendo il titolo in finale su Albert Ramos.
Nel 2016, allo Us Open, vince anche il primo match in un Major contro Thomas Fabbiano. Poi sposa anche Veronika, la ragazza della sua vita, che conosce da quando aveva 8 anni e frequenta da quando ne aveva 13. Cresce ancora dalla metà del 2017 in poi, quando torna sulla terra. Quarti a Barcellona e ottavi al Roland Garros, prima della semifinale ad Halle, in cui incrocia Roger Federer. Il suo idolo è Marat Safin, rispetto al quale ha certamente meno talento. Si impegna però fuori dal campo, è appassionato di scacchi e studia Scienze Motorie all’Università, dove si laurea nel 2018. È anche lucido e consapevole della propria incompletezza tecnico-tattica e nel 2017 capisce che la collaborazione con Galo Blanco è diventata abbastanza sterile.
Quando a fine anno torna ad allenarsi con Vedran Martic, è pronto all’anno della consacrazione. Oltre a maturare fisicamente nel corso dell’anno, migliora in risposta e limita i momenti in cui si trova nella terra di mezzo. È infatti timoroso nelle discese a rete, in cui manca non solo della giusta postura, ma anche della sensibilità. Comprende però che con le sue bordate, a volte, anche se non si ha dimestichezza con le volée, è nocivo interrompere la proiezione offensiva tornando indietro. Tutti accorgimenti che ancora una volta entrano nel bagaglio del tennista russo a partire da metà stagione. A inizio anno vince il torneo di Marsiglia, ma solo quando perde in semifinale a Toronto e nel terzo turno dello Us Open, da Rafael Nadal, sembra esploso. Ed effettivamente lo è, per forza fisica e fiducia nei propri mezzi. Grazie soprattutto alla prima qualità, a novembre vince il Masters 1000 di Parigi-Bercy, battendo un Novak Djokovic svuotato dalla storica semifinale contro Federer. Una vittoria che lo lancia al best ranking di numero 8 del mondo.
Nonostante l’ottima resistenza e l’indole del lottatore, Khachanov rimane tuttavia un tennista sensibile e dal fragile equilibrio. Una peculiarità che si rivede anche nel suo tennis, che nei momenti complicati si regge sugli scambi a tutto braccio, che ovviamente ne limitano le possibilità. Si tratta del vortice in cui si è ritrovato in diverse partite nel 2019. Sconfitto al primo turno a Bercy, Khachanov è riuscito però a confermare almeno la Top-20 grazie ai quarti ad Indian Wells e al Roland Garros, ma anche alle semifinali alla Rogers Cup e a Pechino. Un rendimento non esattamente costante che ha confermato come il tuo tennis incentrato sulla potenza sia anche abbastanza umorale. Se la fiducia scende di un minimo, scendono velocemente anche i risultati, e il giocatore sembra regredire. Con la testa più pesante, e gli avversari che oramai lo aspettano studiandolo, Khachanov ha perso infatti nel 2019 il sostegno dell’ottimo servizio. Nel Serve Rating dell’Atp, il russo è sceso dall’11esima del 2018 alla 28esima posizione dello scorso anno. La miglior partita degli ultimi tempi, che ne ha ripristinato anche un po’ lo status di possibile Top-10, è stata quella al terzo turno degli Australian Open. Un match di straordinaria intensità, in cui proprio grazie alla freschezza atletica è riuscito a recuperare Nick Kyrgios da uno svantaggio di 0-2, prima di perdere al quinto set. Nell’ultimo torneo pre-sospensione, ha perso nei quarti da Djokovic. Dopo questa lunga pausa, che frena il dominio dei Big-3 negli Slam, sarà interessante vedere su quali livelli riuscirà a stabilizzarsi il russo. I mezzi tecnici per completarsi non sembrano eccezionali, ma la dedizione e l’ambizione non mancano. Su questa scia ha giocato diversi tornei in doppio con l’amico Rublev, perdendo due finali 1000.