Goran Simun Ivanišević, il “Cavallo pazzo”, è un tennista croato nato a Spalato 45 anni fa, il 13 Settembre 1971, che oggi festeggia il suo compleanno. Goran, il giocatore con un colpo solo, come lo aveva definito McEnroe, amato e odiato, osannato, fischiato e osteggiato.
Come tutti i grandi personaggi a volte scomodo, sicuramente fu uno dei migliori giocatori della sua generazione. Il giovane croato mancino già numero 3 del mondo a livello juniores passò al professionismo nel marzo del 1988 alla giovane età di 17 anni.
Solo un anno dopo si qualificò in uno Slam, Gli Australian Open vincendo 4 match ed aggiudicandosi i quarti.
Nel 1990 al Roland Garros il grande pubblico si accorse di lui perché estromise al primo turno l’allora testa di serie n2 Boris Becker e raggiungendo i quarti.
Nonostante gli immediati successi nei maggiori tornei del circuito non riuscì a raggiungere una finale Slam fino al 1992 a Wimbledon, dove però perse contro Agassi al quinto dopo aver sconfitto Pete Sampras , Edberg e Lendl. Da allora suo servizio passò alla storia, infatti solo in quella finale mise a segno ben 39 ace.
Ivanisevic continuò la sua ascesa tennistica accumulando successi soprattutto indoor, dove i campi sono più veloci e anche i servizi, Presto il pubblico non sembrò più apprezzare i suoi bombardamenti col servizio e a Parigi Bercy venne fischiato su ogni ace.
Il suo anno migliore fu comunque il 1994, quando raggiunse la seconda posizione mondiale per la prima volta in carriera. Perse comunque ancora una volta a Wimbledon sempre contro Agassi.
Nel 1996 conquistò la semifinale agli Australian Open e chiuse l’anno col record di 1477 ace. Per la terza volta nel 1998 perse a Wimbledon in finale contro Sampras.
In quegli anni Goran divenne negativamente famoso a causa del suo carattere lunatico e la sua capacità di perdere partite già vinte, e proprio queste caratteristiche gli fecero guadagnare il soprannome di “Cavallo Pazzo”. In conferenza stampa non era mai banale, e scioccava giornalisti e pubblico con affermazioni come: “Esistono tre Goran: quello buono e calmo, quello cattivo e nervoso, e il Goran 113 da chiamare nei momenti di emergenza per mettere d’accordo gli altri due!”
Spesso irriverente verso giudici di sedia raccattapalle e avversari, Goran scherzava sul fatto di non aver raggiunto la posizione di n. 1 del mondo dicendo che preferiva essere stato n.2 dietro a Sampras, il numero uno davanti a una banda di pallettari.
“La mia vita non è mai stata facile, non c’è mai stato qualcosa di davvero gratis, ho dovuto sempre soffrire. Il mio problema in fondo è sempre stato che in ogni partita avevo 5 avversari l’arbitro la folla i raccattapalle il campo e me stesso. Non c’è da meravigliarsi se qualche volta uscivo di testa”, affermava dall’alto del suo metro e novantatré.
L’età che avanzava tuttavia, influenzò negativamente sulle sue capacità tennistiche e lentamente dalla top 30 del 1998 scese nel 2001 al n.125 del mondo. Nonostante il ranking sfavorevole decise di entrare a Wimbledon con una Wild Card.
“A Wimbledon avevo sempre fatto grandi battaglie ed ero sempre arrivato secondo. La gente mi rispettava ma non era abbastanza. Oh mio Dio, no! Stavolta no, non poteva succedere ancora”. Così, da 125 del ranking, sorprese il mondo vincendo finalmente Wimbledon superando nell’ordine a suon di ace Moyà, Andy Roddick, Greg Rusedski, Marat Safin, testa di serie n.4, Tim Henman e in finale, 9-7 al quinto, l’australiano Pat Rafter conquistando al quarto tentativo, e fuori tempo massimo, il più prestigioso degli Slam.
Tutti lo davano per finito, e invece Goran mise a segno il trionfo che lo spedì direttamente nell’Olimpo del tennis. Racconta: “Ogni minuto di quelle due settimane è stato indimenticabile. In quel momento non sapevo più che cosa fare, l’intera carriera m’è passata davanti, insieme alle tre finali perse su questo campo. La premiazione è stata una sorpresa, le altre volte andavo per primo, per il piatto, stavolta invece ero il secondo e potevo alzare il trofeo con tutti quei grandi nomi scritti sopra. Li avevo sempre visti baciare e alzare la Coppa, e io ho sempre pensato di meritarmela. Incredibilmente, ci sono riuscito nell’anno in cui sono arrivato a Londra quasi da turista”.
Dedicò il suo exploit alla memoria dell’amico Drazen Petrovic, cestista scomparso in un incidente stradale nel 1993; tormentato dagli infortuni non riuscì a difendere il titolo l’anno successivo.
“Il sogno si realizzava: da quel punto in poi, qualunque cosa avessi fatto nella mia vita, ovunque fossi andato, sarei stato il campione di Wimbledon”.