L’anno appena trascorso verrà sicuramente ricordato a livello tennistico, tra le altre cose, anche per il debutto della nuova formula della Coppa Davis. Il format di Piqué e Kosmos ha senza dubbio rivoluzionato e non poco quella che era la tradizione centenaria della vecchia competizione a squadre: una fase finale in sede unica, il veloce della Caja Magica di Madrid, diciotto squadre nazionali divise in gironi da tre, partite al meglio dei tre set con sfide articolate in due singolari e un doppio. La vittoria (già annunciata dai più) della nazionale spagnola, trascinata da un Nadal in stato di grazia e capace di stupire ancora una volta, ha avuto un grande impatto a livello mediatico, ma, allo stesso tempo, la rinnovata competizione a squadre è stata bersaglio di critiche su più fronti.
A posteriori, è giusto ammettere che le critiche siano state indirizzate più all’organizzazione della manifestazione che alla rinnovata formula. Il nuovo format, infatti, ha dalla sua il fatto di essere stato apprezzato, secondo quanto riportano gli organizzatori, dalla maggioranza dei giocatori, i quali si sono detti stupiti di quello che gli spagnoli sono riusciti a creare in un tempo così ristretto. Oltre a questo, l’ultima Coppa Davis, dotata di un format senza dubbio più moderno e televisivo, è riuscita a far parlare di sé, ma soprattutto ad offrire agli spettatori, grazie alla formula a gironi al meglio delle tre partite, scontri avvincenti con incontri molto interessanti, anche tra nazionali minori, che, con la vecchia Davis, avrebbero avuto probabilmente minor risalto. Nella settimana della Caja Magica, infatti, il tennis è stato il protagonista principale: i giocatori hanno mostrato un “attaccamento alla maglia” non inferiore a quello presente nella vecchia Davis, riuscendo a dar vita a battaglie dai colpi incredibili in grado di coinvolgere il pubblico presente.
Dall’altra parte, però, non possiamo non riportare che durante questa prima edizione siano emersi svariati aspetti negativi ed errori piuttosto banali, relativi, in particolare, all’organizzazione. Gli orari, in primis: tutti, dai giocatori ai giornalisti, hanno criticato l’orario delle sessioni, che spesso e volentieri si sono prolungate fino ad orari improponibili (ricordiamo il caso limite della partita di doppio tra Italia e Stati Uniti terminata dopo le quattro del mattino) che costringevano i tennisti a giocare fino a tardi e, di conseguenza, tornare in albergo, in maniera sistematica, a notte inoltrata. È stato lo stesso Nadal, protagonista indiscusso di quest’edizione, a dire che orari del genere sono impensabili sia per i giocatori che per il pubblico. Proprio gli spettatori sono al centro di un altro aspetto controverso della manifestazione svoltasi lo scorso novembre: solamente le partite della Spagna sul campo centrale facevano registrare il tutto esaurito, mentre sugli altri due campi la presenza del pubblico non era così massiccia, probabilmente anche a causa dell’assenza di biglietti che permettessero l’accesso a tutti i campi. Nonostante ciò, l’atmosfera tipica della Davis non è stata gravemente intaccata poiché le persone presenti, probabilmente sospinte dalla voglia di vincere mostrata dai giocatori, si sono mostrate coinvolte e rumorose. Certo, come affermato anche da Djokovic, si sente comunque il cambiamento relativo alla sede unica, che fa perdere probabilmente (al pubblico e non solo) un po’ di quella magia della vecchia Davis nelle partite giocate in casa da ogni singola nazionale.
Un altro dubbio importante emerso dopo la nuova Davis è quello riguardante la sua collocazione temporale all’interno del calendario Atp, anche alla luce della nascita dell’Atp Cup, l’altra nuova competizione a squadre che prenderà il via nei prossimi giorni. In un’intervista di pochi giorni fa, Diego Schwartzman, dopo averla elogiata, ha affermato: “Senza dubbio la Davis ha cose da migliorare come gli orari e la data. A mio parere non dovrebbe svolgersi alla fine dell’anno perché la stagione a livello individuale è terminata da un po’ e il periodo di riposo, quasi inesistente, viene ulteriormente accorciato”. Nadal e Djokovic, rispettivamente numero uno e due del mondo, avevano invece espresso le loro perplessità in merito allo svolgersi di due competizioni a squadre a sei settimane di distanza l’una dall’altra, prospettando come unica soluzione la fusione tra le due manifestazioni o, come suggerito da Novak, un’anticipazione della Davis magari al mese di settembre (facendo un piccolo sgarbo alla Laver Cup di Federer).
Tutto sommato, dunque, questa contestata Davis sembra avere per il futuro un potenziale notevole, nonostante sia senza dubbio da correggere il tiro dell’organizzazione: servono più campi o forse più giorni su cui spalmare la manifestazione, così da migliorare di conseguenza il problema orari e concentrazione partite. Gli organizzatori si sono detti soddisfatti, ma hanno affermato di voler operare dei cambiamenti già dal 2020: la sede resterà per il prossimo anno la Caja Magica, con successiva pronosticabile sede diversa ogni anno, avremo l’aggiunta di uno o più campi, con la promessa della ricerca di una soluzione anche per la collocazione temporale del torneo.
Interessante, invece, sarà adesso vedere il confronto con la nuovissima Atp Cup che, in qualche modo ricalca la formula a gironi della Davis. È indubbio che i banali errori organizzativi commessi dagli spagnoli della Davis non verranno ripetuti dagli australiani, ma vedremo quale delle due competizioni a squadre riuscirà ad ottenere il favore di pubblico e giocatori e soprattutto se, in futuro, le due manifestazioni saranno disposte addirittura ad unificarsi.
Diletta Tanzini