Storie di Davis: Ginevra, Napoli e Nancy come le Termopili

Quando si parla di Coppa Davis, o Davis Cup per onorare gli anglofoni, guai a parlare di classifica, anche se non sempre il cuore riesce a superare l'ostacolo.

Weekend di Davis, alla vecchia maniera. Si parte il venerdì e fino alla domenica non se ne vuole sapere, di nient’altro e di nessun’altro.

Quello appena trascorso è stato proprio un weekend che ha tenuto tutti con il fiato sospeso. Beh, tutti o quasi, anche perché quando Mr. Nishikori ha alzato bandiera bianca, Stepanek, Rosol fino anche al convalescente Berdych, hanno tirato tutti un bel sospiro di sollievo.

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 A Tokyo, effettivamente, c’era spazio solo per un’impresa sportiva, visto che Ito, Daniel e compagni non sapevano neanche da dove cominciare contro un mostro sacro della Davis come Stepanek ed un leoncino rampante come Rosol. Alla fine della fiera, bastano due giornatine piuttosto ordinarie ai due cechi, senza neanche scomodare l’altro baby Jiri Vesely, che male a mio avviso non avrebbe fatto, per chiudere la pratica sul 3-0 e lasciare la domenica a divano e pantofole.

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Altre storie quelle che hanno visto incrociarsi Ginevra, Nancy e Napoli. Per gli azzurri di parole al miele ne sono state spese tante, e mai furono più meritate, vista la grande impresa: il doppio doveva essere il classico macigno, visto che Murray a casa di molti può essere letteralmente tradotto in “due punti matematici”, e invece ci si è messo il buon Fabio Fognini, l’Eroe dei Due Mondi (il feeling con la terra sudamericana ce l’ha tutto), tra Murray ed il suo secondo punto, tra il popolo della regina e la semifinale Davis. Miracoli a parte, la situazione italiana, nonostante l’1-1 della prima giornata, sembrava molto più complicata del previsto, mentre per le altre compagini impegnate oltre le Alpi, che qualcosa sarebbe cambiato potevamo tranquillamente immaginarcelo.

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In Francia già si erano messi il cappello, pronti ad alzare i tacchi, un po’ “incazzati” per dirla alla Paolo Conte, anche perché le facce sorridenti accanto a Clement (capitano Francese, n.d.R.) alla presentazione dell’incontro rappresentavano atleti di tutto livello, con Tsonga e Monfils per i singolari e Benneteau e Llodra per il doppio. La Germania aveva poco da perdere; ai box Florian Mayer, Haas e Kohlschreiber, e scelte obbligate a pendere su Tobias Kamke e Peter Gojowczyck. Sono proprio i due tedeschi a compiere due piccoli-grandi miracoli, con Kamke che sconfigge Benneteau, preferito a Monfils, e Gojowczyck che strappa a Tsonga un incontro bellissimo, forse il più bello in carriera per il vichingo teutonico. Con tutti o quasi a reclamare la testa di Clement (nessun capitano è stato maltrattato per realizzare questa rimonta), le cose cambiano velocemente, e se Benneteau e Llodra si confermano doppisti fenomenali, le cose si rimettono in sesto anche in singolare, con Tsonga che si ricorda di essere un Top10 quando ci si impegna, e Monfils che si riprende il posto e fa secca anche l’ultima flebile speranza tedesca. Un 3-2, dunque, che parla francese, e che dovrebbe aver fatto capire ai francesi quale rischio abbiano corso, con la squadra che possono vantare (con Gasquet,Simon e Paire a casa, insomma, ricambio dovrebbe esserci), oltre ad aver fatto raggiungere loro una semifinale importantissima, con una Repubblica Ceca che, orgoglio ed Berdych a parte, è battibile, ma guai a prenderla sotto gamba.

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 Ginevra dunque, e stai tranquillo che bastiamo noi due. Alzi la mano chi pensava al 3-2 deciso solo all’ultimo battito di ciglia. Suppongo che Federer e Wawrinka fossero piuttosto tranquilli visto che Kukushkin e Golubev non erano esattamente degli Tsonga o dei Berdych. Che “Iron Stan” non fosse al 100% si era visto da subito dopo gli straordinari AusOpen vinti, ma l’impegno di Davis doveva essere semplicemente una formalità: ricordate? La classifica in Davis conta davvero poco. Wawrinka perde con Golubev e tocca a Federer rimboccarsi le maniche e portare a casa il primo punticino. Poi arriva il doppio, quel doppio campione nel 2008 alle Olimpiadi di Pechino, che resta sempre un’istituzione. Niente, passano ancora Golubev e Nedovyesov, e la sensazione di paura inizia a crescere esponenzialmente, visto che nello storico c’è sempre da considerare quel 5-0 del 2010 che vide Wawrinka e compagni cedere senza colpo ferire. Siamo 2-1 e i due capofila svizzeri hanno bisogno di tutti e due i punti in palio: Wawrinka si riprende dopo aver perso il primo set con Kukushkin e chiude 3-1; a quel punto si iniziano tutti a ricordare cosa era tanto mancato nel 2010, ovvero Roger Federer. Per Golubev, generosissimo, non c’è niente da fare contro un Federer così, e quella Svizzera che tanto si era complicata la vita nelle prime due giornate di gioco riesce a guadagnarsi le semifinali contro la straordinaria Italia di Barazzutti.

Non si giocherà a Lugano, come ironicamente aveva dichiarato Wawrinka nell’intervista post-qualificazione, ma con ogni probabilità il palcoscenico sarà ancora quel Palexpo di Ginevra che ha ospitato l’arrembante Kazakhstan, con gli spalti gremiti e un tifo da stadio.

Sulla carta, e soprattutto sul cemento indoor, gli araldi rossocrociati saranno imbattibili o quasi. Ma ricordatevelo sempre: in Davis la classifica conta meno di quanto si possa pensare. O almeno questo è ciò che possiamo augurarci.

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