Joan Vickers e la tecnica del ‘quiet eye’

Elaborata dallo studioso Joan Vickers, la teoria dell'occhio 'calmo' è oggetto di studio sin dagli anni '80. Il suo scopo? Migliorare le performance dei tennisti attraverso un utilizzo ottimale del campo visivo.

Nel mondo dello sport, si sa, sono sempre esistiti due tipi di persone: gli atleti e i campioni. I primi, difficilmente riescono a ritagliarsi il loro spazio, mentre i secondi hanno quel qualcosa in più che permette loro di dominare costantemente gli altri. Ma cos’è che a dei semplici atleti manca, e che al contrario i campioni possiedono?

Secondo Joan Vickers, tale differenza risiede in parte nella capacità di concentrazione che un giocatore riesce ad applicare o meno durante un match; tale capacità è stata continuamente oggetto di ricerca, ed ha condotto Vickers ad elaborare una vera e propria teoria: stiamo parlando della teoria del quiet eye o, più semplicemente, dell’occhio ‘calmo’; essa può essere usata sia per conoscere in anticipo le mosse dell’avversario sia per migliorare la propria performance. L’allenamento dell’occhio ‘calmo’ sembra migliorare di gran lunga l’attenzione ed il controllo dei giocatori, oltre ad irrobustire le loro abilità motorie sotto pressione; per conferire validità alla tesi di Vickers citerò due campioni che, a mio parere, hanno sempre dato del filo da torcere ai propri avversari, grazie a questa particolare abilità di intuire le loro scelte in anticipo: Novak Djokovic e Agnieszka Radwańska.

Nole ha recentemente rivelato di aver trovato supporto da questa capacità proprio in occasione della finale degli Australian Open, in cui si è imposto rapidamente in 3 set ai danni di Nadal. Lo spagnolo nulla ha potuto contro la tattica di gioco impiegata dal serbo, il quale è riuscito a rendere innocuo perfino il servizio in slice esterno del maiorchino, uno dei colpi solitamente più insidiosi per gli altri giocatori – ciò dimostra, a maggior ragione, l’unicità di Djokovic sotto questo punto di vista.

Per quanto riguarda invece la Radwańska, è vero che l’ex giocatrice polacca non vanta nessuna vittoria in ambito Slam, ma quante volte siamo rimasti letteralmente scioccati da certi suoi punti? Personalmente, direi tante: ne è un esempio lampante la sfida contro la Flipkens, durante il Sony Open del 2013, dove si è potuto notare come Agnieszka riuscisse a giocare in completa tranquillità e con una prontezza tale da uscirne sempre vincitrice  – anche nelle situazioni più impensabili e assurde.

Sam Vine, ricercatore della Exter University in Inghilterra, ha approfondito gli studi sulla teoria del quiet eye, giungendo alla conclusione che questa capacità stimola l’area dorsale del cervello e regola l’attenzione focalizzata e diretta verso l’obiettivo. A tal proposito ha affermato che, “spesso le persone sono convinte di guardare dalla parte giusta e invece sbagliano. La differenza nel tempo di messa a fuoco tra un principiante e un esperto è minima, può arrivare appena a un quinto di secondo”.

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