I primi giorni della nuova stagione tennistica erano ripartiti dall’entusiasmo del tanto atteso duello tra Andy Murray, fresco di prima posizione nel ranking ATP, e Novak Djokovic, spodestato dal trono dopo un dominio lunghissimo. Le prospettive iniziali indicavano una stagione importante per lo scozzese, finalmente giunto in vetta alla classifica e con la grande opportunità di dimostrare una volta per tutte di non essere quello “scarso” dei quattro. Le ultime vicende tennistiche, invece, ci hanno mostrato uno scenario antitetico, dominato totalmente da Roger Federer, ancora baluardo del tennis maschile a quasi 36 anni. Per Murray, dopo tre mesi, si profila un bilancio decisamente negativo: finale a Doha contro Nole, vittoria a Dubai senza peraltro la minima concorrenza e due amarissime sconfitte ormai note in Australia e ad Indian Wells. Se aggiungiamo anche il forfait annunciato di recente all’ormai imminente Masters 1000 di Miami, la frittata è fatta, perché da adesso in poi il numero uno del mondo dovrà difendere moltissimi punti. Pur essendo sicuro di restare lì almeno fino al Roland Garros, dopo l’estate la sua leadership sarà decisamente in pericolo. Un eventuale “caduta” lo spedirebbe direttamente alla storia come uno dei numeri uno meno influenti di sempre.
Che dal punto di vista tecnico-tattico Murray non sia il migliore, non ci sono dubbi: è un fenomeno (in questo aspetto specifico probabilmente il più bravo) a coprire il campo sia in orizzontale che in verticale, supportato da doti fisiche e atletiche di primissimo livello; possiede un ottimo rovescio bimane capace di tirare passanti impensabili, apprezzabile poi anche in back o nell’esecuzione del drop; tuttavia il dritto e la seconda di servizio, in particolare, non sono all’altezza del vertice. La sua grandezza risiede proprio in questo, ossia nella capacità di essersi inserito in cima nonostante un bagaglio tecnico inferiore alla concorrenza (con tutte le circostanze del caso). Che sia chiaro, però: stiamo parlando, ovviamente, di un fuoriclasse, di un tennista di altissimo livello, che però non è esattamente il prototipo del numero uno schiacciasassi e dominatore. Pensiamo ai suoi predecessori: quando Federer giunse in cima alla classifica, impose il suo gioco in tutti i campi del mondo, diventando così il vero uomo da battere; così fece in seguito Rafa Nadal, vincendo Wimbledon per spodestare il monopolio svizzero; infine Djokovic, vera bestia nera di chiunque, capace di trionfare in tutti i tornei con una continuità disarmante.
In sostanza, il limite principale di Murray è l’aspetto mentale. Viene infatti da pensare che lo scozzese non sia ancora effettivamente pronto per ergersi a dominatore della scena maschile, rischiando così di essere messo da parte in breve tempo. La seconda metà del 2016 lo ha visto trionfare con continuità ed autorità, lanciandolo verso il tanto agognato obiettivo; senza eccessive pressioni, è riuscito ad ottenere nuove importanti vittorie ma, nel momento della conferma, probabilmente le attenzioni sul suo conto sono aumentate, inficiandone inevitabilmente il rendimento. Da numero 2, la missione è sicuramente stata più agevole. Adesso, con il peso della leadership sulle spalle, implicante una certa “infallibilità”, Murray si è sgretolato come un castello di carta dimostrando, per ora, di non essere all’altezza di quel posto. C’è tutta una stagione davanti, ma decisamente più in salita; ed occhio al ritorno degli eterni fenomeni per i quali nulla è impossibile, specialmente se ti chiami Roger Federer.
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