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L’insostenibile etichetta del talento

Quando il talento puro decide di impossessarsi di un atleta, finisce per conferirgli inevitabilmente l’etichetta di un personaggio destinato al successo ed alla gloria. Tale convinzione si diffonde rapidamente tra gli appassionati, che non mancano occasione per infastidirsi di fronte alle “disavventure” sportive del soggetto in questione. Possediamo un esempio lampante anche tra i colori azzurri, ma in queste ultime ore tutta la critica si è nuovamente spostata sul solito Nick Kyrgios, reduce dalla sconfitta in Coppa Davis contro David Goffin, ragazzo invece tutto d’un pezzo che sta riuscendo in modo ottimale a valorizzare i propri mezzi.

L’IMPROVVISA LETTERA APERTA – Esattamente come accade sul campo da tennis, il ventiduenne di Canberra ha diffuso, senza preavviso alcuno, una lettera aperta in cui sono manifeste tutte le sue aspirazioni e contraddizioni, condite da un certo fastidio verso la stampa, sempre pronta a fomentare il suo vivere quotidiano. Probabilmente la verità risiede nel mezzo: ammesso e non concesso che parte della critica tenda ad accanirsi contro ogni suo tipo di azione (spesso la stessa che lo osanna nei suoi momenti migliori), quasi come se lo attendesse al varco per parlarne, dall’altro lato non si può certo narrare di un Kyrgios come modello di deontologia sportiva; affermazioni discutibili e situazioni extra-campo poco piacevoli ne hanno intaccato reputazione ed aspettative.

Nick Kyrgios a Wimbledon.

IL 2017 COME FOTOGRAFIA DEL PERSONAGGIO – La stagione tennistica che va per concludersi, può ben costituire la rappresentazione di ciò che effettivamente sia Nick Kyrgios, ossia un tennista che fa della discontinuità il suo pane quotidiano. Quest’anno ha strapazzato infatti sia Djokovic che Nadal, ha condotto Federer all’impiego massimo del suo talento, impressionando ogni volta per la semplicità nell’esecuzione dei suoi poderosi fondamentali, per l’energia e l’esplosività imprevedibile dei suoi schemi; ha raggiunto poi la prima finale in un Masters 1000, tra l’altro poche settimane fa a Montreal. Nello stesso arco temporale, si registrano però alcune sconfitte clamorose, in specie quella al primo turno dello US Open contro Millman, in cui si è presentato esattamente come l’opposto della versione che gli aveva permesso di spingersi fino all’atto finale di un 1000 solo pochi giorni prima. Senza dimenticare, poi, la caduta al secondo turno dello Slam di casa contro Seppi, avversario sicuramente alla portata visto anche il periodo non eccezionale del nostro beniamino.

ESSERE NICK KYRGIOS – La realtà dei fatti ci racconta però che non è facile ormai essere Nick Kyrgios, un tennista caricato di aspettative all’ennesima potenza senza che dallo stesso promanassero le medesime sensazioni. Ed ora le difficoltà nel togliersi l’etichetta di potenziale eterno incompiuto, anche se molto giovane, risultano essere sempre crescenti; come da lui stesso dichiarato, la sua volontà non lo conduce verso il fine che altri vorrebbero. La priorità è quella di “vivere una vita normale, non quella di vincere uno Slam”. Si potrebbero scrivere fiumi di parole sulle reali ed enormi potenzialità di questo ragazzo, ma non esploderanno mai senza che via sia un concreto cambio di direzione. Egli stesso ha espresso questo concetto: “onestamente non so se ciò avverrà mai”, riferendosi ad una maggiore applicazione per raggiungere l’apice.

Perché allora continuare con questo accanimento mediatico nei suoi confronti? Talento non equivale a successo, pur essendo un dono prezioso che non andrebbe sprecato. Poiché però le due variabili non viaggiano a contatto, è sovente inutile (e forse anche dannoso) sottolineare la presuntuosa pretesa di successo obbligatorio. Il danno principale riguarda essenzialmente la sua immagine ed il suo reale valore. Godiamocelo nei suoi giorni buoni, tutto il resto non è un nostro problema.

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Luca Sassone

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