Che viva, almeno un altro po’, quel sentimento di patriottismo dannunziano che alberga in ognuno di noi. E che esulti. L’Italia del tennis vince sul suolo americano, newyorchese per esser precisi, e scusate s’è poco. In fin dei conti ce ne importa sì della crisi di governo, ma il giusto: anche perchè poi, nel tennis, quelli in crisi saranno altri. Gli azzurri di sangue son belli, passionali e alcuni di loro pure vincenti. In tre sono al terzo turno degli US Open: si chiamano Berrettini, Lorenzi e Fabbiano. Ci rendono fieri.
Matteo Berrettini ha ritrovato l’amore e pure il suo tennis. E vi conosco, amici miei: il tennis vi piace, eccome, ma quando si spiffera di cronaca rosa legata a palline gialle vi fate pervadere da quella curiosità lì, quella per cui stavate già per chiudere questo pezzo e andare a sfogliare Chi. Allora ve lo dico io: Berretta frequenta Ajla Tomljanovic, collega ed ex fidanzata di Nick Kyrgios. Il “nostro” potrebbe incontrare sul suo cammino l’australiano agli ottavi di finale, in uno scontro che, lavorando un po’ con l’immaginazione, assumerebbe le sembianze d’un duello medievale per il cuore della bella morettina. Dopotutto non son così lontani i tempi in cui Nicolas commentava ogni foto sul profilo Instagram della Tomljanovic, con frasi che le giuravano amore eterno. Se il fato ci regalerà questa sfida, ci divertiremo. Il tennis di Berrettini, dicevamo, è tornato solido come quello dei bei tempi (ovvero prima dello stop per infortunio): incisivo col dritto, resistente col rovescio, veloce come un fante sul cavallo negli spostamenti. Giocherà contro Popyrin, e se dovesse andar bene aspetterà il vincente tra Kyrgios e Rublev. Una mezza idea su chi tiferà ce l’ho.
Paolo Lorenzi, signore e signori. Sarebbe dovuto esser intitolato a lui, questo pezzo, ma “Italia che vince” mi pare suoni come il nome d’un partito politico. Quindi, almeno in questi giorni, in modo molto attraente. Paolino ha perso all’ultimo turno di qualificazioni, ma il destino è stato con lui amico e l’ha ributtato a piè pari nel tabellone principale. Al primo turno ha vinto al quinto con la wild card americana Svajda (che è tanta roba, per aver 16 anni, fidatevi d’uno scemo) rimontando due set. Nella seconda partita ha eliminato Kecmanovic, pure lui forte e in fiducia, dopo cinque ore di partita e ancora una volta al set del non ritorno. Con quel sorrisone il romano di nascita fa in fretta a diventare l’idolo di bambini e adulti; se i primi prendessero almeno un quarto della sua tenacia avremo in futuro uomini e tennisti diversi, sicuramente migliori. Paolo sfiderà Stan Wawrinka sul Louis Armstrong: il suo torneo l’ha già vinto, ma se la giocherà al cento per cento. Vincerà almeno un set, io credo.
E poi c’è Fabbiano, che durante l’anno sparisce ma negli Slam rispunta come una margherita profumata in un giorno di sole di primavera. Mica scemo, Thomas. Fino al torneo di Eastbourne non aveva mai battuto un top 30 in carriera. Poi a Wimbledon battè un ragazzo di nome Tsitsipas, cosicché tutti gridarono al miracolo; a New York ha battuto un giovane senza barba che si chiama Dominic Thiem, cioè il numero quattro del mondo (il primo degli umani veri, per capirci meglio). Un miracolo anche questo, ma inaspettato quanto basta per chi ha visto il match. Mimmo (mi perdonerà The Dominator per il soprannome da me amichevolmente attribuitogli) pareva far la parte di Fabbiano e viceversa: il pugliese è sempre riuscito a togliere il tempo in uscita dal servizio al rivale di martedì sera, quest’ultimo davvero troppo lontano dalla linea di fondo per far male all’italiano. Una vittoria in quattro set contro Thiem è roba da campioni veri. Fabbiano sembra nato per queste partite. E ci frega poco (stavolta lo scrivo) se poi ha perso al quinto contro Bublik dopo essere stato sopra per due set a zero. È un peccato, ovvio. Ma sono sicuro che quando, da grande, Fabbio ripenserà all’edizione 2019 degli US Open, sorriderà.