Lo sport nel pallone

Nel marasma dei problemi e delle emergenze da gestire, il tema della ripresa delle attività sportive acquisisce sempre maggiore rilevanza. Tra comunicazioni discordanti e circolazione di notizie spesso inattendibili, il dibattito sportivo si sta però focalizzando essenzialmente sul calcio, andando a rimarcare ancora una volta la presenza di sport di serie A e di serie B.

Le differenze di approccio e di gestione dell’emergenza risultano profondamente differente in seno alle stesse discipline. Se da un lato la pressoché totalità degli sportivi e delle relative manifestazioni si è fatta da parte in ragione dell’emergenza sanitaria che imperversa nel mondo, con enormi perdite e sacrifici anche se non immediatamente visibili, dall’altro il calcio sembra muoversi a tratti in una realtà parallela dominata esclusivamente dagli immensi interessi economici in gioco. È chiaro che il sistema calcio costituisca una risorsa importante anche per il PIL dello Stato ma di fronte ad una situazione di inaudita gravità come quella attuale, non accenna minimamente ad effettuare un passo indietro, anzi rilancia con i club di serie A che all’unanimità spingono per la ripresa dei campionati (nonostante qualche settimana fa ci fossero tutt’altre idee).

Le voci di chi predica una ripresa imminente delle varie competizioni calcistiche sono in costante crescita e comprendono soprattutto le principali istituzioni dello sport, con una parziale contrarietà del CONI che gradirebbe un approccio globale ed esteso alle altre specialità. Il dibattito però, anche per effetto dei media, si focalizza essenzialmente sul calcio e sulla devastante e travolgente potenza economica di uno sport che nemmeno in questa situazione disastrosa riesce a fermarsi completamento e riflettere. Ci sono pacchetti di diritti TV che potrebbero fuoriuscirne compromessi, sponsor in bilico, bilanci traballanti e un mercato da far ripartire. Il calcio ripartirà, senza se e senza ma, essenzialmente in nome del Dio denaro. Probabilmente è la cosa giusta da un punto di vista economico, ma non sotto altri profili.

Wimbledon, come tanti altri eventi, si è fermato per l’emergenza.

La questione che qui si vuole rimarcare è fondamentalmente di carattere “etico”. Questo voler ripartire a tutti i costi, con preminenza assoluta sulle restanti discipline, non è in sintonia con la paradossale situazione che si trova fuori dalle nostre case, che scorre silenziosamente per le strade delle nostre città, senza trascurare poi le possibilità di veicolazione del contagio che potenzialmente possono derivare dalla ripartenza della macchina calcio.

Il tennis (seppur con qualche eccezione), i motori, il nuoto e via dicendo tutte le altre discipline sportive, si sono immediatamente fermate e attendono, pur con il necessario sguardo al futuro, il momento propizio per provare a pensare di ripartire con le dovute precauzioni del caso. I danni economici sono ingenti anche in questi settori: nel tennis, ad esempio, tanti piccoli tornei rischiano di scomparire. Può essere quindi un cruciale momento di riflessione per tutto lo sport ma specialmente per il calcio, che tanto denaro sposta in Italia ed in Europa: una fase di riflessione per reinventarsi, cambiare ed essere più calzante ad una realtà che forse stava perdendo di vista.

Luca Sassone

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