Nadal in difficoltà fisicamente e mentalmente, il resto del 2021 è un’incognita

Carlos Moyá ha parlato di stanchezza sia mentale che fisica, come nel 2019. La stagione su terra ha esaurito le energie di un Nadal che spesso si è mostrato più vulnerabile sulla tenuta. Ora salterà sia Wimbledon che i Giochi Olimpici di Tokyo.

Continuano gli omaggi per Rafael Nadal, che dopo la sua statua inaugurata al Roland Garros ha visto venerdì ufficialmente proclamato il 3 giugno, data della sua nascita, come giornata nazionale del tennis spagnolo. Questioni in cui si ritrovano coinvolte solo le leggende viventi. Eppure, nel concreto, per Nadal è tutt’altro che un buon momento: nel suo torneo, l’appuntamento principe della stagione, si è fermato in semifinale davanti a Novak Djokovic. Giovedì, poi, la decisione ufficiale e dolorosissima di non prendere parte né a Wimbledon né ai prossimi Giochi Olimpici. Si rende quindi necessaria una riflessione, che partendo da una panoramica del 2021 del numero 3 del mondo ci dia lo spunto per una prospettiva sul resto della sua stagione. Una stagione iniziata in maniera non esaltante, che non è detto vada migliorando.

I più attenti ricorderanno quanto bene lo spagnolo fosse uscito, col serbatoio pieno di fiducia, dalla meravigliosa cavalcata d’ottobre al Roland Garros. A guardare i risultati, due semifinali tra Parigi Bercy e le Finals, si confermerebbero le solite difficoltà sui campi indoor. Sono in pochissimi a ricordare invece che, contro il futuro Maestro di Londra, Daniil Medvedev, Nadal andò a servire sul 6-3 5-4. Da lì, si è verificato un primo stranissimo episodio, ripetutosi diverse volte nel 2021. L’iberico, a Londra, ebbe un passaggio a vuoto, perse il servizio a zero e poi anche la partita, in un terzo set dominato dal punto di vista fisico da Medvedev, in grado di “uccidere” l’avversario anche sul piano tattico, di privarlo delle energie che l’avrebbero tenuto in partita anche solo grazie alla solidità mentale.

Quel genere di andamento dei match, con un Nadal apparso stanco nel corpo e nella mente, lo sappiamo, non è rimasto però limitato al solo finale di stagione ed al tennis che si gioca nei palazzetti al chiuso. Una cosa molto simile è accaduta anche nel primo torneo della stagione in corso, l’Australian Open. Nadal, fin quando si è trattato di tecnica e tattica – di brillantezza puramente tennistica – è stato superiore ad un rivale più giovane, che a Melbourne era Stefanos Tsitsipas. Il 6-3 6-2 iniziale ed il minibreak nel tie-break del terzo, sembravano aver messo con “la testa sott’acqua” anche il greco, proprio come Medvedev due mesi prima. Un’insolita mancanza di freddezza, il braccio sinistro che eccezionalmente trema e così, come nel Regno Unito, Nadal non ha chiuso la contesa. Ha sbagliato due smash e ha perso il tie-break. La partita si è allungata, è entrato in gioco il fattore fisico e Tsitsipas si è rivelato nettamente più continuo, affidabile ed in controllo. La versione di sé che lo spagnolo ha messo a punto con l’aiuto di Carlos Moyá negli ultimi anni prevede la ricerca del dominio del gioco, per faticare meno e costruire un punto da vincere soprattutto tra il quinto ed il decimo colpo. Tutto questo, però, non è possibile se si perde di brillantezza. E se i colpi si accorciano gli scambi si allungano e, come è accaduto sia in Inghilterra che in Australia, sono i più giovani a prendere in mano le redini del gioco. Se loro hanno più tenuta di te, non è detto che il tuo agonismo senza eguali basti per darti la chance di cambiare nuovamente l’inerzia della partita, di trovare un po’ di spinta dall’adrenalina che torna in circolo. Nel 7-6(4) 6-4 7-5 che ha concretizzato la rimonta nei quarti dell’Open d’Australia, Tsitsipas ha concesso le briciole al servizio, mentre Nadal non ha avuto la forza di variare, di reiventarsi per frenare l’avversario come aveva fatto nella finale dello Us Open di due anni fa.

Anche a febbraio, come a novembre, c’erano però delle attenuanti. Se in autunno si giocava infatti sui campi indoor, al primo Major dell’anno l’allora numero 2 Atp era arrivato con pochissimi allenamenti portati a termine per via di un problema alla schiena. Più che il rendimento alla prima partita durissima, ha sorpreso maggiormente il fatto che Nadal, ancor prima di cominciare la stagione, avesse già problemi. Il maiorchino è solito fronteggiare carichi elevatissimi di lavoro durante la off-season, quindi spesso ha subito infortuni proprio in Australia, con tanti ritiri nel corso del torneo. Mai però, negli ultimi anni, i dolori erano arrivati ancor prima di competere per davvero, il che lascia intendere come forse Nadal si sia trascinato il fastidio durante la preparazione. Questo poi è passato, ma evidentemente il campione del 2009 non era pronto ad uno sforzo alla lunga distanza. Altrimenti, il calo non sarebbe stato così repentino.

S’aspettava quindi la terra, perché Nadal ha tentato di rientrare sul cemento dopo alcuni allenamenti, ma per non mettere a rischio la frazione di stagione che più lo coinvolge ha poi rinunciato anche ad una wild card per il torneo di Dubai, cancellandosi anche da Acapulco e Miami. Il rientro è arrivato a Monte-Carlo, con aspettative certamente molto alte, ma poi deluse. La sconfitta nel match di quarti ha seguito uno schema diverso rispetto alle due summenzionate, facendo però suonare i primi campanelli d’allarme. La giornata si è certamente configurata da subito come una di quelle storte, di quelle che si fanno sempre più frequenti quando l’età avanza. Andrey Rublev ha fatto tutto alla perfezione per il 6-2 nel primo set e Nadal ha certamente dovuto produrre uno sforzo non indifferente per rimanere in partita. Il russo, al servizio sul 4-3 nel secondo set, è mancato, e Nadal ha rimandato tutto al terzo set con due break consecutivi. Alcuni, in maniera forse anche eccessiva, si sarebbero a quel punto aspettati un dominio dello spagnolo. Altri, consci oramai della forza di Rublev, avrebbero scommesso in un altro parziale lottato fino all’ultimo. Nessuno, probabilmente, avrebbe tuttavia pensato ad un crollo di Nadal, per cui l’intensità di Rublev era così inarrivabile da dare vita ad un nuovo 6-2. Per il re della terra, l’immagine più emblematica è quella che lo ritrae piegato in avanti dalla fatica, con le mani sulle ginocchia. Battuto sulla terra battuta, da un giovane al primo grande exploit della carriera, che lo demolisce con le sue stesse armi perfezionate in quindici anni. Tenuta e intensità, mentale e fisica, per resistere alla reazione del campione e per continuare a spingere senza paura, consapevole di avere tutto per vincere al set decisivo e dopo due ore e mezza.

Col passare dei giorni, comunque, Nadal è cresciuto di condizione ed il bilancio tra Barcellona, Madrid e Roma segna in effetti due trofei ed un quarto di finale. Di quest’ultimo, arrivato a Madrid, il peso specifico rimaneva relativo prima del Roland Garros, proprio perché venuto nella capitale spagnola. Una competizione in cui il beniamino ha sempre faticato, trionfando “solo” quattro volte in undici partecipazioni. È certamente vero che per vincere in Catalogna e in Italia Nadal ha dovuto annullare match point, ma almeno nel caso della finale a Barcellona la contesa è sempre stata equilibratissima, quindi non v’è nulla di delittuoso nel concedere una palla break a colui che è il più forte dei ragazzi più giovani sul rosso, Tsitsipas. La spia di un qualcosa che non funzionava a dovere, si è semmai accesa a Roma, perché Nadal era sotto scacco contro Denis Shapovalov, in grado di procurarsi una palla per il 6-3 4-1 contro l’idolo di gioventù. Ma una volta che il canadese ha abbassato il livello, il mancino spagnolo si è rifatto sotto, ha vinto al tie-break del terzo. E alla fine il sorriso era luminosissimo, perché nonostante le tre ore e mezza di gioco sentiva ancora delle energie che c’erano. Ed in vista di Parigi era importante soprattutto migliorare la resistenza ad un certo livello. Se consideriamo poi la vittoria in finale sul rivale di sempre, le premesse per il viaggio a Bois du Boulogne erano ottime, al di là di quello che sarebbe stato il risultato.

Ciò che importa al Nadal che ha superato i 30 anni, a quello risorto dopo il 2017, è la certezza dell’essere competitivi. La certezza di potersi giocare al meglio i punti decisivi, quelli su cui si decide l’esito delle partite. Se poi è l’avversario a giocare meglio in questi momenti e a vincere, Nadal ha dimostrato di saper convivere con le sconfitte. Perché non accettare la sconfitta, cosa in cui Rafa è il più bravo di tutti, non vuol dire non saper perdere. Ed in questo, i Big Three si sono dimostrati fenomenali allo stesso modo, forse Djokovic e Federer ancor di più di lui, resistendo alle tentazioni del ritiro anche quando erano ampiamente fuori dalla Top 10. Fino alla semifinale del Roland Garros, Nadal e Djokovic hanno eseguito i loro compiti più o meno bene, e al venerdì hanno dato vita ad una straordinaria battaglia di poco più di quattro ore. Djokovic come obiettivo si poneva quello di essere al massimo della forma proprio per lo Slam parigino, e vi è riuscito alla perfezione. Primo set a parte, per tre ore ha giocato in maniera quasi surreale in termini di profondità di palla e di capacità di muovere l’avversario da un lato all’altro del campo. Quello che ha sorpreso di più guardando invece a Nadal, e pensando alla famigerata competitività di cui sopra, è il fatto che già dal secondo parziale lo spagnolo sembrasse nettamente più in difficoltà del numero 1 del mondo. Per certi versi, tutti i difetti evidenziati nei tornei prima dell’Open di Francia sono tornati a galla durante la sfida più dura. Dopo il primo bellissimo set, il numero 3 del seeding ha dovuto costantemente inseguire, perfino nell’estenuante terzo set. Lì è riuscito grazie a qualche errore di Djokovic ad arrivare al tie-break. Ma i corpi dei due tennisti parlavano, almeno a guardarli dal teleschermo, una lingua completamente diversa. Nadal dava la sensazione di raschiare il fondo del barile, e facendolo ha rischiato quasi di ritrovarsi avanti due set a uno; Djokovic però è rimasto lucido, ha giocato impeccabilmente la palla set a suo sfavore e, dopo la pesante volée sbagliata da Nadal nel tie-break, ne è venuto fuori come vincitore.

Per tutte le sette partite, ad eccezione di alcune fasi del match contro Matteo Berrettini, il 34enne di Belgrado non ha mai perso il controllo a livello mentale. Questo, guardando la differenza di condizione fisica abissale al confronto con Nadal, ci porta a dire che – forse – lo spagnolo non sarebbe stato certo di vincere neanche portando a casa il tie-break. Una sua sconfitta, invece, aveva probabilità altissime nel quarto set una volta perso il terzo. E così è stato, ed anche in maniera brutale: la sua partita è finita sul pugnetto stretto dopo il 2-0, quando Djokovic ha premuto sull’acceleratore con disarmante facilità, chiudendo con un parziale di 6-0. Se sul cemento vi erano delle attenuanti, le sconfitte di Nadal nei feudi sulla terra battuta sembrano dei primi e chiari segnali di cedimento dal punto di vista fisico. Già forse nella semifinale al Roland Garros non era al meglio, e per ascoltare il proprio corpo ora è arrivato il forfait a Wimbledon e ai Giochi di Tokyo. Difficilmente un giocatore del suo calibro salta tornei del genere senza qualcosa che non funziona, anche se il tweet di Nadal non parla di problemi specifici. Nadal, quindi, sembra “solo” stanco: attenzione però, perché nello sport e nella vita corpo e mente sono vasi comunicanti, e se l’uno è stanco è possibile che arrivi a stancarsi anche la psiche. Non sappiamo quando il 20 volte campione Slam tornerà alle competizioni, forse all’Open del Canada, o direttamente allo Us Open. Ancor di più, date le già diverse pause di questa stagione, non sappiamo in che stato di forma sarà al primo match. Se il problema continuerà ad essere la tenuta, quest’anno quasi mai sorretta dalla capacità di un gioco che gli permettesse di ottenere punti risparmiando energie, le prospettive per il suo 2021 (e per tutto il resto della sua carriera), potrebbero cambiare drasticamente.

Sulla scelta di prendersi un periodo di stop ha certamente influito la distanza ridotta tra il Roland Garros e Wimbledon, che inizierà lunedì prossimo. Moyá, nel frattempo, ha confermato in un programma televisivo le difficoltà del suo assistito. Dopo le fatiche sul rosso si è ritrovato esausto, ha detto: “Rafa due anni fa ha raggiunto un punto di grande esaurimento mentale e ora ha capito che ci era di nuovo vicino. Per il suo prestigio e per come è fatto come persona non può partecipare ad uno Slam se non è al 100%”. Una pausa per ricaricare le batterie dunque, che a quest’età può solo fare bene. Ma gli interrogativi rimangono, e soltanto al ritorno in campo di Nadal avremo le risposte. La concorrenza però è sempre più agguerrita e i più giovani hanno notevolmente ridotto il gap, quindi fare dei pronostici positivi ed esaltanti è quanto mai azzardato. Di certo, Wimbledon e i Giochi Olimpici perdono uno dei protagonisti più attesi ed un ragazzo che offre sempre uno spettacolo unico oramai da tre lustri.

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