Chiudi l’armadietto, saluti tutti ed esci dallo spogliatoio. Alzi lo sguardo e ti accorgi che è un tunnel, alla fine. Un tunnel dalle pareti bianco ospedale. Se sei più bravo riemergi prima entrando nella porticciola che conduce al Centrale; se non lo sei particolarmente devi percorrerlo tutto, finché non arrivi sull’uscio del Pietrangeli. Mentre cammini quel centinaio di metri sei circondato da tuoi colleghi, a destra, e da tue colleghe, a sinistra, che ti osservano orgogliose con in mano quel trofeo che vorresti diventasse il tuo, per la prima o per un’altra volta. Ti accorgi inevitabilmente che di spazio da riempire ce ne è ancora: ci staranno almeno venti foto da una parte e venti dall’altra, così ti chiedi se una di quelle quaranta avrà la tua faccia, le tue mani e i tuoi capelli sudati. Pensi a te stesso, prima, e al signore o alla signora che troverai tra un paio di minuti dall’altra parte della rete, poi. Ancora non sai se quello che c’è dentro la tua fronte ancora asciutta comanderà a dovere le mani, che ora reggono la borsa sostenuta solo dalla spalla destra, i piedi, che compiono passi sempre più corti ed attenti, e le braccia, coperte alle estremità da una maglietta di cotone e da un polsino di spugna. Hai delle sensazioni. Troppo deboli per diventare dei pensieri e troppo forti per essere trascurate. Potresti e dovresti, forse, analizzarle più a fondo, ma ora non c’è tempo. Senti lo speaker che annuncia il nome del tuo rivale. Tocca a te. Metti prima il piede destro e poi il sinistro su quel gradino che conduce a ciò che per le prossime due ore sarà inferno o paradiso. Osservi la terra. La annusi. Il tuo momento è arrivato.
Stavolta metti prima il sinistro. Non ci fai caso, sul momento, ma se ci ripensassi sapresti che il destro l’hai trascinato dopo. Imbocchi di nuovo il tunnel e ti ritrovi attorniato da ragazzi e ragazze che sorridono, ora più di prima, quasi come se ti schernissero. Saresti da solo, se avessi vinto, ma la tua famiglia si sente in dovere di consolarti e quindi è li a dirti che “pazienza, non fa nulla”. Non li hai mai odiati così tanto come in quel momento. Sei arrivato alle ultime due foto, le uniche a colori del tunnel: Svitolina a destra e Nadal a sinistra. Poi il bianco, il vuoto. Il prossimo volto felice che appenderanno non sarà il tuo. Te ne rendi conto lucidamente, mentre pensi che i cento passi ora paiono diventati almeno duecento. Arrivi in spogliatoio, finalmente. Lasci per terra la borsa, senza curarti troppo di dove cada, e metti la testa sotto la doccia. Non sai se starci sotto tantissimo o pochissimo, se affrontare dopo o prima quello che ti aspetta fuori. Alla fine è solo una partita di tennis, pensi. Da domani la tua vita sarà esattamente uguale a quella di ieri.
È il destino di tutti. Tutti meno due. Karolina Pliskova e Rafael Nadal hanno vinto gli Internazionali d’Italia. Chissà se mentre si sono messi in posa per le foto con la coppa hanno sorriso di più o di meno dei loro colleghi. Chissà se ci hanno pensato.