Ore 20 di martedì 22 maggio. È calato il sipario da poco più di quarantotto ore sugli Internazionali d’Italia, vinti da Rafael Nadal. È stata una settimana intensa, in cui ho guardato tennis e soprattutto letto di tennis. Sì, probabilmente sarebbe dovuto essere il contrario, almeno per gli scorsi sette giorni. Ma no, non ho potuto esimermi dal leggere tutto ciò che riguardava una persona in particolare, metamorfizzata spesso (e più del dovuto) da tennista in argomento di discussione. E allora ho letto.
Fabio Fognini è arrivato fino ai quarti del torneo di Roma, perdendo contro Nadal due set a uno e giocando bene. Nella sua cavalcata verso il venerdì ha battuto, tra gli altri, Dominic Thiem, uno dei giocatori più in forma del momento sulla terra battuta. Ha poi superato la “prova del nove” contro Gojowczyk, scivolando solo, appunto, sulle pendici del Mulhacén spagnolo. Basterebbe questo, no? No, secondo molti no.
Non scrivo questo per ingraziarmi il clan Fognini, con il quale condivido sinceramente ben poco se non uno sfrenato interismo e spesso il campo da tennis, nel senso che siamo a volte in tribuna nello stesso momento, e nemmeno per accaparrarmi interviste esclusive o confidenze, come potrebbe pensare qualcuno. La nostra testata non ha bisogno di questi mezzucci per ricavare qualche visualizzazione in più. Scrivo piuttosto perchè non capisco il motivo per il quale, secondo penne anche illustri, debba essere necessario citare insieme al bel gioco di Fabio anche i comportamenti negativi, che a Roma e ultimamente non ci sono stati, e che fortunatamente mancano da un bel po’. Eppure c’è ancora chi non può far a meno di scriverne, ricordarli, riportarli al presente, quasi come se non si potesse parlare del suo bel gioco senza fare a meno di scrivere che è un “maleducato”.
Non m’inoltro nel giudicare la maleducazione o l’educazione di Fabio, non sono io a doverlo fare come credo non possa farlo nessun altro che non lo conosca di persona. Valuto piuttosto come inconcepibile che debbano saltare fuori, ogni santa volta in cui si parla di Fognini, i suoi comportamenti passati (ovviamente discutibili e per i quali ha più volte chiesto scusa, come in quest’intervista https://www.gazzetta.it/Tennis/05-09-2017/tennis-fognini-si-scusa-tv-ho-pianto-io-non-sono-cosi-220361494871.shtml).
Ho letto anche che il numero uno italiano non avrebbe dovuto tenere quegli atteggiamenti, visto che funge da esempio per migliaia di bambini che coltivano il sogno di divenire tennisti. Niente di più vero. E allora perchè farli riaffiorare anche quando non avvengono? Non sarebbe meglio scrivere solo del bel tennis di Fabio, piuttosto che di fatti che il passato stava ormai portando con sé? È poi sotto gli occhi di tutti che Fognini in campo non sia un angelo con una racchetta tra le mani, ma quanti non lo sono o non lo sono stati, eppure sono comunque un esempio per il proprio Paese? Mi vengono in mente, ad esempio, le 1055 racchette rotte da Marat Safin, che ora è uno dei principali politici in Russia, dove evidentemente la pensano in modo diverso da alcuni italiani. Ricordare ogni volta i comportamenti negativi di Fabio anche quando gioca bene è come, con le dovute proporzioni, se si fosse parlato del calcio che Totti rifilò a Balotelli ogni volta che l’ex Capitano della Roma andava in gol: “Un grandissimo cucchiaio di Totti!”, “Eh si, ma quella volta che colpì Balotelli con un calcio però…”. Eppure, forse, i giornalisti che scrivono di calcio in Italia sono ben più furbi (o, concedentemelo, meno in malafede), di alcuni che parlano di tennis nel Belpaese.
Non so se quando smetterà di giocare a tennis Fognini verrà ricordato di più per il suo talento o per i suoi comportamenti, a questo punto. E credo sia triste, molto triste. Lo è anche per una questione di orgoglio nazionale: abbassare il nostro attuale numero uno ad uno status di perenne maleducato non farà dell’Italia una nazione migliore, fidatevi di me. E allora perdonali, Fabio: non so perchè lo fanno.