Il tennis mi manca molto. A volte vorrei che i tornei fossero su un altro dei mondi possibili in cui non c’è nessun tipo di virus. Ci pensate? La quarantena sarebbe un divertimento tale da volersi quasi fare una cinquantena o una sessantena. Partite di tennis ad ogni ora del giorno con la possibilità di seguirle tutte, anzi, col dovere morale di seguirle tutte. Senza sentirsi in colpa quando sullo schermo esce la scritta che “il televisore si spegnerà tra 60 secondi” perchè siamo rimasti per più di cinque ore sullo stesso canale a guardare i match.
Invece ora prima di andare a dormire anziché finire di vedere “La verità sul caso Harry Quebert” su SkyGo (guai a chi spoilera), apro TennisTv e vedo qualche partita del passato. Ora sono alla stagione 2004. Ovviamente la tentazione è quasi sempre troppo grande e intorno al quarto game, nel caso non mi ricordassi come è terminata, vado su tennis explorer a rovinarmi il finale. Altre volte invece sono talmente preso da aprire l’app di Snai sul cellulare e cercare le quote: è capitato nella finale di Madrid, Nalbandian-Safin, qualche sera fa. Eppure dopo il primo set perso qualche euro sul Rey David lo avrei pure messo.
A pensarci bene, però, la cosa che più mi manca del tennis non è una cosa materiale, che si può vedere. Non è il vedere un bel dritto che finisce all’incrocio delle righe o un rovescio in back prima di una volèe. Non è nemmeno un servizio a duecento chilometri all’ora o un tweener alla Kyrgios. E non si tratta neanche di uno smash con veronica in salto o di un colpo che passa al di là del paletto esterno della rete. La cosa di cui soffro maggiormente la mancanza è il sapere che l’indomani ci sarà una partita di tennis. Rivoglio soprattutto il pensiero che due giocatori in un certo momento della giornata mi accompagneranno per alcune ore della mia vita, e che in qualsiasi altro attimo in una parte lontana del globo si sta giocando un incontro. Da quando ho memoria, sono abituato a controllare la sera su internet le partite del giorno dopo. Dò di solito uno sguardo appena mi sveglio ai risultati dei Challenger d’oltreoceano, anche prima di leggere i messaggi della mia fidanzata (se ne avessi una farei sicuramente così). Poi apro l’app Atp/Wta altre innumerevoli volte, finché non arriva il momento in cui posso sdraiarmi sul divano a farmi emozionare dal suono della pallina sulle corde. Il tennis è sempre stato parte della mia quotidianità.
Forse la cosa che più mi manca dell’amato gioco è proprio l’attesa del gioco in sè. Un’attesa piena di speranze, gioiosa di un qualcosa che sono sicuro che avverrà e mi divertirà. E che mi dà felicità. A differenza del leopardiano sabato del villaggio, però, la domenica, ops, la partita, non è mai una delusione. In effetti non ricordo di una partita di tennis di cui alla fine abbia detto che è stata insoddisfacente. Mentre è normale che nel calcio uno zero a zero almeno un po’ amareggi, nel tennis si deve in ogni caso arrivare a sei per almeno due volte, e quindi è sicuro che quando spegni la tv, o ancor meglio esci dal campo, hai un pò di bellezza in più negli occhi. Qualcosa, voglio dire, accade sempre. E quando quel che accade rientra nel campo del tennis il mio cuore sorride.