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Serena Williams “discriminata”

Serena Williams, com’è noto, è tornata a giocare a tennis da marzo, dopo uno stop lungo circa un anno dovuto ad una maternità più complicata del previsto. Da tre giorni a questa parte è noto anche che dal primo gennaio 2018 ad oggi la tennista americana sia stata sottoposta a cinque controlli antidoping (poco meno di uno al mese). È bene ricostruire i fatti con precisione ed ordine, affinché non sorgano più incomprensioni di quante già ce ne siano in questa vicenda. Serena, tre giorni fa, ha espresso il suo dissenso verso la Usada (United States Anti-Doping Agency, per intenderci la Nado americana) usando il vocabolo discrimination , attraverso un tweet che vi riporto sotto.

Attenti, però: la Williams non intendeva una discriminazione dovuta al colore della pelle, come molti staranno pensando. Infatti, da inizio anno, Sloane Stephens e sua sorella Venus (entrambe americane e di colore) hanno svolto i test antidoping rispettivamente una e due volte. In effetti, se la si guarda da un punto di vista esterno, questa situazione è quantomeno, concedetemelo, strana. Ma, appunto, solo se la si guarda dall’esterno. Come scritto sopra, Serena è stata lontana dall’attività agonistica per un periodo medio-lungo, e gli atleti che stanno “inattivi” per un periodo che supera i tre mesi sono più “vulnerabili” a questi test a sorpresa. Detta in parole povere, se fai sport ad alti livelli e ti fermi per un po’, quando torni a gareggiare sei sotto una lente d’ingrandimento più grande di quella degli altri.

E allora, vi chiederete a questo punto, perchè Serena ha scritto quel tweet contro l’Usada? Se non lo sa lei che è la diretta interessata, chi dovrebbe saperlo che i controlli che vengono operati a quelle come lei (che rientrano dopo un periodo di stop) sono molto più frequenti e numerosi? Lei, infatti, lo sa perfettamente, ed ha taciuto per i primi cinque rilevamenti che le sono stati effettuati in questo 2018. La controversia che l’ha portata a scrivere le parole che avete letto, però, è nata al sesto controllo: sembrerebbe infatti che la Williams non sia stata trovata in casa nel momento in cui l’ispettore è sopraggiunto alla sua abitazione, nonostante avesse ricevuto un avviso qualche ora prima. L’ex numero uno del mondo si è però difesa dicendo che in realtà, l’incaricato Usada si sarebbe presentato in anticipo di un tempo quantificabile con dodici ore (a sua detta), e che quindi in quel momento era lecito che lei non fosse ancora in casa. Anche se in questo momento serve a poco saperlo o meno, è bene ricordare che un atleta è tenuto ad essere reperibile per un’ora al giorno proprio per eventuali controlli a sorpresa. La vicissitudine si è verificata circa un mese fa, poco prima dell’inizio del torneo di Wimbledon: quel test alla fine non è stato effettuato, e il regolamento prevede che se un atleta non è reperibile per tre volte in un anno per sottoporsi ai controlli, l’atleta stesso subisce una squalifica di 365 giorni. Serena, già allora, si era lamentata con la WTA definendo i controlli una “persecuzione”.

Gli interrogativi, a questo punto, restano due: quanto tempo prima gli atleti sono a conoscenza del fatto che saranno sottoposti a un test antidoping, se Serena ha dichiarato che l’incaricato si era presentato ben dodici ore prima dell’orario prestabilito? E perchè la Williams, trentuno giorni fa, ha tweettato quelle parole se il fatto che l’ha mandata in escandescenza si è verificato più di trentuno giorni fa? Statene certi: non è finita qui. 

Jacopo Crivellari

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