I coach nel mirino: Ivan Ljubicic

Sono tanti gli elementi da tenere in considerazione per analizzare la rinascita di Federer, il più importante forse è il lavoro del suo coach delle ultime due stagioni: Ivan Ljubicic.
Roger Federer domina sull’erba di Wimbledon, bissando il successo ottenuto agli Australian Open dopo aver trionfato a India Wells, Miami e Halle. No, Michael J. Fox non ci ha teletrasportato con la sua DeLorean nel 2006, è una cosa accaduta pochi giorni fa. “The King” ha fermato il tempo, tornando alla soglia dei trentasei anni quel giocatore cannibale e dominante di dieci stagioni or sono. Sono tanti gli elementi da tenere in considerazione per analizzare la rinascita dell’elvetico, la più importante (oltre all’immensità del fuoriclasse di Basilea) forse va ricercata nel lavoro del suo coach delle ultime due stagioni: Ivan Ljubicic.
BIOGRAFIA – Un gigante buono di centonovantatre centimetri, un ragazzo intelligente e ironico, un tennista che è riuscito a imporsi dopo un’adolescenza difficile in mezzo agli orrori della guerra in Jugoslavia. Tutto questo è Ivan Ljubicic, uno dei primi dieci battitori di tutti i tempi con oltre 8000 aces all’attivo, vincitore di dieci titoli ATP. Grande amico di Roger, ha svolto un lavoro straordinario, una sorta di rivoluzione silenziosa che ha permesso allo svizzero di vivere una seconda giovinezza, riportandolo a un livello celestiale, quasi impensabile l’anno scorso. Ivan Ljubicic nasce a Banja Luka, città dell’ex Yugoslavia che attualmente si trova all’interno dei confini bosniaci il 19 Marzo del 1979. Suo padre, Marco, è un elettricista, sua mamma si chiama Hazira ed è casalinga. Ha un fratello maggiore di nome Vlado e l’8 Novembre del 2004 si sposa con Aida da cui avrà due bambini, Leonardo e Zara. Parla fluentemente tre lingue: croato, inglese, italiano. E’ un grandissimo appassionato d’immersioni subacquee e ogni anno va in vacanza con la moglie per potersi dedicare a quest’attività, specialmente nelle Maldive che con i suoi stupendi fondali è il suo posto preferito. Inizia a giocare a tennis a nove primavere, quattro anni dopo, a causa della guerra civile, si rifugia in Croazia, poi, per assecondare la sua grande passione per il tennis, si trasferisce in Italia, per la precisione a Moncalieri vicino a Torino. Il circolo “Le Pleiadi” diretto dall’attuale consigliere FIT Carlo Bucciero, accoglie il giovanissimo Ivan che nei tre anni che rimane nel comune torinese effettua grandi progressi, dimostrando di avere tutte le potenzialità per diventare un giocatore di livello assoluto. Nel 1995 decide di chiedere la nazionalità croata, spostandosi a Zagabria assieme a tutta la sua famiglia.
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CARRIERA – Ivan diventa professionista nel 1998 all’età di diciannove anni, allenato da un certo Riccardo Piatti, che lo aveva notato fin da juniores e con cui inizierà un proficuo e lungo connubio lavorativo che durerà per tutta la carriera tennistica del gigante croato. Dal punto di vista tecnico “Ljubo” era un tennista polivalente che sfruttava il suo ottimo servizio per ottenere dei punti diretti o aprirsi il campo e spingere col successivo colpo di rimbalzo. Era un attaccante da fondo, con due ottimi fondamentali che gli permettevano di chiudere il punto dopo pochi scambi. Il suo colpo migliore era il rovescio lungo-linea, giocato piatto a una mano, eseguito con grande pulizia tecnica ed efficacia. La carenza principale del croato stava negli spostamenti, specialmente quelli laterali, da qui la necessità di andare subito al sodo limitando al minimo le rincorse. A rete se la cavava bene, specialmente le voleè stoppate erano molto precise ed eleganti, nonostante ciò limitava le sortite, andando solamente a finalizzare quello che costruiva con le accelerazioni da fondo campo. Già l’anno successivo dal suo ingresso fra i professionisti Ljubicic entra fra i primi cento giocatori del mondo e non ne uscirà più, visto che nel suo ultimo match, giocato contro il connazionale Ivan Dodig a Montecarlo il 15 Aprile del 2012, era ancora numero cinquantatré del ranking. Il 2005 è l’anno della consacrazione per Ljubo, che vince una memorabile finale di Coppa Davis, portando la Croazia insieme ad uno strepitoso Mario Ancic alla prima “insalatiera”. Vince anche due titoli, arriva in finale nei Master 1000 di Madrid e Parigi Bercy e chiude la stagione da numero nove. Nel 2006 grazie a tre titoli vinti (Chennai, Zagabria, Vienna) e tanti buoni piazzamenti (quarti in Australia, semi al Roland Garros, finale a Miami) il tennista di Banja Luka diventa numero tre del mondo, suo best ranking. Il biennio 2005-2006 sarà quello in cui il croato raggiungerà i picchi più alti, anche se il successo di maggior prestigio lo ottiene nel 2010, a trentun anni suonati il croato, ormai fuori dai primi trenta giocatori del mondo, quando sembrava aver perso il treno giusto per vincere almeno un Master 1000 in carriera. A Marzo nel deserto californiano di Indian Wells, invece, azzecca la “settimana da Dio” portandosi a casa il meritatamente trofeo. Sconfigge Rafa Nadal in semifinale, imponendosi grazie ad uno spettacoloso tie-break del terzo set, dove il croato perde il primo punto e poi gioca sette vincenti. L’apoteosi nella finalissima con l’idolo di casa Andy Roddick regolato in due tie-break.
I SUCCESSI – Il tennista di Banja Luka è stato un tennista “sottovalutato”. Non ha mai vinto un Major e non è stato mai vicino a vincerlo, per trionfare in un “Master 1000” ha dovuto aspettare quasi la fine della sua carriera, ma tutto ciò è imputabile al fatto che Ivan ha avuto il suo momento migliore proprio nel periodo di “duopolio” Federer-Nadal (con l’avvento di Djokovic e Murray a rendere tutto ancora più complicato). L’amara sentenza “mi considero davvero uno dei cinque migliori giocatori del mondo, questo però non significa che io sia vicino a Roger o Rafa”, dice tutto o quasi sulla carriera di Ivan, che in alcuni frangenti è stato il primo fra i “normali”, dietro i due extra-terrestri Federer e Nadal. Appesa la racchetta al chiodo Ivan diventa commentatore di Sky Italia. Possiamo sentire suoi commenti ironici e sempre competenti per un anno circa, poi dal 2013 diventa coach, insieme al suo ex allenatore Riccardo Piatti, di Milos Raonic. Molti considerano il tennista canadese terribilmente noioso perché basa il suo gioco quasi esclusivamente sul servizio, il connubio con “Ljubo” porta sicuramente una evoluzione positiva. Da quando è seguito dalla coppia italo – croata, infatti, il ragazzone nordamericano è migliorato molto, viene spesso a rete, si muove meglio e usa più variazioni. Niente a che vedere con il giocatore confuso, che quando era allenato da Galo Blanco remava due metri dietro la linea di fondo campo senza sfruttare i suoi punti di forza. “Ora è cinque passi più avanti di prima: giocava molto indietro e colpiva con molta rotazione, è una tattica facile, non poteva andare avanti solo così. Inoltre non si muoveva bene, faceva l’opposto di quello che reputava giusto. Anche se per me, quando sei alto due metri (1,96 m per l’esattezza), è molto difficile giocare bene. Il suo ex allenatore Galo Blanco non era d’accordo con me, però l’ha portato a essere numero quindici del mondo da numero 300, giù il cappello“. Prima vittoria di un 500 a Washington, due finali 1000 a Montreal e Parigi Bercy, semifinale a Wimbledon e best ranking con la sesta posizione mondiale fino a quel momento (a Novembre 2016 diventerà tre del mondo): questi gli ottimi risultati ottenuti da Raonic nella prima stagione con il nuovo team. Con gli anni che passano inesorabili per i “fab four”, Ljubo sperava che il suo protetto potesse vincere lo Slam che lui ha mancato, aspirando magari in un futuro non troppo lontano al vertice delle classifiche mondiali. Ma non è andata così. Al canadese è mancato lo step successivo, tanto che il 2015 è stata un’annata costellata da molti alti e bassi , in cui Raonic ha ottenuto discreti piazzamenti nei tornei che contano, ma ha sempre mancato lo spunto vincente. Il nord americano arriva ai quarti in Australia, in semifinale a India Wells e vince solo un ATP 250 a San Pietroburgo . Passa da numero sei a numero quattordici del mondo fallendo la qualificazione alle “Finals” di Londra. A fine anno, un po’ a sorpresa,si è scelto per la strada della separazione, assolutamente consensuale, tra Milos e Ivan. “È stata presa la decisione di non continuare più il nostro rapporto professionale il prossimo anno, rimarremo amici anzi, voglio augurargli il meglio per le sue attività future”, ha scritto Raonic su Instgram. Evidente che, dal comunicato sia ben chiara la volontà di Ljubicic di provare altre esperienze a dispetto di un Raonic che avrebbe voluto ancora con se l’ex giocatore croato.
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DA ALLENATORE – E le nuova esperienza arriva presto, quella con la e maiuscola, visto che Ivan è chiamato dall’amico Roger Federer per fargli da coach. La prima stagione, però, è avara di soddisfazioni. Il 2016 per L’ex numero uno del mondo è un’annata maledetta costellata da guai fisici e sfortuna. Finale a Brisbane e semifinale agli Australia Open, che sembrano di buon auspicio. Poi però si fa male seriamente al ginocchio a Febbraio, una influenza fa slittare il suo rientro da Miami a Montecarlo, dove arriva fino ai quarti di finale. Gioca Roma, dove è chiaramente in precarie condizioni fisiche, e dopo la sconfitta con Thiem decide di rinunciare a Parigi per dedicarsi ai tornei su erba e ai giochi olimpici . Perde in semifinale sia a Stoccarda, che a Halle, a Wimbledon di salva in qualche modo ai quarti con Cilic ma devi arrendersi a Raonic, ex pupillo di Ivan, in cinque set con il male al ginocchio che torna a riacutizzarsi. Sarà l’ultima partita stagionale di Roger,che d’accordo con medici decide di riposare l’arto infortunato e il suo corpo fino alla fine della stagione per non mettere a rischio il proseguimento della sua carriera. Sarà una scelta dolorosa ma vincente. Roger e il suo coach hanno capito che un tour de force troppo sostenuto nel circuito avrebbe alla lunga logorato il fisico, di qui la scelta di centellinare gli impegni, mettendo lo zoom solo su determinati tornei, alternando all’attività agonistica lunghi periodi di pausa. Federer torna a Gennaio tirato a lucido, finalmente Ljubicic può allenarlo senza alcun problema, e la mano del coach croato, si vede eccome. Uno dei pregi principali che negli anni è stato riconosciuto a Ljubicic quando giocava è stata la bravura nel leggere la partita in anticipo rispetto al suo avversario e pertanto di avere la capacità strategica che gli permetteva di competere, e talvolta vincere contro tennisti sulla carta più forti. Ha traslato questa sua capacità nel coaching. Non potendo intervenire su una macchina quasi perfetta da un punto di vista tecnico, per migliorare bisognava semplicemente limare alcuni dettagli, ossia esaltare le caratteristiche principali di Federer per renderle ancora più efficaci, permettendogli di trovare soluzioni sempre diverse durante lo scambio. Ogni match è studiato con estrema attenzione, mascherando al meglio alcuni limiti di Roger, tra i quali al tenuta atletica o qualche situazione di gioco che lo metteva perennemente in difficoltà. Insomma lo svizzero non potrà mai reggere il martellamento da fondo dei vari Djokovic, Murray e Nadal affrontandoli sul loro terreno, per batterli bisognava trovare un’altra via. Il compito di Ljubicic è stato pertanto quello di proseguire il lavoro di Edberg, che già aveva capito questa cosa, spostando il baricentro di Roger verso la rete, rendendolo aggressivo e spregiudicato come nei primi anni di carriera. Ljubo ha continuato su questa strada, mettendoci del suo dal punto di vista strategico. Ridotti i serve and volley e atteggiamento meno garibaldino, focalizzandosi di più sulle percentuali al servizio e sulla risposta grazie al quale può essere aggressivo fin dai primi scambi e ricercare immediatamente il punto accorciando al massimo tempi. Un altro cambio epocale che Ivan ha introdotto nel Federer 2.0 è quello sul rovescio dell’elvetico. L’arma in più in un 2017 finora stellare per Roger Federer è stata sicuramente questo colpo col quale non è mai stato così aggressivo ed efficace in carriera. Specialmente in risposta il nativo di Basilea si è convinto a non rispondere quasi esclusivamente in “slice”, ma anticipare i tempi provando il rovescio coperto. I risultati sono stati sorprendenti . E’ proprio grazie al rovescio che batte Nadal in finale agli Australia Open e a Miami esorcizzando la “chela” mancina dello spagnolo, e dominando su quella diagonale che tanto lo aveva fatto penare nel corso degli anni a suon di vincenti. Con il cemento americano alle porte, molti tifosi e addetti ai lavori pensano che Federer possa puntare alla prima posizione mondiale. Per un giocatore di trentacinque anni che ha saltato tutta la stagione sulla terra battuta, sembrava un risultato proibitivo, quasi irreale. E invece punti alla mano la coppia perfetta svizzero-croata sta rendendo quest’ obiettivo possibile. Difficile, ma realizzabile. Fare previsioni è impossibile, quando si parla di Roger Federer siamo continuamente smentiti. E ora che al suo angolo siede un allenatore capace e una persona intelligente come Ljubicic la favola di Roger da Basilea sembra non avere mai fine.
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  1. grandi meriti a Ljubicic ma Roger non è rinato, esprime un tennis brillante da oltre 3 anni a questa parte con continuità, infortunio a parte. Ci sono state un paio di modifiche rilevanti, su questo non c’è dubbio…

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