I più grandi match della storia: Australian Open 2009, il trionfo di Rafa e le lacrime di Roger

Continuiamo il nostro viaggio attraverso gli incontri che hanno lasciato i segni più indelebili nella storia del nostro sport, e che sono rimasti impressi nella mente e nella memoria di ogni appassionato, rievocando un’altra memorabile sfida disputata sul cemento degli Australian Open. Nel 2009, infatti, l’atto conclusivo dello Slam vide l’ennesimo scontro tra i due principali protagonisti degli ultimi vent’anni, Roger Federer e Rafa Nadal, che diedero vita ad una lotta intensa e appassionante: dal trionfo finale di Rafa, fino alle lacrime di Roger, riviviamo i momenti salienti di un epico match.

FEDERER-NADAL, UNA STORICA RIVALITA’-Quando si tenta di individuare le rivalità, le sfide e gli incontri che più di tutti gli altri hanno segnato la memoria collettiva degli appassionati e degli addetti ai lavori, e che rimarranno inevitabilmente  impressi nei libri di storia del nostro sport, è  assolutamente impossibile, riferendosi agli ultimi quindici anni, escludere lo scontro tra i due principali protagonisti, che hanno infiammato ogni campo che hanno solcato e hanno abbattuto e superato sostanzialmente ogni record immaginabile: ci stiamo riferendo, ovviamente, a Roger Federer e Rafael Nadal, che hanno monopolizzato e occupato a lungo, fino all’avvento dei rivali Djokovic e Murray, tutti i più importanti e simbolici palcoscenici del tennis mondiale, dagli Slam ai Master 1000. Un binomio divenuto ormai epico, che ha conquistato migliaia di tifosi e diviso gli spettatori in due veri e propri schieramenti, spesso in contrasto, proprio a causa della straordinaria rivalità tra i rispettivi idoli, ma uniti dalla passione per due immensi campioni. Tanto è stato scritto su un confronto certamente emblematico di quanto possano coesistere stili e interpretazioni del tennis completamente opposte, ma anche notevolmente controverso per il netto vantaggio che lo spagnolo ha mantenuto fin dal principio sull’elvetico negli scontri diretti, spiegato dai rispettivi, fedeli tifosi come netta superiorità del primo, o come sfortuna dell’ultimo, sconfitto nella maggior parte delle occasioni sulla terra rossa, la superficie certamente più complessa per il suo gioco.

E tanti, in particolare, sono stati i match degni di essere ricordati, per lo spettacolo offerto in campo e per come hanno inciso nella rivalità tra i due fenomeni e negli equilibri del circuito tennistico, nonostante le numerose occasioni, in particolare negli anni più complessi per lo svizzero, in cui Rafa si è imposto nettamente. Ma tra quelli che più di altri hanno appassionato i tifosi e hanno segnato la storia, non si può che citare l’incontro più impressionante, insieme all’indimenticabile finale di Wimbledon 2008, per intensità e qualità, ovvero l’atto conclusivo degli Australian Open del 2009, una delle ultime stagioni caratterizzate dal duopolio dei due fenomeni, prima che si inserissero nella contesa anche Novak Djokovic e, infine, Andy Murray. La partita disputata sul rovente cemento di Melbourne, infatti, costituisce probabilmente il più vivido esempio del livello che Federer e Nadal erano e sono in grado di offrire, in un confronto, come celebri giornalisti e intenditori lo hanno definito, tra potenza e eleganza, tra la brutale forza mentale e l’ inossidabile resistenza fisica del maiorchino e la rapidità, l’eleganza e l’aggressività dell’elvetico. Tra due stili, in definitiva, sostanzialmente opposti, ma capaci, quando si trovano opposti sul campo, di esprimere l’essenza di questo sport.

Nadal AO 2009

AUSTRALIAN OPEN 2009, QUANDO LO SCONTRO RAGGIUNSE L’APICE-A differenza degli ultimi anni, in cui pareva che, fino all’impensabile ritorno del 2017, la rivalità tra i due fosse stata parzialmente oscurata dal prepotente arrivo di Nole ad alti livelli, quando questa sfida si verificò sulla Rod Laver Arena le finali dei più importanti tornei continuavano ad essere una questione tra quelli che erano, allora, il numero 1 e 2 del mondo, e che si trovavano, però, in situazioni decisamente diverse. L’avvio della stagione era carico, infatti, di un significato estremamente positivo per uno, Rafa, che stava vivendo senza dubbio il culmine della proprio carriera, dopo il trionfo a Wimbledon, alle Olimpiadi e la scalata fino alla vetta del ranking del 2008; e rappresentava invece un periodo non certo positivo, per usare un eufemismo, per lo svizzero, che invece aveva inanellato proprio contro Nadal una pesante serie di sconfitte e si era visto sfilare dalle mani lo scettro della classifica, salvando in extremis la stagione con il successo a New York ai danni di Andy Murray. Era un momento, dunque, in cui lo spagnolo appariva inevitabilmente lanciato verso un dominio sempre più solido, forte di una innegabile superiorità negli scontri diretti con il principale rivale, in una rivalità i cui equilibri erano ormai più che delineati: fatta eccezione per la sacra erba di Wimbledon, in cui Federer era riuscito, fino all’anno precedente, a preservare la propria imbattibilità, erano emerse ormai con notevole chiarezza tutte le difficoltà e gli ostacoli in cui il tennis dell’elvetico si imbatteva quando era costretto a confrontarsi con la muraglia spagnola. Le esasperanti rotazioni, la ferrea resistenza da fondo campo e la totale assenza di errori gratuiti dell’iberico, infatti, avevano aperto brecce nella perfetta corazza di Roger, cui l’eleganza non era certo sufficiente per piegare, in particolare sulla terra rossa, una belva aggressiva e ambiziosa come il proprio avversario. E così, inesorabilmente, l’attuale campione di diciannove prove dello Slam dovette arrendersi ad una netta supremazia del rivale più giovane e scattante, da cui si è parzialmente ripreso solo negli ultimi scontri.

I campioni, però, vengono definiti come tali per l’abnegazione e il continuo desiderio di migliorare e di implementare il proprio bagaglio tecnico, perfino per un tennista che, per lo meno a detta di numerosi esperti ed ex giocatori, potrebbe essere eletto a incarnazione della propria disciplina: forza di volontà di cui Federer fornì un emblematico esempio proprio in quest’occasione, nella finale degli Australian Open 2009, quando portò in campo non solo il proprio repertorio tecnico e tattico, ma anche una resistenza, una totale determinazione e volontà di prevalere e di avere la meglio che in altre circostanze, contro il maiorchino, gli erano mancate. Questa fu forse la partita in cui si percepì maggiormente il tentativo di ribaltare le dinamiche e il risultato ormai scritto sulla carta, di contenere l’asfissiante pressione dell’avversario sul campo ma, soprattutto, di scardinare la propria rassegnazione e la convinzione di una sconfitta certa. E tutto ciò, ovviamente, non poté che dare vita ad una pagina indelebile di grande tennis.

Federer AO 2009

LA SFIDA– I tifosi erano consapevoli ormai già da tempo che nelle occasioni in cui entrambi i giocatori vivevano un momento di forma lo spettacolo non poteva certo mancare, ma difficilmente si aspettavano, probabilmente, che i due rivali potessero raggiungere nuovamente simili picchi e livelli di rendimento su un terreno di gioco. E invece, fin dai primi attimi gli spettatori presenti sull’arena di Melbourne e gli ansiosi appassionati sistemati di fronte alle proprie televisioni cominciarono ad ammirare accelerazioni incredibili, scambi impressionanti e vincenti da entrambe le parti, insieme agli immancabili recuperi inumani di Rafa e alle perfette esecuzioni di ogni fondamentale da parte di Roger. Ma tutta la determinazione dell’elvetico, deciso e sicuro, emerse ben presto, quando mise a segno il primo break dell’incontro nel sesto game grazie ad alcuni colpi fenomenali, come un passante di puro polso di rovescio, ennesima dimostrazione di talento e sensibilità, e una micidiale risposta, caratterizzata invece da efficacia e rapidità, che poneva il sigillo sulla prima svolta dell’incontro. Istantanea e immancabile, però, non si fece attendere anche la reazione dello spagnolo, che, nonostante fosse reduce da una massacrante maratona con il connazionale Fernando Verdasco, ulteriore meravigliosa battaglia, non si trattenne certo dal mettere in mostra una condizione fisica assolutamente perfetta, e recuperò immediatamente lo svantaggio per poi issarsi sul 5-4. E alla fine, dopo le ultime resistenze di Federer, capace di rimanere in scia e agganciare il rivale sul 5 pari, la forza brutale di Nadal prese nuovamente il sopravvento, frantumando ogni tentativo di attacco dello svizzero e ogni fedele speranza dei suoi tifosi, e il più grande tennista di sempre sulla terra battuta, alla ricerca del primo titolo in Australia, conquistò il primo parziale.

L’inevitabile contraccolpo psicologico, tuttavia, non spinse il “Re” a demordere, né a cedere alla tentazione di arrendersi che avrebbe certamente intaccato la resistenza di molti altri giocatori, ma costituì anzi ulteriore nutrimento per la sua fame di rivalsa, che si sfogò in una reazione brillante, degna di un campione di quel calibro: dopo i primi giochi della seconda frazione, in cui ancora una volta si aveva l’impressione di un predominio dell’iberico, in grado di strappare nuovamente la battuta allo svizzero, Federer rientrò prepotentemente nel match riprendendosi il break, per poi realizzare un altro, decisivo allungo che gli permise di archiviare il secondo set con un netto 6-3. E quando l’equilibrio si era, finalmente, ristabilito, il match raggiunse il culmine, con una serie di attacchi a rete, passanti micidiali, raffinate volée e accelerazioni da fondo campo che incendiarono l’atmosfera già rovente di Melbourne. Il terzo parziale, dunque, si concluse inevitabilmente al tie-break, in cui a spuntarla fu il maiorchino, ancora solido e inespugnabile: il severo punteggio di 7-3, infatti, pose fine ad un set estremamente lottato, e rese vani, alla fine, gli inestimabili sforzi del campione di Basilea, respinto di nuovo quando era vicino a imporsi nel set.

L’esito, a questo punto, sembrava ormai definitivamente segnato, destinato a concludersi con il solito copione, a dir poco frustrante per Federer: tra eleganza e brutalità, anche se questa è evidentemente una semplificazione, stava per trionfare ancora quest’ultima. Come poi, di fatto, avvenne, ma non senza che l’indomabile svizzero lottasse, tentasse di lottare e di opporsi a questo finale scontato, imprimendo una svolta al quarto set con il break nel sesto game, che difese poi con ogni forza fino ad aggiungere, nel tabellone del punteggio, un ulteriore 6-3 in suo favore, e che metteva tutto nuovamente in discussione. Tutto ciò, però, si rivelò una fugace illusione per l’elvetico: stremato, probabilmente, dail’enorme sforzo necessario per portare l’incontro in equilibrio, fu costretto a cedere, nel quinto parziale, con un netto è incontestabile 6-2, che lanciò Rafa al trionfo e all’apice. È ciò che si vide poco più tardi, è ormai ampiamente inserito nella storia del nostro posto: tutte le frustrazioni accumulate da Roger nei mesi e anni precedenti si sfogarono in un pianto, di un giocatore consapevole di aver dato tutto, Emma di essere uscito, alla fine, sconfitto. Frustrazione che, però, lo avrebbe paradossalmente aiutati a conquistare pochi mesi più tardi, il suo primogenito Rolland Garros.

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