UN NUOVO APPROCCIO. La prima edizione del tuo libro risale a gennaio 2010; come pensi sia cambiato il mondo del tennis in questi anni?
“In questi ultimi anni il tennis è senz’altro cambiato molto: i giocatori sono sempre più preparati atleticamente e anche la tecnica migliora continuamente, ma dal punto di vista mentale e psicologico non vedo grossi cambiamenti.
RIUSCIRE AD EMERGERE. Naturalmente, è difficile accorgersene, perché i giocatori più forti e che vediamo più spesso giocare in TV, sono mentalmente fortissimi, ma questo è un dono di natura che loro hanno e non gli costa nessuno sforzo dare il meglio di sé anche nella competizione. Ciò vale, però, solo per una ristretta cerchia di giocatori; la maggioranza, cioè tutti quelli che lottano nei tornei minori e non riescono a raggiungere le vette della classifica, hanno invece grossi problemi di natura mentale e psicologica: si allenano come i primi del mondo, hanno ottimi coaches, ma non riescono ad emergere.
Una volta non c’era niente da fare, ma oggi è possibile allenarsi e migliorare anche dal punto di vista mentale e psicologico, soprattutto con l’approccio dello Zen, come vi spiegherò meglio più avanti.”
IMPARARE AD ESSERE PRESENTI. “Tra le campionesse ed i campioni dei due circuiti di tennis professionistico, il WTA e l’ATP, chi pensi potrebbe trarre i maggiori benefici adottando questo nuovo approccio? Chi, invece, credi invece abbia già raggiunto un elevato grado di “forza mentale“?
“Senza andare a guardare troppo lontano, i primi due nomi che mi vengono in mente sono Fabio Fognini e Camila Giorgi, due dei giocatori atleticamente e tecnicamente più forti del circuito, che potrebbero e dovrebbero trovarsi sempre tra i primi dieci del mondo, ma che troppo spesso fanno fatica a esprimersi al meglio del loro potenziale. A parte i mostri sacri che, come abbiamo detto, hanno il dono di natura di essere forti mentalmente, tutti i giocatori trarrebbero un enorme vantaggio se si allenassero anche ad essere più rilassati, centrati e presenti nel momento, invece di perdersi in pensieri ed emozioni negative che li fanno giocare al di sotto del loro potenziale. Troppi talenti eccezionali si sono persi per strada perché non sapevano cosa fare per ovviare alla loro debolezza dal punto di vista mentale e mi ci includo anche io. Oggi, finalmente, è possibile allenarsi e diventare forti anche mentalmente e psicologicamente.”
ARTE O SPORT? “Lo zen e l’arte di giocare a tennis”: il titolo del tuo libro è molto suggestivo. Quando lo vidi per la prima volta sullo scaffale della libreria della mia città, confesso che mi rimandò subito a tutto quel filone di libri che affiancano alla dottrina zen varie attività della vita quotidiana.
“Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert Pirsig, “ lo Zen e la cerimonia del tè” di Kazuko Okakura o ancora “lo Zen e il tiro con l’arco” di Eugen Herrigel. Perciò, richiamando la mia forte passione per la dottrina orientale, mi affascinò fin da subito.
Probabilmente perché hai trovato già la porta aperta, sicuramente non perché io pensi minimamente di paragonarmi al grande Nicola Pietrangeli che cone scrive nella prefazione al libro dice di “avere riconosciuto nel tuo libro molte delle tecniche di centratura messe istintivamente in pratica in carriera” ma, tanto è che posso, decisamente affermare che il tuo libro ha assolutamente soddisfatto le mie aspettative, ripagandomi abbondantemente con una prospettiva nuova con cui affrontare il tennis e tanti utili consigli ed esercizi da ripetere in campo da solo o con i miei allievi più aperti e sensibili. Giocare a tennis è un’arte o uno sport?
MOLTO DI PIÙ. “Per me è entrambe le cose e molto di più: è divertimento, gioco, allegria, spensieratezza, gioia di muoversi liberamente all’aria aperta senza pensieri e preoccupazioni ecc. Questa è una delle differenze sostanziali fra l’approccio Zen e quello occidentale: la mente occidentale è dualisitica – o questo o quello – Lo Zen dice: questo, quello e molto di più. Perché chiudere le cose dentro definizioni e canoni e regole precise? Lasciamole libere e così potremo scoprire nuovi aspetti e nuove dimensioni in tutti i campi della nostra vita.”
ORIENTE E OCCIDENTE. Oggi all’aspetto mentale si dedicano pagine e pagine di libri, si organizzano simposi e dibattiti. Sia nello sport che nel mondo del lavoro. La professione del mental coach è sempre più diffusa. Non vi è tennista professionista in attività che in un modo o nell’altro non vi abbia fatto ricorso. Roger Federer ricorda sempre come una prima svolta alla sua carriera avvenne quando, già da giovanissimo, fu seguito da uno psicologo. Lo svizzero, in campo, spaccava le racchette e spesso protestava animatamente con gli arbitri: l’esatto opposto del campione a cui siamo abituati, ma mai paghi di ammirare da ormai venti anni a questa parte. Federer era irascibile perchè lui giocava bene, mentre gli altri vincevano. Mi ricorda qualcuno! Quali sono le principali differenze tra i tradizionali metodi di coaching ed il tuo approccio all’aspetto mentale del tennis?
ZEN. “Finalmente siamo arrivati alla domanda più importante! Per me la differenza sostanziale fra l’approccio Zen e quello occidentale è che, per prima cosa, noi abbiamo una visione solo materialistica della vita e soprattutto siamo arrivati a pensare di essere la nostra mente, di essere quello che pensiamo e sentiamo a livello emozionale. Lo Zen invece afferma che la nostra mente, i nostri pensieri, le nostre emozioni, sono solo la parte superficiale del nostro essere; basta pensare al fatto che se la nostra famiglia si fosse trasferita, per esempio in America, noi oggi non penseremmo e sentiremmo come italiani, ma avremmo una mente, dei pensieri e delle emozioni americani. Tanto più evidente sarebbe la cosa se fossimo cresciuti in Russia o in Cina o in altri paesi molto diversi dal nostro. In occidente, siamo totalmente identificati con la nostra mente (Cogito Ergo Sum di Cartesio) per cui gli psicologici usano la mente per cercare di cambiare la mente, cosa che richiede dei tempi lunghissimi. Lo Zen invece afferma che, aldilà della nostra personalità, esiste quella che è la nostra vera natura, quella che avevamo quando siamo nati ed eravamo innocenti e puliti, come una pagina bianca sui cui scrivere la nostra vita. Per necessità, abbiamo dovuto imparare a vivere nel mondo e ci siamo creati una personalità e una mente, ma questi sono solo come dei vestiti che indossiamo per poter vivere in società; ma nel profondo, nel nostro centro, siamo ancora innocenti e puliti come il primo giorno.”
SIAMO GIÀ PERFETTI. “Lo Zen si rivolge a questo centro, alla nostra vera natura, che è normalmente rilassata, centrata, presente, consapevole e capace di risolvere in maniera brillante e creativa ogni problema che la vita o il tennis ci propone. Quindi, non c’è bisogno di lavorare per anni per cambiare la nostra mente, ma basta capire che non siamo quella mente. La mente è uno strumento fantastico e indispensabile, ma purtroppo ha preso il sopravvento ed è diventata la nostra padrona e non più una facoltà che noi possiamo decidere quando usare e quando no. Gli esercizi e le tecniche che propongo nel libro servono esattamente a questo: a farci sperimentare di persona che, dentro di noi, esiste uno spazio in cui siamo semplicemente perfetti; dobbiamo solo contattare quello spazio; io sono una prova vivente di questo fatto. Quando mi allenavo veramente e giocavo per diventare un tennista di alto livello non riuscivo quasi mai a vincere e a ragione venivo considerato un perdente.
REALIZZARE IL PROPRIO POTENZIALE. Dopo essere stato in India ed aver assimilato l’approccio dello Zen, ho ricominciato a giocare perché dovevo realizzare il mio potenziale; ero molto frustrato per non essere riuscito a dare il meglio di me, ma ora entravo in campo solo per divertirmi, per mettere in pratica gli esercizi di attenzione e vincevo partite con giocatori molto più allenati e preparati di me. Per un anno intero non ho perso una sola partita sia in singolo che in doppio, sia nei tornei individuali che a squadre.”
CAMPO SU. “Un amico incontrato in India, Peter Spang (non Peter Pan) è stato un tennista professionista. La sua miglior classifica per alcuni anni, era stata sempre intorno al N. 380 del mondo; aveva 28 anni e pensava che forse quello era il suo limite; poi ha letto un libro bellissimo di Timothy Gallway :” Il gioco interiore del tennis”, in cui l’autore suggerisce un esercizio di attenzione che si chiama, in inglese, “Bounce – it” e che io nel mio libro ho trasformato in “campo su” che ci fa mettere tutta la nostra attenzione sulla palla e sull’impatto con la racchetta, come fa Federer. Il mio amico ha iniziato a metter in pratica l’esercizio e in tre mesi è diventato il N. 120 del mondo!!!!
UN ARMA EFFICACISSIMA. Cerco di insegnare questo metodo a più persone possibile e nelle lezioni ho visto dei principianti che, facendo con attenzione gli esercizi, all’improvviso facevano vincenti da fondo campo con il rovescio, il loro colpo più debole, che il più delle volte non riuscivano neanche a mandare al di là della rete. Semplicissimo direte voi, ed è vero, ma siccome non siamo abituati ad essere in quello spazio, bisogna allenarsi a farlo. Per fortuna, gli esercizi e le tecniche vanno fatti mentre giochiamo e ci alleniamo, per cui non dobbiamo aggiungere altre ore di lavoro a quelle che già facciamo. Gli esercizi e le tecniche non sono un carico in più, ma un’arma efficacissima che ci permetterà di dare il meglio di noi anche nella competizione e spesso ci meraviglieremo, perché faremo colpi e troveremo soluzioni che non sapevamo nemmeno di poter fare.”